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Sanremo, da Festival della canzone a vetrina dell’orgoglio omosessuale

La questione era nell’aria. Da giorni si discuteva sul testo della canzone di Povia, «Luca era gay». Persino il «Tv Sorrisi e canzoni», da sempre depositario dei testi sanremesi, dedicava a Povia una pagina intera e relegava gli altri in condominio. Ma non solo: il noto settimanale ospitava un intervento di Franco Grillini con tanto di asterisco e qualifiche: presidente onorario Arcigay e presidente Gaynet, associazione giornalisti gay.

Insomma ce lo dovevamo aspettare. E la gag, assai banale, tra Luca Laurenti e il modello Paul Sculfor doveva suonare come campanello d’allarme. Eppure non volevamo credere, anche per la stima che abbiamo nei confronti del popolare regista-attore toscano, che lo stesso Roberto Benigni si sarebbe prestato al «gioco», concludendo la sua comparsata (decisamente sotto tono rispetto ai suoi standard) con la recita della lettera di Oscar Wilde inviata dal carcere al suo giovane amante. «Gli omosessuali – spiega Benigni – sono stati torturati, ammazzati perché amavano. Quello che conta è l’amore. L’unico vero peccato è la stupidità». A questo punto partono i primi piani di un Grillini plaudente. Finito qui (e sarebbe già tanto)? Nemmeno per sogno. Canta Povia e Bonolis consegna (in senso letterale) il microfono al presidente onorario dell’Arcigay che legge un messaggino dell’amico milanese che rivendica la solidità e la bellezza dell’amore tra due uomini.Insomma, dalla prima puntata di Sanremo, di fronte a 15 milioni di telespettatori, viene fuori (come idea per molti inavvertita) che gli omosessuali vivono storie belle e felici e che di fatto non c’è distinzione tra uomo e donna quando c’è l’amore.

Lungi da noi intenti discriminatori, ma qui siamo di fronte all’ostentazione dell’omosessualità e dell’orgoglio gay, conditi in modo ruffiano dalla tv pubblica verso la deriva del tutto è lecito quando è possibile.

A.F.