Caritas

Terremoto, Caritas toscane in Turchia per aiutare ricostruzione

Monsignor Mario Vaccari, vescovo di Massa Carrara - Pontremoli e delegato per la Conferenza episcopale toscana per la pastorale della carità, ha partecipato insieme a quattro operatori di altrettante Caritas diocesane al primo incontro con i rappresentanti della Caritas Turchia per dare vita all’iniziativa dei gemellaggi internazionali

Il vescovo Mario Vaccari con i delegati delle Caritas toscane in Turchia

«Cinque giorni di viaggio in Turchia in cui abbiamo visto i progetti di Caritas nel Paese e in particolare in Anatolia e a Istanbul. Nel complesso un’esperienza molto arricchente che darà stimoli al gemellaggio, sia nell’ottica di futuri viaggi dei nostri volontari ma anche in previsione dell’accoglienza di operatori turchi in Italia per sperimentare le attività nelle quali abbiamo maggiore esperienza». Queste le parole di mons. Mario Vaccari, vescovo di Massa Carrara – Pontremoli e delegato per la Conferenza episcopale toscana per la pastorale della carità, che ha partecipato dal 20 al 24 novembre, insieme a quattro operatori di altrettante Caritas diocesane, al primo incontro con i rappresentanti della Caritas Turchia per dare vita all’iniziativa dei Gemellaggi internazionali promossi dalla Caritas Italiana.

Infatti, nell’ambito dell’azione nel settore della Mondialità, le delegazioni Caritas regionali furono associate a diversi Paesi del mondo nell’ottica di creare legami e relazioni tra chiese sorelle: la Turchia fu la prescelta per la Toscana.

La prima giornata è stata dedicata esclusivamente al viaggio con il gruppo che ha raggiunto prima Istanbul e poi con un volo interno l’aeroporto di Adana. Da lì altre due ore di viaggio per raggiungere Iskenderun (Alessandretta), sede del vicariato apostolico di Anatolia.

«Le Caritas non sono agenzie che erogano servizi, ma organismi pastorali che riconoscono in ciascuna persona la sua unicità e la sua preziosità» con queste parole, mons. Paolo Bizzeti, origini fiorentine, ha accolto il gruppo cercando di riassumere il senso del gemellaggio: non progetti o finanziamenti di nuove iniziative, ma legami e relazioni tra persone e, di conseguenza, chiese sorelle.

La diocesi di Anatolia è la più grande delle tre turche e comprende la zona devastata dal terremoto dello scorso 6 febbraio. Ragion per cui la visita si è concentrata sulle azioni messe in atto per supportare le famiglie e le persone colpite da questa tragedia. Qui la Caritas diocesana è ovviamente concentrata nel supporto agli sfollati, in vista dell’imminente arrivo dell’inverno. Rispetto alla missione in Turchia dello scorso luglio di 4 giovani operatori delle Caritas toscane (che abbiamo raccontato nelle nostre pagine), si notano piccoli progressi: alcuni campi informali sono diventati formali (quindi non più autonomi ma gestiti dalla Protezione civile turca) e sono stati predisposti nuovi container: piccoli spazi dove però il livello di confort aumenta rispetto alla tenda. Tanti però gli interventi ancora da attuare: alcuni grattacieli ormai inagibili sono stati rasi al suolo ma resta irrisolto l’immenso problema dello smaltimento delle macerie con tutto ciò che ne consegue per l’impatto ambientale e per la salute di chi respira quotidianamente quell’aria.

Quel che rimane invece è la speranza e la voglia di vivere nella cittadinanza. In tanti piccoli villaggi si iniziano a vedere (ri)nascere piccole attività: chi ha riaperto degli alimentari, chi è diventato parrucchiere, chi gestisce un minimarket. A Ovakent, per esempio, grazie anche all’impegno della rete Caritas e al supporto dei fondi raccolti durante la colletta straordinaria di marzo, sarà presto inaugurata una stalla che ospiterà 20 mucche e un nuovo kebab point che non fungerà solamente come spazio di ristoro ma anche come centro aggregativo in un villaggio dove quasi l’80% delle case sono state rese inagibili dalle tremende scosse.

Un momento di particolare intensità è stato sicuramente vissuto invece ad Antiochia, la città dove per la prima volta i seguaci di Cristo furono chiamati «cristiani». Qui mons. Vaccari ha celebrato la santa Messa assieme al parroco cappuccino padre Francis, di origine indiane, nel patio della sede parrocchiale. Con i toscani e gli operatori di Caritas italiana e Turchia, si è aggregata anche la piccolissima comunità locale: la Messa è stata celebrata in italiano, ma animata con canti in turco e arabo.

Nei giorni seguenti rientro a Istanbul e cambio di prospettiva: la Turchia occidentale, infatti non è stata colpita dal terremoto e opera su altri tipi di attività. La Caritas diocesana di Istanbul è molto attiva nell’ambito dei rifugiati, nel sostegno agli anziani, nella promozione del volontariato e nell’animazione della comunità. In collaborazione con le chiese locali sono stati da poco inaugurati dei nuovi spazi, tra cui il centro per la distribuzione del vestiario a cui il gruppo ha fatto visita. A Istanbul il gruppo ha incontrato anche suor Gloriosa, direttrice della Caritas della terza diocesi, quella di Smirne e l’ufficio nazionale che ha il compito di coordinare e supportare le attività che vengono svolte nei territori. A Smirne, le principali attività e sfide, vista la vicinanza con la Grecia (e quindi le porte dell’Europa) sono legate all’accoglienza dei migranti; da una settimana, inoltre, Caritas Italiana dispone di due nuovi volontari italiani giunti sul territorio tramite il progetto del ministero «Corpi Civili di Pace».

Riguardo al gemellaggio, infine, non esiste una ricetta «premeditata»: nei prossimi mesi è prevista una visita di una delegazione turca in Toscana e verranno stabilite delle iniziative che saranno proposte, probabilmente a partire dalla prossima estate, alle comunità locali.

«Mi hanno colpito molto le azioni di queste Caritas nei confronti dei rifugiati» le parole di mons. Vaccari: «In Turchia sono presenti tantissime etnie, ognuno con la sua storia e il suo viaggio. Questi operatori entrano veramente in contatto con i più poveri tra i poveri, comprendono i loro bisogni e trovano degli spazi per far sì che siano in grado di autosostenersi nel futuro. È davvero una presenza capillare che ci aiuta a comprendere come questa realtà si occupa dei poveri».

«Molto bella l’accoglienza della Chiesa locale» conclude il vescovo. «Abbiamo conosciuto diverse realtà della chiesa locale, tra cui i salesiani e i francescani, che collaborano per la stessa missione. Così come sono in dialogo con le tante e diverse confessioni perché essere cristiani è quello che unisce. Così come interessante è il dialogo aperto con il mondo dell’Islam».