Cultura & Società

San Miniato: così va in scena il dramma dell’immigrazione

«Finis terrae» identifica primariamente una località geografica situata nel punto più orientale d’Italia, una lingua di costa salentina che si insinua nello Ionio, dove la terra finisce e inizia il mare, approdo, fin dall’antichità, di flussi migratori provenienti da oriente e dalla vicina Grecia. Grazie alla forza simbolica del teatro, Finis terrae diventa però soprattutto un luogo paradigmatico, acquista una dimensione allusiva a quelle «estreme periferie del mondo» dove sono relegati «gli avanzi della società», per usare termini cari a Papa Francesco, a quei territori di confine in cui si consumano ogni giorno conflitti e riconciliazioni, discriminazioni e contaminazioni tra culture e tradizioni diverse. Proprio di uno scontro che si trasforma in incontro tratta il testo di Finis terrae, scritto da Gianni Clementi per la 68a Festa del teatro di San Miniato, su un’idea di Antonio Calenda, che ne curerà anche la regia.

Lo spettacolo inizia e si svolge su una spiaggia del sud d’Italia la notte di Natale. I due protagonisti, Peppe e Cabrieli, contrabbandieri resi cinici dalle vicende della vita, si trovano in quel luogo per ritirare un carico di sigarette proveniente dal mare. Improvvisamente i due malcapitati diventano spettatori di una inaspettata tragedia: sulla spiaggia fa irruzione un barcone semidistrutto che approda con grande difficoltà e libera un carico di naufraghi africani, tra cui si evidenzia da subito una donna incinta. Il clima diventa incandescente, si consuma sulla scena una lotta tra gli scampati al naufragio e lo scafista che, nonostante la sciagura, continua ad infierire su di loro. Il crescendo di tensione e di dolore, alimentato dal racconto delle storie di alcuni di loro e accresciuto dal pathos di musiche e canti tradizionali africani, sfocia nel grido della donna partoriente che dà alla luce un neonato di colore, frutto di una brutale violenza ma tuttavia bello e sereno, simbolo che sembra richiamare ciascuno di loro alla comune appartenenza al genere umano. Un miracolo che avviene davanti ad un presepe di carne che evoca l’unica possibilità che si dischiude per il futuro dell’umanità: la caritas. Questi avvenimenti drammatici provocano nei due protagonisti dei sentimenti alterni e contraddittori. Se in un primo momento, vittime dei pregiudizi e dei luoghi comuni, sono assaliti dall’indifferenza e dal timore, progressivamente si lasciano coinvolgere nel grido di dolore che si alza da queste vite private della loro dignità, fino ad avvertire, come alludono le ultime battute pronunciate da Peppe e Gabrieli, l’imperativo morale di non poter abbandonare la spiaggia, perché in quella notte di “rinascita”, il loro  posto è lì, accanto a quelle persone.

Il Dramma popolare di San Miniato, dunque, ha scelto quest’anno di affrontare un tema di drammatica attualità e di dimensioni epocali, pur tuttavia l’intento dell’opera non è solamente quello di descrive uno dei tanti sacrifici umani che si consumano nelle coste della nostra nazione e di cui la cronaca quotidianamente ci dà conto, ma di richiamare l’attenzione più in generale sulle molteplici forme di povertà che in maniera crescente obbligano una gran parte dell’umanità a vivere in condizioni di assoluta precarietà. Lo spettacolo di quest’anno desidera farsi voce di questi ultimi della terra, «rifiuti» – come ci insegna il magistero di papa Francesco – di una diffusa «indifferenza globalizzata» di cui siamo, più o meno consapevolmente, tutti vittime. «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi – ammonisce il Santo Padre – ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro». Al teatro non spetta ovviamente il compito di proporre soluzioni politiche ad un fenomeno drammatico e complesso come è quello del flusso migratorio dal sud del mondo verso le nostre coste, o più in generale della dilagante povertà, ma ha il dovere morale di sollecitare nello spettatore una conversione interiore, che, per dirla ancora con Papa Francesco, implica «il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore». Se questo richiamo alla conversione si rivolge ad ogni uomo «di buona volontà», per il credente diventa un urgenza inappellabile, perché ogni volta che dalla polvere della terra si alza il grido di un povero, risuonano in tutta la loro forza le parole di Gesù: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

*direttore artistico Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato

I cinque spettacoli collaterali

A far da corona allo spettacolo principale, il cartellone della edizione 2014 del festival prevede altri cinque spettacoli la cui prerogativa è quella di aprire l’orizzonte verso una pluralità di forme espressive. Questa varietà di linguaggi, fatto inedito per il Festival, offre al pubblico sanminiatese la possibilità di confrontarsi con dei contenuti esistenzialmente coinvolgenti e comunicati, di volta in volta, dalla forza della parola, dall’incanto della musica e dalla seduzione della danza. Una prima serie di spettacoli ha come protagonista delle donne, molto diverse per indole, per formazione e per periodo storico in cui sono vissute, ma accomunate dal fatto di essere diventate, grazie al vigore della loro femminilità, protagoniste della loro epoca: Caterina da Siena e Beatrice di Pian degli Ontani. La Santa e la Poetessa pastora, pur non essendosi mai incontrate in vita, trovano nella poetica delicata e nella recitazione raffinata di Elisabetta Salvatori una trama sottile che li unisce nel medesimo canto alla bellezza, all’amore e alla fede («Piantate in terra come un faggio e una croce» – 1° luglio ore 21.30Giovanna al rogo. Storia di una identificazione – 11 luglio ore 21.30Semillas. Il Salvador di Marianella e Oscar Romero – 14 luglio ore 21,30).

L’attrice Elena Bucci, con la sua consueta scrittura profonda e con una recitazione di rara intensità, ci coinvolge in una veglia popolata dalla presenza/assente di quanti, sebbene morti, rimangono ancora vivi nella memoria, nell’immutato amore che si colora di volta in volta delle tinte caliginose del dolore e della nostalgia, e dei colori tenui della tenerezza e della speranza (In Canto e in Veglia – 3 luglio ore 21,30).

Infine, il palcoscenico di San Miniato ha l’onore di ospitare, per la prima volta nella sua completezza, uno spettacolo di testi e canzoni firmato da uno tra i più importanti e apprezzati compositori italiani, Beppe Dati. L’autore, pur dichiarandosi non-credente, propone una serie di canzoni che costituiscono nel loro insieme un autentico itinerario alla scoperta personale e intima di Gesù di Nazaret. È difficile rimanere indifferenti al fascino della musica e alla profondità dei testi che restituiscono all’uomo dei nostri giorni, inquieto e perennemente in cerca di motivi per cui sia degno e possibile vivere, l’attualità e la perenne giovinezza del messaggio del Vangelo di Gesù (Il mio Gesù – 7 luglio ore 21,30).

Per informazioni e prenotazioni: Istituto del Dramma Popolare di San Miniato. Tel 0571-400955.