Lettere in redazione

Scene quotidiane di maleducazione

Caro Direttore, nella biblioteca del Dipartimento universitario in cui lavoro ho sorpreso una studentessa che stava mangiando su uno dei tavoli di studio. Le ho fatto presente che non era permesso. La signorina, lungi dallo scusarsi, mi ha chiesto il perché. Ho dovuto spiegare ad una giovane di venti anni, uscita da medie e scuole superiori, quindi con un percorso formativo già compiuto, che i luoghi non sono tutti uguali, che in una biblioteca non si possono consumare panini, schiacciate con l’olio e mandarini, perché si rischia di macchiare di unto i libri della collettività, comprati con i soldi della collettività stessa, e di lasciarli sciupati ai compagni che li useranno dopo di lei. Ciò dovrebbe essere intuitivo, ma non lo è. Mi è rimasta la curiosità relativa al perché i compagni di studio, seduti accanto a lei, non siano intervenuti vedendola tirare fuori la merenda. Forse anche per loro è normale mangiare fra volumi e scaffali?

Durante un esame, mentre un commissario gli poneva una domanda, un candidato si è messo a bere acqua da una bottiglietta, senza problemi; in un autobus affollato, una ragazza, seduta mentre in piedi traballavano anziani signori, signore che potevano esserle nonne, giovani madri coi bambini in braccio, ha tirato fuori specchietto, rossetto e fard e si è data al trucco; per strada una persona su quattro mangia; in treni, metropolitane, autobus, siamo costretti ad ascoltare conversazioni di sconosciuti ai telefonini, litigi e coccole fra innamorati, scenate fra mariti e mogli, problemi di investimenti economici, discussioni politiche. Fatti privati diventano pubblici e te li devi sorbire perché non hai la possibilità di andartene.

Si sa che i costumi mutano e che i meno giovani se ne lamentano. Chi ha vissuto a lungo è d’ufficio laudator temporis acti, pronto ad esaltare il passato. Oggi il presente ci offre tante belle novità, strumenti tecnologici straordinari, opportunità fantastiche: possibile che l’educazione sia la grande assente o sono cambiate le regole fondamentali della convivenza civile?Lettera firmataFirenze Questa lettera fotografa bene una serie di comportamenti che sono – bisogna riconoscerlo – ampiamente diffusi e non possono essere attribuiti a singole categorie di persone. Tutti si caratterizzano per un totale disinteresse verso gli altri, cioè nel non preoccuparsi minimamente del disagio che si può procurare a chi ci sta vicino su un treno, in tram, in un locale pubblico. Questo atteggiamento, secondo alcuni sociologi, è «un indicatore potente di desocializzazione». E i casi citati sono emblematici, anche se non particolarmente gravi e in buona parte posson fare anche sorridere, come quando siamo partecipi, complice il cellulare e in barba alla tanto sbandierata privacy, di faccende molto personali, anche di quelle che un tempo si chiamavano intime!Ma mi domando: questa noncuranza per gli altri non rischia di diventare disprezzo e avversione? E questi sentimenti quando coinvolgono persone instabili o violente possono sfociare in atti anche gravi e purtroppo gli esempi non mancano. In fondo alla base c’è una domanda impegnativa: chi sono gli altri per me? Sono l’inferno – secondo una celebre affermazione di Camus – e quindi da evitare e rimuovere o compagni di viaggio da rispettare e da amare? E la risposta che diamo segna e caratterizza i rapporti personali, ma anche un’intera società.