Italia
Scuola e disabilità, “qualche progresso ma poche risorse”
L'aumento del numero di studenti con bisogni educativi speciali solleva interrogativi sulla qualità dell'inclusione nelle istituzioni educative italiane. Intervista a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle Persone con disabilità della Cei, che evidenzia i progressi, le difficoltà e le risorse a disposizione per migliorare l'integrazione, tra cui il ruolo delle scuole paritarie, la preparazione degli insegnanti e l’aiuto alle famiglie. La Chiesa, attraverso iniziative concrete, gioca un ruolo importante

Scuola e disabilità. Un tema centrale per l’educazione e la formazione. L’ultimo rapporto Istat dice che in soli cinque anni gli alunni disabili sono cresciuti del 26% per un totale di 359 mila studenti (il 4,5%). Abbiamo chiesto a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei, di aiutarci a leggere questi dati.
Secondo lei, aumenta l’inclusione?
«Sì, può essere sicuramente una sfida per il nostro contesto, per aumentare l’inclusione, per renderci conto che una scuola lavora e si struttura per tutti. Aumentano le diagnosi, aumentano le valutazioni, e aumentano anche i deficit. Credo che prima ci fossero più difficoltà anche nell’ambito valutativo».
Molti di questi ragazzi trovano, soprattutto nei primi anni di scuola un sostegno dalle cosiddette scuole paritarie, mentre quelle pubbliche sembrano in ritardo…
«È uscita una ricerca con l’ufficio scuola due anni fa, dove praticamente emerge la ricchezza delle scuole paritarie nell’accogliere le persone con disabilità e anche nello sviluppare una pedagogia, perché a volte a differenza della scuola pubblica si hanno meno supporti. Ma non per questo c’è una qualità minore, anzi, alcune scuole cattoliche veramente hanno messo in atto pedagogie virtuose dove tutta la scuola si è formata per accogliere. Quindi non c’è più una persona indicata che se ne occupa, ma c’è un contesto scolastico che supporta».
Tra l’altro se è vero che sono cresciuti i numeri degli insegnanti di sostegno preparati, è anche vero che oltre il 30% di loro non hanno una preparazione specifica e nelle regioni del sud questa percentuale aumenta.
«È vero, e lo vediamo dalla richiesta che c’è nella partecipazione, anche ad alcune proposte che il servizio per la pastorale delle persone con disabilità fa sulla pedagogia inclusiva. Molti insegnanti chiedono come fare, perché non sanno organizzare dalle mappe, alle agende, agli strumenti compensativi e adattativi, all’uso di linguaggi che favoriscano l’apprendimento».
C’è poi il problema, segnalato dall’Istat, che il 57% di questi studenti cambia l’insegnante ogni anno, e alla richiesta delle associazioni dei genitori perché questo non avvenga, la prima reazione dei sindacati è stata quasi una rivolta contro questa ipotesi. Cosa manca sensibilità?
«Sì, manca sensibilità e anche il comprendere che per un ragazzino con disabilità o anche per un insegnante creare sintonia e anche accompagnarlo richiede tempi lunghi per molte disabilità e per le pluridisabilità».
Ci sarebbe poi tutto il tema del materiale scolastico che non sempre viene assicurato…
«Sì, è vero. Infatti credo che una delle sfide grandi sarebbe un po’ quello che stiamo cercando di fare anche come Conferenza episcopale italiana. In moltissimi eventi di pensare già in origine materiali e strumenti per tutti. Basterebbe anche poco, perché sicuramente il supporto alle nuove tecnologie, aiuta anche tanto. A volte credo che il problema sia la mancanza di conoscenza di strumenti che si possono mettere in atto».
La Chiesa come potrebbe aiutare le famiglie e la stessa scuola?
«Nell’ultima ricerca della Cbm fatta insieme alla Fondazione Zancan di due anni fa è proprio stata data voce alle famiglie chiedendo cos’è che chiedevano. Una cosa molto bella è che le famiglie non chiedono un aumento di soldi, ma chiedono una filiera nell’accompagnamento che vada dall’informazione all’accompagnamento nei vari passaggi. C’è tanta ricchezza, ma a volte poco conosciuta. E oggi è anche cambiato il volto delle persone con disabilità. Spesso le notizie si apprendevano nelle sale di attesa. I genitori si scambiavano le informazioni. Oggi abbiamo genitori che arrivano da ogni parte del mondo, quindi la sala di aspetto non ha questa possibilità. E il dramma di oggi è che non ci sono punti. Quindi per esempio alcune Diocesi sono diventate questo sportello di supporto che fa rete non solo in ambito pastorale ma anche nell’accompagnamento nella società civile».