Cultura & Società

San Valentino: perché duri ci vuole amore e non passione

Una festa che sembra fare più la fortuna dei ristoranti che di coloro che la celebrano, in un tempo in cui manca la stabilità dei rapporti affettivi. Ma lo stesso bacio, simbolo di questo giorno, può essere segno di un patto profondo.

Questa sera, la sera di San Valentino, i ristoranti saranno pieni. Non solo perché siamo una società signorile di massa e i ristoranti sono raramente vuoti ma anche perché siamo un popolo di eterni innamorati. Che però non si sposano più né fanno figli. Più che delle coppie sembra divenuto, san Valentino, il protettore dei ristoranti. Tavoli e cuori occupati. Il tempo di una cena. La giornata di oggi 14 febbraio, magari, sarà cominciata con un piccolo regalo tra chi si ama: il famoso cioccolatino a forma di bacio. E anche il più snob, il più riflessivo e libero di pensiero, avrà sbirciato, furtivo, quella famosa frase scritta sul foglietto argentato: non si sa mai, all’occasione potrebbe risultare utile. Un bacio, però, è un po’ poco per dare una sterzata all’impietosa curva verso il basso del tasso di natalità. I figli li fa l’amore che dura. E l’amore che dura lo costruiscono due persone solide, non rigide. Salde, eppure flessibili. L’amore, da tanto tempo, ha perso il suo sicuro legame con la missione generativa di vita nuova.

Ormai quasi tutti hanno compreso che non è la sessualità funzionale alla procreazione: lo è l’amore che sa diventare progetto condiviso. È probabile che chi scarti uno di quei famosi cioccolatini vi trovi il celebre riferimento al Cyrano di Bergerac di Edmond Rostand: «Ma poi che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo roseo messo tra le parole t’amo». La commedia, però, è molto più seria e attuale di quanto non sia abusata questa citazione. La trama è nota. Due uomini si contendono la stessa ragazza. Uno è bello ma incapace di parlare, di poesia: non sa esprimere sentimenti. L’altro, Cyrano, è un fine poeta e incanta Rossana con i suoi versi. Però è brutto, ha un naso lungo e deforme. I due, allora, si uniscono.

Nella famosa scena del «bacio», al centro dell’opera, il piacente Cristiano salirà sul balcone per prendersi il suo bacio mentre da sotto Cyrano continuerà ad attrarre Rossana con le sue parole e la sua poesia. Di chi è, allora, quel bacio? Di chi si innamora Rossana? C’è una totale scissione fra il corpo e l’anima. Appartengono a due uomini diversi. Una grave frattura che anche la vita contemporanea ben conosce. Nel momento del bacio, per un attimo si crea l’illusione che anima e corpo si uniscano. La psicoterapia ha dato un nome all’incapacità dei nostri giorni di esprimere i sentimenti, di dare parole al cuore: alessitimia. Un problema serio, ma che è anche un’occasione: forse la brevità e il singhiozzo del linguaggio dei post, dei tweet, non sa rendere ragione della profonda complessità del cuore umano. Ma nel mondo, c’è molto di più da leggere e scoprire che non il linguaggio smilzo e piatto dei social. Cristiano, che è bello ma vuoto, inventa un primordiale ChatGPT: si fa scrivere la dichiarazione d’amore dall’amico. Lui non è capace. Chissà, magari ha curato molto l’aspetto estetico, ma non dobbiamo chiedergli di saper parlare d’amore. E si sa, nel 2024 i maschi hanno imparato a spendere, in trattamenti di bellezza, quasi quanto le loro compagne. Anche questa è parità. Però la maggior parte degli insegnanti denuncia la crescente difficoltà dei nostri ragazzi di leggere una storia con calma e pazienza per comprenderne il senso. Il che, di certo, non fa bene all’amore, ai sentimenti. Può andare bene per i baci e per quanto ne consegue. Si parla spesso, ormai, di certa incompetenza emotiva. Più esattamente, è l’incapacità di dare parole a ciò che si sente, si vive e si attraversa. Incapacità di riconoscere un’emozione e gestirla, ammansirla e trasformarla in un passo di crescita e di maturità. Di nuovo, però, un’opportunità: non sono, forse, i cristiani, i figli della Parola? Coloro che imparano a parlare con le parole ispirate della Bibbia e, così, entrano nel cuore di Dio?

Alla scuola del Vangelo si può apprendere l’arte di formare e curare cuore e corpo, insieme. Edgar Lee Masters, nella sua famosa raccolta di epitaffi, fa dire alla sua Sarah Brown: «Non ci sono matrimoni in cielo, ma c’è amore». Se ha ragione il poeta americano, il cielo è – quanto meno – solo un gran caos. Perché se tutto è amore, nulla è amore. Bisognerà pure cominciare a fermarsi un po’ sul contenuto di questa benedetta parola, «amore». Non si può fargli dire o fare tutto. Altrimenti si finisce come quel giovane omicida: «L’ho uccisa perché l’amavo». È ciò che ha fatto papa Francesco, in Amoris Laetitia, proponendo a tutti di provare a confrontare i nostri legami con il modello che la Bibbia descrive, in una lettera dell’apostolo Paolo. Tanto per avere un riferimento. Là è scritto così: «L’amore è magnanimo, benevolo, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità» (1 Cor 13, 4-7).

Il confronto tra queste parole e i nostri legami è, a volte, impietoso: quando si tratta del nostro partner, il tempo e l’abitudine non ci rendono affatto magnanimi né benevoli, ci adiriamo tantissimo, solo per far cenno a qualche esempio. Eppure, il confronto è salutare perché sono parole che rappresentano un modello che non è affatto liquido né fluido: è stabile e fondato. Potrebbe apparire provocatorio ma a san Valentino vale ricordare che abbiamo bisogno di meno passione e più amore che duri. Il bacio, simbolo di questa giornata, può essere segno di un patto importante e profondo. L’uomo non ha scoperto il fuoco, c’era già. Ha scoperto come addomesticarlo e domarlo, per cuocervi qualcosa con la calma della tiepidezza. Anche la vita è comparsa sulla Terra quando questa ebbe la bella idea di raffreddarsi un po’. Pascal Bruckner suggerisce: «Bisogna riabilitare il clima temperato del sentimento, all’amore folle opporre l’amore dolce che lavora all’edificazione del mondo, viene a patti con i giorni, li vede come alleati e non come nemici… i nostri avi si sforzavano di stimarsi a partire da un matrimonio combinato, noi dobbiamo fare il contrario: trovare delle sistemazioni amichevoli a partire da un’originaria passione».

Potrebbe essere un commento alle parole che Benedetto XVI rivolse alle coppie, a Milano, nel 2012: «Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici». Se impareremo a far durare l’amore, torneremo anche a dare più figli al mondo. E la festa di san Valentino ritroverà un senso, a parte quello di occupare il tempo di una cena. La prima e, troppo spesso, una delle ultime.