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Sudan: il missionario Bedin racconta un anno di guerra

Il padre Comboniano per anni a Firenze spiega il conflitto che ha già provocato quasi 15 mila morti, oltre 30 mila feriti e più di 8 milioni di sfollati. Scuole chiuse, negozi falliti, in tanti senza un tetto

C’è una guerra in Africa che ha già provocato 14.700 morti, oltre 30mila feriti e più di 8 milioni di sfollati (stime della Ong International rescue committee, secondo Emergency gli sfollati sono circa 6,5 milioni). È la guerra civile in Sudan, che si combatte da oltre un anno, sotto lo sguardo – spesso distratto – della comunità internazionale e dell’opinione pubblica. «Chiedo alle parti belligeranti di fermare una guerra che fa male alla gente e al futuro del Paese. Preghiamo perché si trovino vie di pace», gridava papa Francesco nella prima domenica di Quaresima del 2024. Ma dal 15 aprile 2023, quando sono iniziati i conflitti fra l’esercito regolare del presidente Abdel-Fattah al-Buhran e le forze paramilitari comandate dal generale Mohammed Hamdan Dagalo (noto come Hemetti), la situazione in Sudan non ha fatto che peggiorare. Padre Alessandro Bedin è un missionario comboniano, per anni ha vissuto a Firenze, che da anni opera a El Obeid, nel sud del Paese, dove – fra le altre cose – ha assistito a lungo le suore canossiane nella gestione di una scuola che, prima dello scoppio della guerra, ospitava circa 1.300 bambini.

Oggi le sorelle sono fuggite dalla città, come i salesiani e le suore del Buon Pastore, mentre padre Bedin tenta di portare avanti la missione mettendo a rischio la propria incolumità. «Erano le 13 del 15 aprile 2023 (giorno esatto dello scoppio della guerra, ndr) – ci scrive – e stavo rientrando verso casa dopo aver preparato la liturgia della domenica. Nella via del ritorno la strada davanti al comando militare era bloccata, vado per un altro percorso ma, giunto a casa, scoppia il finimondo: la base del comando militare di El Obeid era stata attaccata e anche l’aeroporto». A prendere di mira la città erano le Rsf, le truppe di supporto rapido del generale Hemetti, che per mesi si sono scontrate con l’esercito sudanese, facendo guerriglia fra le abitazioni dei civili. «Il nostro quartiere, che si trova di fronte alla base militare – continua il religioso – è stato teatro di scontri per una settimana. L’aeroporto è stato messo fuori uso, la città di El Obeid è rimasta senza elettricità per circa due mesi e da allora l’acquedotto pubblico non funziona più. Tutte le attività educative, commerciali e imprenditoriali sono cessate. Per circa un mese anche le celebrazioni liturgiche e le attività pastorali sono state sospese per prudenza».

Ancora oggi, ci confessa padre Bedin, le interruzioni di elettricità bloccano El Obeid, che molti hanno abbandonato per fuggire verso le più sicure Juba (Sudan del Sud), Wau (Sudan del Sud) e Port Sudan sul Mar Rosso, dove sono state recentemente riaperte le scuole.
«Dopo un anno di guerra, non vediamo nessun cambiamento», è il commento lapidario del comboniano. Ma per capire il suo sconforto, serve fare un passo indietro. In breve: nel 2019 un golpe rovesciò la trentennale dittatura di Omar al-Bashir, il militare islamico che demoliva le chiese cristiane e ne arrestava i fedeli. Tramontato il suo regime, il potere è passato nelle mani del generale al-Buhran e del suo vicepresidente Hemetti, a capo delle Rsf. Verso la fine del 2022, però, i delicati equilibri fra i due si sono incrinati: l’esercito governativo, supportato dalla comunità internazionale, ha tentato la via della democratizzazione cercando di inserire, nell’arco di due anni, le truppe paramilitari del suo braccio destro all’interno di un unico corpo militare governativo. La decisione non ha convinto Hemetti che, dopo alcuni mesi di lotta a palazzo, ha dato il via agli scontri armati nell’aprile del 2023. Oggi il comando del Paese è ancora nelle mani del generale al-Buhran, ma le Rsf controllano ampie zone del Darfur, provincia occidentale del Sudan, obiettivo dichiarato delle forze paramilitari. A Khartoum, la capitale, mancano elettricità e acqua, che sostengono i pochi ospedali rimasti: circa 7 su 10 nelle zone di combattimento – sostiene Emergency – non sono più funzionanti.

«El Obeid è divisa in due parti – spiega padre Bedin –. A est è monitorata dall’esercito sudanese e a ovest è controllata dalle milizie. Ogni tanto ci sono degli spari o delle incursioni da ambo le parti che causano confusione e morte». Gli spostamenti in città, soprattutto per gli stranieri, sono pericolosi. Le scuole sono chiuse, i negozi sono falliti e la gente vive come può: «L’economia sommersa – commenta il comboniano – funziona a gonfie vele: vendita di verdura e beni di prima necessità, servizio taxi o autobus. Le famiglie cercano di pensare all’oggi e il domani è affidato dalla provvidenza». In effetti, in un solo anno – spiega Emergency – il valore del carburante è aumentato del 636%, la penicillina costa trenta volte il prezzo del 2023 e il paracetamolo dodici volte. I generi alimentari non sono da meno: il riso è aumentato del 200%, il pollo del 300% e la cipolla del 467%. A molti sudanesi, però, manca un tetto sopra la testa. Recenti fotografie satellitari (realizzate da Google) hanno rivelato come a El Geneina, nel Darfur occidentale, ampie zone dalla città siano state distrutte e incendiate, con numerosi magazzini e ospedali interamente dati alle fiamme. Secondo il Centro per la resilienza dell’informazione, sono circa 50 le città in tutto il Sudan ad aver subito la medesima sorte. «Noi comboniani rimaniamo con il popolo – conclude padre Bedin –. Anche i sacerdoti locali e il vescovo condividono con la gente questo momento difficile. Cerchiamo, attraverso le celebrazioni liturgiche e la catechesi, di ravvivare la fede e la speranza nei nostri fedeli».