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Rubrica: Risponde il teologo

3 Ottobre 2007

Tre religioni, un solo Dio. Ma con nomi diversi

di Archivio Notizie

Con un amico abbiamo discusso, qualche giorno fa, in tema di religioni. Io affermavo che cristiani, ebrei e musulmani (pur con tutte le differenze) credono nello stesso Dio: il Dio «di Abramo», il Dio creatore del cielo e della terra. Lui affermava invece che esiste una differenza abissale tra il Dio dei cristiani (e dei cattolici in particolare) che è insieme Padre, Figlio e Spirito Santo, e il Dio delle altre religioni, e che solo noi cristiani, attraverso la rivelazione di Gesù, conosciamo la vera natura di Dio. Chi ha ragione? E se il Dio in cui crediamo non è lo stesso, come è possibile pregare insieme, come invece avviene negli incontri interreligiosi?

Antonio – Lucca

Risponde don Alfredo Jacopozzi, docente di storia delle religioniNella Lumen Gentium, la Costituzione dogmatica su la Chiesa del Concilio Vaticano II, al n.16 si legge: «Quelli che non hanno ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. Per primo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne, popolo, in virtù dell’elezione, carissimo per ragione dei suoi padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11, 28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare, i Musulmani, i quali professano di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale». A questo testo fondamentale del Concilio può essere affiancato il testo della Dichiarazione Nostra Aetate nn. 3-4, dove si specificano ulteriormente i punti di convergenza, pur nella diversità, tra cristiani, ebrei e musulmani in vista del dialogo.

La Rivelazione cristiana, in quanto tale, cioè avvenuta nel Verbo incarnato, non è – mi sia consentita la battuta – patrimonio esclusivo di uomini, maschi, occidentali, con buona famiglia alle spalle, possibilmente laureati e sposati. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni essere umano» (Gaudium et spes n. 22). La Rivelazione è paragonabile ad un campo di energia (leggi: agàpe) che nell’Incarnazione ha investito nel tempo e nello spazio l’umanità intera, non azzerando ciò che c’era prima, o rendendo superfluo quanto è avvenuto dopo. Se nei confronti dell’ebraismo i cristiani nella storia hanno adottato la strategia della sostituzione e nei confronti dell’Islam hanno adottato il conflitto permanente, non viene forse il dubbio che abbiamo smentito tragicamente il senso stesso della Rivelazione cristiana?

Perciò, come afferma il Concilio, si tratta di cambiare prospettiva, di operare una vera e propria metànoia spirituale. Annunciare Cristo nei loro confronti non vuol dire portare la sua luce a chi vive nelle tenebre e nel peccato, ma scoprire che quella luce è già presente, in forza della Incarnazione, in molti aspetti delle dottrine, dei riti, delle norme e delle istituzioni, che non sono realtà astratte, ma carne e sangue di quei popoli e di quelle religioni. Soprattutto il nome di Dio, ovvero il Mistero abissale, di cui ogni fede fa esperienza e custodisce con venerazione, non può rappresentare un punto di partenza comune per il dialogo. Quando un estraneo entra in casa è improbabile che lo mettiamo subito al corrente delle nostre esperienze più profonde. Lo stesso vale per il dialogo interreligioso, che in molti contesti ha appena sfiorato la soglia della casa. Pertanto è opportuno nel dialogo partire da qualcosa che parzialmente unisce, cioè dal riconoscimento delle comuni radici delle nostre rispettive fedi, che abbiamo in Abramo, ovvero in un cammino umano che ci porterà verso lo/la shalom, pace, salam, che Dio vuole per il genere umano.

Infine, una precisazione che non è terminologica, ma di sostanza. Nei dialoghi interreligiosi non si «prega insieme», ma si è «insieme a pregare», perché anche se Dio è unico, rimane per noi con molti nomi e, fintanto siamo in cammino, questi nomi sono la ricchezza che ci è donata.

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