Cultura & Società
Siena, Palio rinviato per il maltempo
Mentre la città attende il Palio, rimandato a domani, Paolo Ermini racconta il rapporto con la giostra più antica e famosa nel mondo

A causa di un temporale abbattutosi sulla città, la pista di tufo in Piazza del Campo è inagibile. La carriera dedicata alla Madonna di Provenzano è dunque rinviata a domani. L’anno scorso accadde lo stesso.
Una lunga storia d’amore
«La terra è in Piazza!». Cinque parole per dare l’annuncio che ogni senese aspetta, anno dopo anno. Significa che il tufo è stato steso sul Campo. E che si corre. Si corre il Palio, la giostra più antica e famosa nel mondo. La festa di Siena.
Ma che cos’è il Palio? Molto di più di un drappo, il Drappellone, che andrà nella Contrada che vincerà la corsa. Il 2 di luglio e il 16 agosto. Dal ‘600 e anche da prima, quando la città si riversava sotto la Torre del Mangia per assistere alla «caccia ai tori». E prima ancora alle bufalate e alle asinate.
Il Palio è storia. Una storia di popoli, di cavalli, di fantini, di santi, di colori, di indimenticabili gioie e dolori. Che contrappuntano il trascorrere del tempo. Il calendario di Siena è scandito dai ricordi. Ogni Contrada ha i suoi: «Era l’anno che ci toccò in sorte quel bombolone di cavallo e si mandarono tutti a letto, purgati». Oppure: «Lascia perdere, fu quando si portò nella stalla quel brocco che non avrebbe vinto neppure se correva da solo!».
I popoli. Sono diciassette. Come le Contrade, quasi tutte divise da fiere rivalità: Torre-Oca, Tartuca-Chiocciola, Nicchio-Montone, Istrice-Lupa, Leocorno-Civetta, Aquila-Pantera e, fino a qualche anno fa, Bruco-Giraffa; due, Selva e Drago, non hanno attualmente nemiche; l’Onda, infine, è l’unico caso di rivalità unilaterale: verso la Torre, che però non la riconosce ufficialmente. Il numero delle Contrade fu deciso nel 1730 con il bando della governatrice Violante di Baviera che escluse per sempre dal Palio cinque Contrade, ormai esauste, di forze e di anime (Vipera, Spadaforte, Gallo, Leone, Quercia), e che nella Passeggiata storica che precede ogni carriera sfilano a cavallo con la celata abbassata, così come si chiudono gli occhi a chi se ne va. Il loro territorio fu assegnato alle Contrade vicine (in alcuni casi smembrandolo). Ma Violante fece di più: disegnò i confini delle Contrade, una per una, strada per strada, e quelli sono ancora i confini di oggi. Qualcuna, per la verità, ha provato ad allargarsi, fosse anche solo per conquistare una casa d’angolo. Alcune inimicizie sono nate proprio così, per una bandiera spostata di un metro. In ogni caso sono dispute infinite, senza che mai l’autorità pubblica sia intervenuta per modificare la mappa di Violante.
Ogni popolo, cioè ogni Contrada, ha un simbolo, un motto, una sede, un museo, un oratorio, un inno e tanti canti. Per propiziarsi la Fortuna, per dare voce al proprio valore, per sbeffeggiare gli avversari. Canta l’Istrice, Contrada popolosissima: «Quando si passa noi/ sgombrateci la via/ siamo di Camollia!/ siamo di Camollia!». Canta il Nicchio contro il Montone: «Credi d’esse un Montone,/ e invece sei castrato./ Sei becco e bastonato/ sei becco e bastonato!». Il Montone risponde: «Arsella velenosa,/ sei fatta alla rotonda/, sarai sempre seconda,/ sarai sempre seconda!». Ma c’è un amore comune a tutte le consorelle: «Sulla Piazza del Campo/ ci nasce la Verbena,/ viva la nostra Siena/ viva la nostra Siena/ la più bella delle città!».
Scrisse Guido Piovene nel 1958: L’attaccamento alla Contrada non ha nulla a che fare con le idee, col partito politico, con gli interessi. Dipende in modo esclusivo dal luogo di nascita (…), non è pensiero, ma passione contratta con il semplice venire al mondo.
I santi. I più pensano che santa Caterina sia la patrona della città. Ma non è così. Caterina è una santa di parte: è patrona dell’Oca e del Drago. E le bandiere della due Contrade stanno appese ai lati dell’altare a lei dedicato in San Domenico. L’Oca è l’unica tra le consorelle che quando fa il giro della città in occasione della Festa titolare fa sfilare anche la reliquia della santa. Un po’ corteo e un po’ processione. E il celebre prete Bani, storico correttore della Contrada di Fontebranda, spegneva le candele davanti al suo altare quando vinceva la Torre, perché se ne ricordasse alla prossima occasione. Nella rivalità tra Tartuca e Chiocciola a rimetterci fu a lungo sant’Antonio da Padova, protettore della prima. Esasperati da un lungo digiuno i chiocciolini presero un’immagine del santo e la scaraventarono nel loro pozzo. Ma la vittoria non arrivava, sant’Antonio fu riportato alla luce e restaurato. Alla prima occasione utile la Chiocciola finalmente trionfò. E i chiocciolini sono rimasti per tutti gli «affogasanti».
I colori. L’araldica delle Contrade non è rimasta immutata nel tempo. I simboli, tratti dal mondo della fauna o dai miti, sono rimasti sempre gli stessi, invece sono cambiati i colori. Anche per le svolte della storia. La Tartuca innalzava una bandiera gialla e nera, come i colori dell’Austria, e nell’Ottocento scatenava i fischi di tutta la Piazza, così si decise di sostituire il nero con il turchino.
Al contrario, sempre nell’Ottocento, l’Oca, con i colori risorgimentali verde, bianco e rosso, collezionava grandi applausi. La Torre, rosso cremisi, piaceva ai repubblicani; ma assai meno ai fascisti negli anni del regime; la Contrada però non si piegò («Se il rosso/ non vi piace/ il rosso non si cambia…»), anche grazie a Italo Balbo che era stato nominato capitano onorario, per contrastare l’ostracismo.
Tutti i senesi possiedono il fazzoletto con i colori della propria Contrada (ma non quelli che vendono ai turisti sulle bancarelle). Forse parrà strano, ma il Palio è prima di tutto rito e nei riti si rispettano le regole: nei giorni della festa solo i contradaioli delle Contrade che corrono (10 su 17, per ragioni di incolumità, viste le asperità della pista) possono indossare il fazzoletto.
Bruno Tanganelli, nel 1954: C’era una volta un arcobaleno. Un giorno si spezzò e cadde a pezzi su Siena. Nacquero così i colori delle Contrade.
I cavalli e i fantini. I fantini se li scelgono le Contrade. Un tempo pagati con un nonnulla, adesso fanno soldi a palate. In fin dei conti sono mercenari, pronti anche a tradire. Sono entrate nella leggenda alcune fughe di fantini, rincorsi da contradaioli inferociti. Giuseppe Gentili, detto Ciancone, fu messo al bando dall’Oca dopo la clamorosa vittoria della Torre nel 1961 e non corse per dieci anni, finché l’Onda non lo convinse a riprovarci. I cavalli invece sono assegnati alle Contrade con un sorteggio e sono loro a rappresentarle. Vince il cavallo, non il fantino. Chi va a Siena e sussurra i nomi di Topolone, Sambrina, Panezio, Rimini, Urbino, Sabrina, Berio, Morosita Prima o Preziosa Penelope vedrà molti occhi arrossarsi. I vecchi, o i cavalli infortunati, vivono tra mille premure nel loro pensionato a Radicondoli. E quando muoiono le loro tombe sono monumenti.
Il futuro. Gli animalisti continueranno imperterriti nella loro battaglia contro il Palio. Non hanno capito l’unicità della festa senese, che non è stata ritirata fuori dopo secoli a fini turistici com’è successo altrove, e che è invece la cultura di una città. Siena non si è girata dall’altra parte, ma di anno in anno ha cambiato le regole della corsa a garanzia della salute degli animali. Lo farà ancora, però per assicurare al Palio altri secoli di vita.
Scrisse Federico Fellini nel 1970: Tutto il mondo si sfalda e voi siete qui, con la vivezza di questi riti e con la fedeltà ai secoli (…). E’ bello, molto bello!