Opinioni & Commenti

Settant’anni fa la liberazione e la prima Costituzione provvisoria

Occorreva, cioè, dare forma istituzionale alla radicale cesura espressa dalla caduta del regime fascista a liberazione non ancora interamente avvenuta: al che si provvide con la traduzione in forma di articolato del Patto di Salerno, stipulato pochi mesi prima, così esprimendo la tregua istituzionale tra il Governo del Comitato di Liberazione Nazionale (il primo Governo Bonomi, insediato da pochi giorni e guidato, appunto dal Presidente del CLN centrale) ed il Luogotenente del Regno, cui il Re affidava l’esercizio dei suoi poteri dopo avervi rinunciato, e con la disciplina della transizione istituzionale mediante un riparto di poteri.

In questo quadro, il Governo assunse istituzionalmente, oltre alla potestà amministrativa – che restava di sua competenza come prima della caduta del fascismo – il potere legislativo ordinario (anche se in modo provvisorio), che avrebbe dovuto esercitare mediante decreti. Questi sarebbero stati sanzionati e promulgati dal Luogotenente finché non fosse entrato in funzione il nuovo Parlamento che avrebbe dovuto approvarli, come poi fece. Quanto alla funzione di indirizzo e controllo politico, il posto delle Camere era sostanzialmente tenuto da un organo rivoluzionario, il CCLN, in quanto aveva ottenuto di assumere l’incarico, di rilievo eminentemente costituzionale, di designazione, vincolante per il Luogotenente del Regno, del Primo Ministro e dei Ministri. Il Comitato assunse, così, per non perderla più fino all’elezione dell’Assemblea Costituente, la funzione di organismo rappresentativo dell’opinione pubblica italiana.

Oltre a risolvere il problema dell’esercizio della potestà legislativa, la prima Costituzione provvisoria (che sarebbe stata poi modificata nel marzo 1946), conteneva una serie di statuizioni essenziali per la vita costituzionale del Paese, la più importante delle quali stabiliva che la scelta istituzionale fondamentale venisse deferita al popolo italiano mediante l’elezione, a guerra ultimata, di un’Assemblea Costituente (la quale, in questa prima versione, avrebbe dovuto scegliere, sulla questione istituzionale, se monarchia o Repubblica).

All’unisono, il Governo di CLN ed il Luogotenente del Regno (organo, peraltro, estraneo allo stesso ordinamento statutario), che emanava questo decreto, si impegnavano a non compiere nel frattempo atti che potessero pregiudicare la questione istituzionale stessa. In questo stava, cioè, il significato costituzionale della cd «tregua istituzionale»: che dal 25 giugno 1944 fino all’entrata in funzione dell’Assemblea Costituente da nessuna parte si sarebbero dovuti compiere atti destinati a mettere il corpo elettorale di fronte a cambiamenti che potessero influenzarlo nelle future sovrane decisioni.

Si tratta di una vicenda che chiama anche gli uomini impegnati nella vita pubblica di oggi a riflettere sulla capacità di lavorare con inventiva illuminata da rettitudine di coscienza, in condizioni storico – politiche estremamente critiche, delicate e complesse, a soluzioni innovative capaci di porre le basi di una nuova Costituzione materiale (come tra non poche difficoltà dimostrò allora l’esperienza ci ellenistica) ed a perseguire, anche per questa via, il bene comune. Si tratta di esperienze istituzionali, giuridiche e politiche, che gli istituti preposti al loro studio per il rispettivo Statuto, come l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana (di cui è in corso di completamento il rinnovo degli organismi elettivi) e gli altri Istituti storici sul Movimento di Liberazione in Italia debbono far crescere e maturare nella coscienza viva dei cittadini e delle comunità territoriali e nazionale, come un infungibile servizio di cultura politica e di formazione civica.