Cultura & Società

Se l’Euro è complicato la Lira toscana era peggio

DI NEREO LIVERANIAccadde centoquarantuno anni fa. I toscani nel 1860 cambiarono le loro vecchie monete granducali con la nuova valuta che già si disse «italiana» ma allora i calcoli furono molto più difficili di quelli imposti dall’arrivo dell’«Euro». In più accadde qualcosa che oggi possiamo definire un piccolo mistero politico: la nuova moneta cominciò a circolare in Toscana nel 1860, un anno prima della nascita dello Stato Italiano unitario legalmente riconosciuto. La Lira italiana, quella che in questi giorni stiamo cambiando con l’Euro, fu coniata per la prima volta nel 1861 ed è rimasta in circolazione esattamente centoquarant’anni. L’emissione così anticipata della «lira italiana» in Toscana fu l’effetto di una manovra politica voluta per anticipare i tempi dell’unità nazionale.

L’operazione del 1860 fu allora chiamata «baratto» ma questa parola non aveva alcun malevolo significato e apparteneva al linguaggio ufficiale e familiare del tempo per indicare qualsiasi scambio.

Con un decreto del Governo provvisorio toscano dal primo novembre 1860 cessò la validità della vecchia Lira toscana e il suo valore fu valutato pari a 0,84 della nuova moneta. Le nuove lire erano coniate nella zecca di Firenze e presentavano su una faccia l’effigie di Vittorio Emanuele II, nuovo capo dello stato ancora in formazione, circondata dalla scritta «Re eletto». Questa iscrizione prendeva motivazione giuridica dal Plebiscito con il quale i toscani avevano approvato l’unificazione del loro stato a quello ancora nascente. Sull’altra faccia della moneta fu scritto «Lira italiana». Ma la Lira italiana che cede il posto all’Euro ebbe storicamente una data di nascita successiva a questi eventi, col decreto del 17 luglio 1861.Questa fretta nell’emanare le nuove monete mirava a contrastare manovre politiche rivolte a mantenere alla Toscana una sua autonomia, magari non più sotto i Lorena ma addirittura sotto forma di repubblica. Dal ricco «Ruspone» alla povera «Crazia»La moneta di nome «Lira» era entrata in circolazione in Italia da poco più di mezzo secolo, al tempo di Napoleone, nel 1808. Il successo del sistema di frazionamento decimale, fino al centesimo come umile spicciolo, era stato tale che anche dopo la fine del potere di Napoleone alcuni stati mantennero questa monetazione. Il granducato lorenese ebbe la «Lira Toscana» ma conservò un’incredibile quantità di frazionamenti tradizionali non decimali così che quel sistema monetario appare molto complicato. La «Lira Toscana» si divideva in 20 soldi e ogni soldo in 3 quattrini. A sua volta ogni soldo poteva essere diviso anche in 12 denari. Una Lira poteva essere divisa anche in 12 Crazie (parola di origine tedesca indicante la Croce). Con 8 Crazie si aveva un Paolo. Il ricco Ruspone equivaleva a qualcosa di più di dieci grammi d’oro puro. In argento erano il Francescone e lo Scudo che era stato la moneta base nei tempi dei Medici. L’antico e famoso «Fiorino» era stato abolito già nei primi tempi del granducato dei Medici perché ricordava troppo le glorie del libero comune ma aveva fatto una breve riapparizione, in forma e con valore nuovi, nel 1859. Anche Lucca aveva avuto una sua monetazione come stato indipendente. Ci voleva una certa abilità nell’uso della moneta. Il povero Pinocchio che semina i suoi zecchini d’oro nel Campo dei miracoli è il simbolo di quanto potesse accadere ai più inesperti. A proposito: gli «zecchini» d’oro rubati a Pinocchio dal Gatto e dalla Volpe c’erano davvero nei sistemi monetari di alcuni stati italiani e avevano esorbitante valore.

La Toscana granducale era in Europa famosa per le sue buone condizioni di vita. Eppure in una società civile in gran parte agricola diventava un difficile problema procurarsi le occasioni per guadagnare moneta contante. I giovani che si volevano rendere indipendenti dovevano lasciare la casa e cercare lavoro come braccianti od operai. Le giovani contadine si procuravano qualche lira offrendosi come balie. L’Istituto degli Innocenti di Firenze dava a balia i bambini alle giovani spose che diventavano affettuose mamme anche di questi piccini e in più avevano la gioia di poter disporre di qualche lira, per la prima volta nella loro vita.

20 soldi per un giorno di lavoroUna Lira toscana, corrispondente a 20 soldi, era il salario giornaliero di un bracciante di campagna o di un operaio generico in città, dopo undici ore di lavoro in estate: in città un chilo di pane costava nove soldi, in campagna sei, la pigione di casa era di tre soldi al giorno, mezzo litro di vino costava 4 soldi. Una Lira basta al sostentamento di una sola persona. Le tasse erano limitate ma non c’era assistenza sociale se non quella delle compagnie religiose o confraternite di solidarietà o dei primi istituti statali per indigenti o anziani. Un viaggio in treno da Firenze a Livorno costava quattro lire mentre pochi anni prima, con la diligenza, ne occorrevano ben dodici: questo dice come anche il progresso tecnologico abbia rapidamente mutato il quadro storico e renda molto difficile un confronto tra il valore delle monete di allora e quelle odierne. Tabelline al posto del calcolatoreUn ferroviere fiorentino, ora in pensione, Coriolano Tarchiani durante le soste dei suoi viaggi di lavoro sulle linee toscane ha raccolto nei mercati di antiquariato una grande quantità di antiche riviste, giornalini, volantini. Le copie di alcune di queste stampe sono state riunite in un curioso fascicoletto in distribuzione al Circolo Ricreativo del «Colle dei Moccoli», in via Benedetto Fortini 13 rosso, l’antica strada che da Ricorboli va a Ponte a Ema.

La «Tavola» che possiamo immaginare come la più semplice e diffusa mostrava i valori corrispettivi da una Lira toscana a una italiana (0,84) fino a 99 lire toscane (equivalenti a 83,16 lire nuove italiane). C’erano anche i ragguagli per i quattrini, spiccioli di uso più corrente (un quattrino era pari a 0,014 lire italiane). Per le piccole monete si fissarono con decreto valori un po’ approssimati per semplificare i calcoli.

A lezione in ComuneTra il 1860 e il 1861 entrarono in vigore in Toscana anche le nuove misure metriche lineari per i pesi e le capacità delle merci sfuse. I comuni appesero lapidi con i riferimenti, ancora visibili in tante città. Ma furono disposte anche lezioni pubbliche gratuite nei locali comunali per chi voleva saperne di più.

La «Lira italiana» emessa nel 1860 a Firenze fu sostituita a sua volta con quelle del Regno davvero unitario del 1861 mentre non tutte le vecchie monete granducali furono messe subito fuori corso. Ben vent’anni dopo il «baratto» si continuarono a emettere fatture o listini di prezzi col corrispettivo in vecchie monete toscane granducali. Troppo lunga era stata la storia della vecchia Toscana perché i ricordi scomparissero dalla vita di ogni giorno.

La nuova lira italiana aveva un valore pari a quello del Franco francese. Da allora nell’uso popolare il Franco divenne sinonimo di Lira e il cambio alla pari fu stabilito per molti decenni dall’Unione monetaria latina, l’organizzazione che è considerata precorritrice dell’Unione monetaria europea e del sistema dell’Euro. Ma questa è un’altra storia.