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Suor Giovanna da Ma’in: «Non restiamo in silenzio davanti a Gaza»

L’appello della religiosa della Piccola Famiglia dell’Annunziata al confine con la Cisgiordania

Un grido accorato che viene dalla Giordania, a pochi chilometri dal confine con la Cisgiordania. Suor Giovanna, della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Ma’in, ha diffuso in queste ore un appello che è insieme preghiera, denuncia e invito all’azione. Non è la prima volta che prende la parola: «Vi scrivo ancora — è la terza volta — ma lo faccio con il cuore sempre più pesante», spiega.

La religiosa descrive con parole dure e senza mezzi termini la situazione a Gaza, dopo la notizia di una nuova offensiva militare: «Netanyahu ha approvato un nuovo attacco per distruggere tutto. Non ce la faccio più a restare ferma. Restare inerti ci rende complici. Complici di un genocidio».

Suor Giovanna respinge l’idea che nulla possa cambiare: «Mi è stato detto più volte: tanto non serve a nulla. Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci. Ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possono rompere l’assuefazione e risvegliare le coscienze».

L’appello è rivolto in modo particolare alla Chiesa e alle comunità religiose. «Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente. Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere interiore, nascosta. Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso». E aggiunge: «Non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità».

Il testo si fa via via più concreto e propone un’iniziativa: radunare religiosi e religiose a Roma, davanti al Quirinale e in piazza San Pietro, per pregare giorno e notte, leggere i salmi e il Vangelo, e chiedere con forza «che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele» e che il Papa «vada a Gaza, condanni pubblicamente Israele e lanci appelli incessanti ai Paesi occidentali perché fermino il genocidio».

«Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile», scrive suor Giovanna, invitando tutte le comunità a mobilitarsi e a rompere la logica dell’impotenza. «Non basta più dirsi in preghiera. Non basta condannare la violenza in generale. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato?»

Il suo appello si chiude con una domanda che è un atto d’accusa e insieme una responsabilità collettiva: «Un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: “E tu, dov’eri?”».