Cultura & Società

Toscani di mare, i grandi viaggiatori/4

di Francesco Giannoni

Strana e movimentata la vita di Alessandro Malaspina. Vide la luce nel 1754 a Mulazzo, feudo di famiglia posto fra i rilievi della Lunigiana, trascorse gran parte della sua esistenza in mezzo agli oceani, fu incarcerato per qualche anno in una prigione a La Coruña, per tornare infine tra i monti dove era nato. In tenerissima età, inoltre, fu a Palermo insieme ai fratelli e ai genitori, perché Giovanni Fogliani Sforza, zio della madre, Caterina Meli Lupi di Soragna, era viceré di Sicilia, e invitò i nipoti a trasferirsi in quella città. Ma il soggiorno siciliano durò solo tre anni, dato che la vita di corte era troppo dispendiosa per le risorse del marchese Carlo Morello, padre di Alessandro. Quindi la famiglia fece ritorno in Lunigiana a eccezione di Alessandro che si fermò a Roma per compiere il suo corso di studi al Collegio Clementino. Qui, secondo lo spirito dell’epoca, si imparava di tutto, dando però particolare importanza alle scienze esatte, alla storia e alla geografia.

Terminati gli studi, entrò nell’Ordine dei Cavalieri di Malta (per cui né si sposò né ebbe figli) con il quale compì le prime esperienze di navigazione a caccia di pirati. La parentela con l’ex viceré di Sicilia gli consentì nel 1774 di entrare, direttamente con il grado di guardiamarina, all’Accademia della Real Marina di Spagna a Cadice.

Come detto, fu in mare per lunghi anni per conto della marina iberica, impegnato su diversi fronti: dalle spedizioni commerciali, a quelle militari a quelle scientifiche. Ma forse la navigazione non fu la sua vocazione più profonda e sentita: «in tutti i suoi scritti, infatti, Malaspina ha sempre dimostrato una particolare attitudine all’economia, al commercio e alla teoria politica». Non era un navigatore puro come il suo quasi contemporaneo James Cook (verso il quale Alessandro nutrì una vera e propria venerazione), «era un uomo dallo spirito, dalla cultura e dalla mentalità illuministi». Di questi abbiamo un riscontro per esempio nell’estrema meticolosità con cui Alessandro allestì le varie spedizioni. A differenza dei grandi navigatori italiani del passato, Malaspina aveva una «formazione intellettuale molto più complessa e degli interessi molto più vasti: è stato più di un navigatore».

A quell’epoca Spagna e Inghilterra erano continuamente in lotta fra loro. In palio, il dominio del mare e quindi dell’economia mondiale. A tale conflitto Malaspina partecipò in prima persona sulle navi iberiche comportandosi coraggiosamente e risolvendo brillantemente alcune difficili situazioni.

Fece carriera, e gli furono affidate alcune spedizioni scientifiche. Una di queste è rimasta particolarmente famosa: quella salpata da Cadice il 30 luglio 1789. Era stata minuziosamente preparata: sulle navi (Descubierta e Atrevida, due corvette gemelle costruite appositamente per questa missione) furono caricati una ricca biblioteca, tutti gli strumenti scientifici più moderni, le carte nautiche più aggiornate e una squadra dei migliori scienziati allora in circolazione, in Spagna e altrove, il cui lavoro fu coordinato da Malaspina. Lo spettro di indagine era assai ampio: dalle scienze naturali all’astronomia, dalla cartografia ai costumi degli indigeni, alle caratteristiche economiche dei vari paesi.

Malaspina era consapevole che ormai, dopo i viaggi di Cook, non ci fossero più nuove terre da scoprire. La Spagna, semmai, aveva il problema di approfondire la conoscenza delle colonie facenti parte del suo immenso impero le cui peculiarità e le cui potenzialità erano in gran parte ancora sconosciute.

Durante il lungo viaggio, Malaspina, fra l’altro, eseguì rilevazioni sul differente livello dei due oceani da una parte e dall’altra di Panama per vagliare la possibilità di «tagliare» un canale che unisse il Pacifico con l’Atlantico. Alessandro fu quindi un precursore anche se secondo lui sarebbe stato più pratico compiere l’opera nel Nicaragua utilizzando alcuni laghi interni di quel paese. Tutto questo, com’è noto, per evitare di doppiare capo Horn, molto pericoloso per i venti e le correnti marine, e lontanissimo, all’estremità dell’America del Sud.

Mentre la spedizione era all’ancora nella base messicana di Acapulco, dalla madre patria giunse l’ordine di svolgere ricerche sul mitico «passaggio a nord ovest». Dal ‘500 in poi di quando in quando saltavano fuori relazioni scritte da avventurieri o da mitomani che cercavano di spillare soldi a qualche sovrano sostenendo l’esistenza di un passaggio a nord del Canada per spostarsi velocemente dall’Atlantico al Pacifico. Ogni tanto venivano organizzate esplorazioni per verificare la fondatezza di questa teoria. In effetti il passaggio esiste: è lo stretto di Baffin che, però, anche oggi è percorribile solo con i rompighiaccio.

Una di queste relazioni fu trovata proprio durante l’allestimento della spedizione Malaspina; era stata scritta ai primi del ‘600 da un certo Lorenzo Ferrer Maldonado che sosteneva di avere viaggiato in cinque giorni dalla baia di Hudson fino all’Alaska. Malaspina, pur essendo convinto che il passaggio non esistesse, ubbidì agli ordini e si mise in viaggio. Il passaggio non fu trovato, ma con l’occasione Alessandro esplorò per primo lo stretto di Vancouver. Più a nord fu studiato il Monte Sant’Elia in Alaska da cui scende un ghiacciaio che sugli atlanti è indicato come Ghiacciaio Malaspina, esteso per più di 2000 km, uno dei più celebri del mondo.

Nonostante i suoi indubbi e numerosi meriti scientifici, quando Alessandro tornò in Spagna cadde in disgrazia presso la corte. Nei cinque anni in cui era rimasto lontano da casa, c’era stata la rivoluzione francese che aveva sconquassato l’intera Europa. Malaspina aveva da tempo compreso che l’impero spagnolo era vicino al tracollo, aveva capito che se non si fosse rinnovata l’organizzazione del paese, introducendo il libero commercio, il decentramento amministrativo e la tolleranza religiosa, sarebbe successo alla Spagna quello che era accaduto all’Inghilterra con le colonie americane vent’anni prima.

Quindi stilò un piano di riforme che intendeva proporre al sovrano. Ma sul trono non c’era più l’illuminato Carlo III che aveva autorizzato la spedizione scientifica di Malaspina, ma Carlo IV che aveva scelto come primo ministro Manuel Godoy, un giovane cinico e rotto alle avventure del potere. Questi aveva organizzato a corte una rete di spie.

Secondo Malaspina per introdurre le riforme bisognava cominciare a cambiare il governo. Godoy, informato di questi progetti, fece credere al re che Malaspina aveva l’intenzione di sostituire la monarchia introducendo anche in Spagna la repubblica giacobina. Il re si fidava ciecamente del suo ministro: senza indugio fece arrestare Malaspina, imprigionandolo nel castello di San Antón a La Coruña in Galizia dove il navigatore rimase dal 1795 al 1802.

Durante la segregazione Alessandro scrisse tanto. Lo fece per se stesso, coltivando quelle passioni che non aveva potuto nutrire mentre era ufficiale di marina. Elaborò un trattato sul valore delle monete di Spagna, una critica letteraria del Don Chisciotte, rimasti inediti sino a pochi anni orsono. Redasse anche un trattato sul concetto universale di bellezza che è in fase di traduzione a cura dello studioso Dario Manfredi e che sarà pubblicato prossimamente.

Alessandro scriveva in uno spagnolo infarcito di italianismi: non si impadronì mai bene della lingua. Fortunatamente aveva una grafia molto chiara e precisa ma qualche volta è difficile anche per gli spagnoli capire quel che ha scritto: ogni tanto, anche se raramente, si trovano vocaboli che non sono né italiani né spagnoli; dice Manfredi: «quando mi imbatto in tali parole, telefono a qualche amico spagnolo per avere chiarimenti e lui mi risponde che credeva fosse una parola italiana».

Malaspina fu liberato alla fine del 1802 per interessamento di alcuni amici e intellettuali di un certo peso che fecero pressioni sullo stesso Napoleone. Ritornò in Lunigiana nel 1803 e la trovò profondamente cambiata: i primi tempi provò a suggerire l’applicazione di qualche riforma amministrativa all’interno del Regno d’Italia e del Regno d’Etruria, ma fu seguito solo in parte.

Poi sopraggiunsero la stanchezza e il bisogno di curare i propri interessi perché Luigi, il fratello minore, gli aveva sottratto parte delle sue sostanze, e quindi Alessandro doveva seguire i vari processi istituiti per dirimere la contesa. Nel 1805, infine, erano apparsi i primi sintomi di quel cancro al colon che cinque anni più tardi lo condusse a morte.