Cultura & Società

Toscani di mare, i grandi viaggiatori/5

Per la nostra serie sui grandi navigatori toscani, parliamo questa settimana di Edoardo Beccari, nato a Firenze nel 1843, la cui fama è legata alla scoperta dell’Amorphophallus titanum, l’infiorescenza più grande del mondo, che può raggiungere i tre metri di altezza, scambiata dallo studioso per il tronco di un albero.

Odoardo  BECCARI,«Orso» coi colleghi amabile con gli indigeni

di Francesco Giannoni

Edoardo Beccari, uno dei più grandi scienziati del XIX secolo (fu zoologo, etnologo e botanico), nacque a Firenze nel 1843, nei pressi di piazza Santa Croce, casualmente a due passi dalle magioni di due altri navigatori ed esploratori: Andrea Corsali e Giovanni da Verrazzano.

Presto orfano di madre e di padre, fu allevato da uno zio che poi lo fece studiare in un collegio, vicino a Lucca. Odoardo iniziò subito le sue ricerche naturalistiche. Vi si immerse completamente, rimanendo sordo ed estraneo alle contemporanee vicende risorgimentali. Nel 1861, ancora studente di Scienze naturali di Pisa, fu nominato assistente di Botanica da Pietro Savi, direttore dello storico Orto botanico della città.

In seguito si trasferì a Bologna dove si laureò nel 1863. Qui conobbe il naturalista genovese Giacomo Doria. I due divennero amici. E per Odoardo fu uno dei pochi, se non l’unico. Non a caso tutte le collezioni scientifiche di Beccari sono custodite al Museo di storia naturale di Genova.

Quello delle relazioni umane è un aspetto fondamentale della personalità di Beccari: «era un misantropo, aveva un carattere terribile». Le missioni (in Etiopia, Australia, Tasmania, Nuova Zelanda, India, Nuova Guinea ecc.) venivano progettate insieme ad altri colleghi, ma alla fine rimaneva sempre solo.

Pare perfino che Beccari avesse organizzato un viaggio insieme a un fratello. Questi, incapace di reggere alle durissime condizioni di vita imposte dalla spedizione, la abbandonò dopo poco. Fu tale la delusione che Odoardo ripudiò il fratello e non volle più averci a che fare neanche in punto di morte.

In effetti il modo di vivere di Beccari durante le esplorazioni era davvero inconsueto: per esempio si costruiva capanne sugli alberi, come certe tribù indigene. (Questo avveniva anche per cercare di ovviare all’umidità del clima di alcuni paesi e preservare così le sue collezioni, soprattutto quelle botaniche, facilmente deperibili). Chiamò una di queste capanne Vallombrosa: «forse fu l’unico momento in cui ebbe nostalgia di casa».

«Orso» con i suoi colleghi, viceversa si integrò benissimo con gli indigeni, magari cannibali e tagliatori di teste. Forse fu facilitato dalla curiosità che suscitava presso di loro: con lui vedevano, probabilmente per la prima volta, l’uomo bianco. In rari casi, come lui ci racconta, dovette usare la polvere da sparo, beninteso non per colpirli, ma solo per eseguire una sorta di giochi di prestigio e impressionarli. Così gli indigeni lo consideravano uno stregone e non volevano più farlo partire.

Motivato, risoluto, determinato, ebbe la «sua» vocazione, la «sua» missione e su quella focalizzò la sua vita. La grande passione fu la botanica, soprattutto lo studio delle palme di cui descrisse ben 130 specie. Le classificò e raffigurò tutte: il suo è uno dei cataloghi più completi e sistematici di questa specie ed è stato tradotto in più lingue.Fu un eccellente disegnatore: riportava sulla carta tutto quello che studiava, dagli organi interni degli oranghi, alle piante, ai tipi umani. Fu anche un ottimo fotografo: si costruì una camera oscura speciale che lui «molto modestamente» battezzò «Camera oscura Beccari».

Odoardo concepì una singolare teoria evoluzionistica che però ebbe scarso seguito: a favore di Lamarck e contrario a Darwin (con cui ebbe rapporti personali di cui però non ha scritto niente, né «in famiglia circolano aneddoti»), credette nell’ereditarietà dei caratteri, acquisiti solo durante un’epoca remota da lui chiamata «epoca plasmativa». In essa le piante e gli animali furono «malleabili»: tutto avvenne in quel preciso periodo creativo, dopodiché ogni cambiamento o evoluzione terminò.

La fama di Beccari è legata a una scoperta avvenuta nel 1878, al tempo del suo terzo viaggio in estremo oriente. Durante una marcia nelle foreste montane di Sumatra, per riposarsi si appoggiò a quello che credeva il tronco di un albero. Era in realtà l’Amorphophallus titanum, l’infiorescenza più grande del mondo, che può raggiungere i tre metri di altezza.

Di questa specie mandò i semi al Kew Gardens di Londra dove, subito dopo la laurea, aveva vissuto alcuni mesi e dove, oltre a Darwin, aveva conosciuto i botanici William Jackson Hooker e il figlio Joseph Dalton, nonché James Brooke, rajah di Sarawak in Malesia.

Nella capitale inglese si verificò la prima fioritura in serra dell’Amorphophallus titanum. A Firenze, questa è avvenuta solo una decina di anni fa nel Giardino dei Semplici (che Beccari diresse, ma per pochi mesi perché presto entrò in contrasto con l’Istituto degli Studi Superiori): «forse tale ritardo è dovuto a una ‘maledizione’ di Odoardo».

Quasi ignorato dal mondo accademico italiano, Beccari poté godere, invece, di notevoli riconoscimenti da parte della comunità scientifica internazionale. Ancora oggi, soprattutto dall’Inghilterra, arrivano ai discendenti richieste per poter vedere le palme piantate da Beccari nel parco della villa di Ripoli, che, anche se ormai ibridate, hanno sempre un valore storico-botanico.

Nonostante le difficoltà nei rapporti interpersonali, Odoardo riuscì a sposarsi con Nella Goretti de Flamini che «doveva essere una santa donna, a lui assai devota perché sopportarlo era un’impresa». Dal matrimonio nacquero quattro figli: Dino, Baccio, Nello e Renzo. Sorprendentemente Beccari fu un padre attento e tenero, soprattutto verso Baccio che ebbe gravi problemi di salute.Desiderò invano la figlia femmina. Forse per questo vestiva da bambina quello che nascita dopo nascita era il più piccolo: «l’ultimo fu mio nonno Renzo che, comunque, le assicuro non ha subito nessun trauma». Al definitivo rientro in Italia dai suoi viaggi intorno al mondo, visse nell’avita dimora vicino a Badia a Ripoli, oltre che nella tenuta acquistata nei pressi di Radda in Chianti. Rimase comunque la persona schiva di sempre fino alla morte avvenuta nella città natale nel 1920.E Salgari fu ispiratodal viaggiatore fiorentinoLa curiosità

Il libro di Paolo Ciampi «Gli occhi di Salgari. Avventure e scoperte di Odoardo Beccari, viaggiatore fiorentino» (Edizioni Polistampa, pagine 304, euro 18) espone ampiamente un fatto curioso e interessante.

È noto che Emilio Salgari illustrò le foreste di Borneo, teatro delle avventure di Sandokan e dei suoi «tigrotti», con tale dovizia di particolari da far pensare che il romanziere le abbia esplorate personalmente.

È noto invece che mai oltrepassò l’Adriatico.

Le descrizioni di piante, fiori, animali di quei lontani paesi, Salgari le riprese molto fedelmente dai resoconti e dalle lettere che Beccari scriveva dalla giungla.

Fra l’altro, uno dei personaggi «inventati» dal romanziere è l’acerrimo nemico di Sandokan, quel rajah James Brooke che, come detto, Beccari aveva conosciuto a Londra.