Cet Notizie

«Tutte le genti verranno a Te». Lettera Cei sulle migrazioni

Lettera del Consiglio Episcopale Permanentealle comunità cristiane su migrazioni e pastorale d’insieme «Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome?Poiché tu solo sei santo.Tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te,perché i tuoi giusti giudizi si sono manifestati» (Ap 15,4) Sorelle e fratelli nel Signore!1. Ci rivolgiamo a voi, nella forma confidenziale di una lettera, per richiamare una verità fondamentale: il Vangelo, accolto da noi come Parola di vita, è messo nelle nostre mani perché ne diventiamo testimoni e annunciatori verso tutti coloro che il Signore pone sul nostro cammino. Oggi, sospinti da molteplici cause, spesso profughi o in fuga dalla fame e dall’indigenza, per vie non di rado avventurose e drammatiche continuano a giungere tra noi migranti da ogni continente: anch’essi, come ogni uomo e donna della terra, sono destinatari del Vangelo. Il Signore conta su di noi, perché giunga a loro, come a fratelli e sorelle carissimi, la bella notizia della salvezza.

Desideriamo anzitutto ringraziare e incoraggiare quanti a livello nazionale, regionale, diocesano e parrocchiale si stanno da tempo prodigando perché il Vangelo sia presentato agli immigrati, mediante la testimonianza della carità e le varie forme di promozione umana e con l’annuncio diretto a chi non l’ha ancora conosciuto o a chi, anche a causa delle vicende migratorie, rischia di perderne la memoria.

In questi anni si sono moltiplicate le letture del fenomeno migratorio, con sensibilità e mentalità diverse, con varietà di reazioni e valutazioni; tanti infatti sono i problemi, complessi e scottanti, ad esso collegati. Con il coraggio della fede e l’audacia della carità, vogliamo riconoscere che l’intenso e multiforme migrare di così tante persone è in primo luogo per le nostre comunità un vero areopago di evangelizzazione. Ogni cristiano non può non riconoscervi un’occasione provvidenziale per sentirsi confermato e rinnovato nel proprio credere, se è vero che «la fede si rafforza donandola» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 2).

Il Signore Gesù ha voluto identificarsi con questi nostri fratelli e sorelle: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35). Dobbiamo riscoprire tutta la responsabilità di questa prospettiva esaltante, capace di inondarci di luce interiore, per riconoscere fin d’ora il Cristo nel volto non sempre trasfigurato, spesso anzi sfigurato, dello straniero.

La recente Nota pastorale dell’Episcopato italiano Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, richiamando il n. 58 degli orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, ha riproposto all’attenzione delle nostre Chiese il tema delle migrazioni e ha individuato nelle migrazioni un vero kairòs, un fattore qualificante di rinnovamento per la parrocchia, se questa saprà valorizzare e sviluppare nei confronti dei migranti «le potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella pastorale ordinaria» (n. 5). Tra i mutamenti in atto, infatti, occorre prestare particolare attenzione alla crescente presenza in Italia di tanti stranieri, con evidenti risvolti sociali, economici, culturali ed anche religiosi. Nei loro confronti la comunità ecclesiale italiana, fedele al Vangelo della carità, ha svolto con generosità un ruolo attivo e solidale nell’accoglienza, maturando nel contempo una progressiva consapevolezza che l’attenzione ai migranti configura un capitolo nuovo, sostanzialmente inedito, dell’impegno missionario, aprendo spazi inediti per mostrare come al centro del Vangelo della carità ci sia la carità del Vangelo.

Inserita nella pastorale ordinaria, che coinvolge parrocchie, organismi e gruppi ecclesiali e di ispirazione cristiana, la pastorale per i migranti tende a configurarsi come una pastorale d’insieme di ampio respiro missionario. Questa prospettiva, è stata approfondita in un Convegno svolto a Castelgandolfo (25-28 febbraio 2003) sul tema “Tutte le genti verranno a Te”. Le indicazioni finali di quel Convegno, preparato unitariamente da più organismi e uffici pastorali, sono state oggetto di riflessione nel Consiglio Episcopale Permanente e vengono ora riproposte in questa Lettera.

L’orizzonte missionario delle migrazioni2. Negli orientamenti pastorali per questi anni, abbiamo affermato che «la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 32). Si tratta di una “conversione pastorale” della quale siamo convinti, anche se nelle nostre comunità c’è ancora molto da fare perché essa sia meno declamata e più realizzata.

Per poter collocare dentro questo orizzonte anche il mondo delle migrazioni, si richiede che queste siano avvertite come risorsa provvidenziale di missionarietà. La presenza straniera in Italia, infatti, rappresenta uno specifico e sempre più rilevante campo d’azione per l’opera di evangelizzazione, intesa nel senso più ampio, a partire dalla stessa missio ad gentes. Diverse realtà ecclesiali hanno saputo proporre in questi anni una vasta gamma di interventi assistenziali, promozionali e formativi, che solo la “fantasia della carità” poteva pensare; non di rado anche con gesti e parole profetici.

Nel contesto di questa esperienza, nelle nostre Chiese, si è andata sempre più radicando la consapevolezza che l’evangelizzazione promuove l’uomo nella sua interezza e che questa promozione della persona umana rappresenta di per sé una significativa azione evangelizzatrice; anzi è già, benché non in modo pieno, evangelizzazione. Con il passare degli anni, però, si è fatta anche sempre più avvertita ed esplicita la necessità di prestare attenzione alle istanze religiose che il migrante, in forma più o meno consapevole, porta con sé. Si è così intensificata nei loro confronti e nei confronti dei rispettivi gruppi etnici di provenienza un’opera di evangelizzazione diretta, risultata peraltro più credibile ed efficace grazie alla prosecuzione delle iniziative sociali, caritative, di promozione umana, culturale e spirituale realizzate in loro favore.

Pur constatando che, per grazia di Dio, tante sono le forze mobilitate su questo fronte, riteniamo urgente che la comunità cristiana prenda coscienza e senta come propria la sollecitudine per questa nuova missione che la interpella: «Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 3). Liberandosi da ogni atteggiamento di delega a pochi addetti ai lavori, tutti i fedeli cristiani devono sentirsi chiamati a essere Chiesa missionaria. Infatti, quelli che un tempo erano geograficamente lontani oggi sono divenuti vicini, stanno in mezzo a noi, e chiedono ragione della fede che ci è stata donata. Sarà, inoltre, la stessa Chiesa a trarre giovamento dal contatto con i migranti, se si lascerà interrogare e provocare a continua conversione. I grandi problemi suscitati dalle migrazioni, infatti, toccano aspetti essenziali della vita cristiana, in primo luogo la carità, sotto forma di accoglienza, giustizia, convivialità, riconciliazione, perdono, ecc.; ma toccano pure l’annuncio, l’ascolto, il dialogo. In questa prospettiva i credenti e le comunità cristiane potranno percepire, nell’abbondante messe delle migrazioni, una nuova primavera per essere Chiesa missionaria.

Sarebbe tuttavia ingenuo attendersi che tale novità venga assunta in modo spontaneo, quasi che un rinnovato impegno missionario possa nascere senza una base di adeguata consapevolezza. Occorre sensibilizzare e accompagnare i credenti affinché attraverso questa nuova opportunità diventino discepoli e apostoli insieme.

3. Alcune recenti rilevazioni statistiche mostrano che dal punto di vista religioso i migranti, giunti ormai in Italia a quasi tre milioni, possono essere raggruppati in tre tipologie: circa la metà sono non cristiani; l’altra metà è suddivisa in parti pressoché uguali tra cattolici e non cattolici.

Verso un numero consistente di migranti residenti in Italia, «quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro» (At 2,39), siamo debitori del primo annuncio del Vangelo e di una testimonianza coerente di vita. Il Signore, infatti, vive nel cuore di ogni persona creata a sua immagine e alimenta l’inquietudine che tende alla ricerca di lui, anche in modo inconsapevole. Abbiamo il dovere di dare un volto a questo desiderio di pienezza di vita che anima ogni uomo e ogni donna, quel volto che ha i lineamenti di Gesù Cristo, il salvatore di tutti. Il dialogo interreligioso resta un dovere che scaturisce dalla nostra stessa fede ed è strumento decisivo anche per una serena convivenza civile, oltre che testimonianza importante della trascendenza; esso però non è alternativo all’annuncio. Questo, rifuggendo le forme del proselitismo, resta un dovere fondamentale di ogni cristiano, mandato per comunicare a tutti il bene prezioso della fede in Cristo che ha ricevuto.

Uno spazio concreto di esercizio del cammino ecumenico, che sollecita gesti concreti di fraterna accoglienza, ci è offerto dal numero rilevante tra gli immigrati di cristiani non cattolici. Tra loro si fa sempre più consistente, in termini assoluti e percentuali, la presenza degli ortodossi, provenienti soprattutto dai paesi dell’Est. La comunione di fede e di esperienze esistenziali è facilitata nei loro riguardi dalla condivisione di radici culturali comuni e dal riconoscimento della presenza tra loro di essenziali elementi di santificazione e di verità. Su questa base va fatto crescere il dialogo e la fraternità, aiutando queste comunità nell’esercizio della loro vita di fede, approfondendo la reciproca conoscenza, cercando momenti di comune lode del Signore Gesù.

Sempre più considerevole in questi ultimi anni è divenuto anche il numero dei migranti che professano la fede cattolica. Parte di loro sembra ancora “gregge senza pastore”; altri sono già inseriti nelle parrocchie e le arricchiscono con la bellezza e varietà delle espressioni di fede dei loro paesi d’origine; altri, infine, hanno possibilità di usufruire del servizio religioso nei centri pastorali etnici a loro dedicati. Si tratta di una provvidenziale opportunità offerta a questi cattolici stranieri, i quali, pur avendo conservato o recuperato in Italia la vivacità della loro fede, hanno bisogno di un’attenta cura pastorale, che tenga conto di specifiche esigenze di lingua, cultura e tradizione. Occorre poi non ignorare le difficoltà conseguenti ai traumi che accompagnano la vicenda migratoria, le tentazioni secolarizzanti della nostra società e le suggestioni esercitate dal proselitismo militante delle sètte e dei nuovi movimenti religiosi. Tanti, inoltre, si presentano bisognosi di “rievangelizzazione” o di una “nuova evangelizzazione”; benché infatti non sia del tutto cancellato in loro un autentico sentimento religioso cristiano e un certo senso di appartenenza alla Chiesa, non hanno però potuto godere nel loro Paese di origine di un accompagnamento capace di condurli a una vera e matura esperienza di fede.

Si apre dunque per le nostre comunità e per i singoli credenti un nuovo campo d’azione in nome del Vangelo, una messe abbondante che proprio per la sua vastità e varietà richiede una profonda comunione e sintonia spirituale, una convergenza di intenti e di azioni, così da poter tradurre sempre più in atto, anche nell’ambito delle migrazioni, una vera pastorale d’insieme. Si tratta di condividere una duplice responsabilità: offrire il primo annuncio a coloro che non hanno ancora incontrato Cristo e confermare nella fede quelli che dalla loro condizione di migranti possono ricevere un pregiudizio nell’esercizio della sua sequela. Questo dovrà avvenire mediante un’azione pastorale organica, che si preoccupi di trovare forme adeguate alle diverse culture nel trasmettere la fede e nel sostenerla; ma dovrà sempre poter far affidamento su una testimonianza, quale quella mirabilmente descritta nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, così che la vita delle nostre comunità faccia «salire nel cuore… domande irresistibili: perché sono così? perché vivono in tal modo? che cosa o chi li ispira? perché sono in mezzo a noi?» (PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 21).

La prevalente attenzione all’immigrazione non deve, infine, farci trascurare le altre forme di mobilità che interessano molte diocesi, come il protrarsi degli spostamenti degli stessi italiani dal Sud al Nord del Paese e la persistente massiccia presenza di emigrati italiani, soprattutto nell’area europea. Né vanno dimenticati gli altri fenomeni che chiedono specifica attenzione pastorale, come i nomadi, i marinai, i circensi, i lunaparkisti, ecc. Anche per loro valgono gli stessi interrogativi e le stesse urgenze intorno al primato dell’evangelizzazione.

La necessità di una pastorale d’insieme4. Nei confronti delle molteplici problematiche connesse al fenomeno delle migrazioni abbiamo assistito con soddisfazione, in questi anni, alla crescita di assunzione di responsabilità da parte di numerosi soggetti ecclesiali. Ognuno di loro si è mosso con generosità in coerenza con la propria identità, realizzando una sorprendente varietà di iniziative, con esiti che sono stati più efficaci quanto maggiore è stata l’intesa e la collaborazione tra uffici, servizi e organismi, come si è potuto rilevare e apprezzare nel Convegno di Castelgandolfo. Come vescovi, desideriamo incoraggiare singoli fedeli e aggregazioni ecclesiali a mettersi a servizio di una effettiva pastorale d’insieme, avviandola là dove non è ancora in atto, consolidandola se già operante. Ci sollecita a sollecitare questa convergenza di intenti e di attività la convinzione che, se l’evangelizzazione dei migranti ha come sua finalità la comunione di tutti i popoli nell’unica famiglia di Dio, il lavorare assieme è già segno ed esperienza di quello che annunciamo, così come la mancanza o la scarsità di comunione tra i protagonisti dell’evangelizzazione costituisce impedimento alla comunicazione del Vangelo.La pastorale d’insieme nel settore delle migrazioni comporta, come è ovvio, coordinamento, sinergia e armonizzazione, ma non compromette l’autonomia e gli spazi operativi delle singole realtà che vi convergono. La comunione non annulla la diversità e chiama tutti a vivere il proprio impegno da veri protagonisti ma non isolatamente.

5. I campi di applicazione della pastorale d’insieme nel settore delle migrazioni sono quelli della vita quotidiana delle nostre comunità: annuncio, catecumenato, catechesi, liturgia, carità, pastorale familiare, giovanile, scolastica, vocazionale, missionaria, ecumenica, del lavoro, del tempo libero, della salute, della comunicazione e della cultura. Ciascuno di questi ambiti fa riferimento a uno specifico ufficio od organismo diocesano, ma comporta inevitabili e provvidenziali punti di contatto con altri servizi, offrendo opportunità per programmi articolati e integrati.

Le indicazioni che seguono sono esemplificative di quanto in ciascuna diocesi potrà essere più concretamente programmato.a) Cura pastorale dei migranti cattolici. È coordinata dal direttore diocesano della Migrantes, con la collaborazione dei cappellani, dei coordinatori nazionali della pastorale etnica, e soprattutto dei parroci nel cui territorio parrocchiale sono presenti migranti cattolici e centri pastorali per singole etnie o nazionalità. Pur attuando un’azione pastorale specifica per questi gruppi di cattolici, occorre evitare che essi divengano realtà chiuse e favorire un contatto organico con la realtà parrocchiale. b) Dialogo ecumenico. Richiede una specifica cura pastorale a motivo della crescente presenza di cristiani non cattolici fra gli immigrati e coinvolge la responsabilità di organismi diocesani nella celebrazione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nel rapporto con gli operatori pastorali di questi gruppi di fedeli, nella concessione di luoghi di culto per le loro esigenze liturgiche, ecc. c) Missione ad gentes nelle nostre Chiese. Per essa abbiamo espresso un chiaro e incisivo richiamo nei nostri orientamenti pastorali per questo decennio: «Dobbiamo affrontare un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello dell’evangelizzazione di persone condotte tra noi dalle migrazioni in atto. Ci è chiesto in un certo senso di compiere la missione ad gentes qui nelle nostre terre… in modo che li raggiunga la benedizione di Dio promessa ad Abramo per tutte le genti (cfr Gen 12,3)» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 58). Rientrano in questa missione evangelizzatrice anche le varie forme di dialogo interreligioso con i non cristiani, quanto si riferisce ai loro luoghi di incontro e di culto, agli incontri sul modello di quelli promossi dal Santo Padre in Assisi, ai matrimoni misti. Resta primario il compito di un annuncio diretto, convinto e pronto del Vangelo, «con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,15). Un compito così ampio interpella in primo luogo sia il servizio per il catecumenato che l’ufficio e il centro missionario della diocesi, ma pure altre forze ecclesiali, come sacerdoti fidei donum, religiosi, religiose e laici con esperienza di missione. d) Carità e promozione umana. Molti immigrati hanno sperimentato un primo contatto con la comunità ecclesiale grazie al calore di rapporti umani e a iniziative di solidarietà, promosse da centri di accoglienza, da caritas parrocchiali e diocesane, da gruppi di volontari evangelicamente motivati. Queste forze vive, capillarmente presenti nelle nostre Chiese locali, debitamente formate e sensibilizzate anche sul piano missionario, possono risultare efficaci strumenti di evangelizzazione, se riescono a far emergere le ragioni di fede che sostengono nel loro cuore il gesto della carità. e) Pastorale familiare. Dovrà dedicare particolare attenzione alle famiglie degli immigrati, coinvolgendo anche altre istituzioni, come i centri per la vita e i consultori familiari. Sarà utile inoltre il collegamento con chi può interessarsi dei ricongiungimenti familiari, del problema abitativo, degli asili nido, delle scuole materne e delle varie forme di assistenza sociale. Si tratta di includere anche agli immigrati tra i beneficiari di un compito oggi sempre più urgente nella nostra società: il sostegno alla famiglia e alla sua precisa identità nel progetto di Dio.f) Minori e giovani. Parrocchie, gruppi culturali, sportivi e di solidarietà, oratori, scuole e ogni altro ambiente dove possono incontrarsi i giovani, registrano un rapido aumento della presenza di ragazzi e ragazze stranieri, anche di seconda generazione. Diverse diocesi sono impegnate pure nel sostegno a universitari stranieri. Va poi tenuto presente che nella scuola pubblica molti alunni non cristiani si avvalgono, per libera scelta, dell’insegnamento della religione cattolica. È tutto un ambito di lavoro che non sollecita soltanto gli addetti alla pastorale giovanile, ma incrocia le responsabilità di tutta la comunità cristiana, che nei giovani riconosce il campo della futura primavera della fede.g) Lavoratori. Gli operatori di pastorale del lavoro, le associazioni professionali cristiane e i vari patronati hanno molte opportunità per tutelare i lavoratori immigrati che, a motivo della loro situazione precaria, spesso accettano occupazioni umili e poco gratificanti, e non poche volte sono costretti a subire forme svariate di sfruttamento, con pregiudizio della salute, dell’unità familiare e del cammino d’integrazione. Occorre inoltre predisporre iniziative per qualificare questi lavoratori e aiutarne l’assunzione di responsabilità, in particolare favorendo la loro formazione anche professionale e coinvolgendoli, insieme ai lavoratori italiani, nella salvaguardia dei propri diritti e nelle iniziative per l’evangelizzazione del mondo del lavoro.h) Altre situazioni. È difficile anche solo elencare gli ambiti socio-pastorali nei quali è attiva la presenza della Chiesa; ne esemplifichiamo i più comuni e diffusi: visita e assistenza agli stranieri negli ospedali e nelle carceri, scuole di alfabetizzazione e di cultura italiana, approccio alla pubblica amministrazione, interventi contro la tratta delle donne straniere e lotta al razzismo e all’intolleranza. Meritano di essere citate altresì le molteplici iniziative volte a favorire l’integrazione e l’accoglienza degli immigrati, come, ad esempio, le “feste dei popoli”, le celebrazioni con il vescovo in cattedrale nella solennità dell’Epifania o di Pentecoste,la promozione dell’associazionismo etnico e misto. Ricordiamo altresì il contributo dato da organismi e aggregazioni ecclesiali alla elaborazione di normative ispirate al senso civico e solidaristico, la partecipazione agli organismi di rappresentanza come le consulte e i consigli territoriali per l’immigrazione; l’aggiornamento dei dati riguardanti la presenza di immigrati sul territorio e la loro appartenenza religiosa, il sostegno ai tanti programmi di cooperazione internazionale. Impegno comune è anche la celebrazione annuale della giornata nazionale delle migrazioni.Di fronte a questa molteplicità di ambiti e iniziative pastorali, di forze ecclesiali già impegnate o chiamate a crescere nell’assunzione di responsabilità, il Convegno di Castelgandolfo ha proposto alle Chiese che sono in Italia l’opportunità di instaurare o consolidare forme di coordinamento, agile e snello, ma stabile e riconosciuto. È auspicabile che esso sia istituito in ogni diocesi, ma potrà anche avere carattere interdiocesano o interparrocchiale e denominarsi segretariato o commissione. Tuttavia è di fondamentale importanza la designazione di un responsabile, che può essere o il titolare di un ufficio di Curia o un vicario episcopale. Con atteggiamenti di coinvolgimento e di valorizzazione di tutti i soggetti, egli provvederà a tessere una rete di presenze evangelizzanti della Chiesa a favore degli uomini e delle donne che da paesi lontani e con situazioni religiose diverse sono giunti tra noi.

6. Carissimi nel Signore, vi abbiamo manifestato il nostro pensiero sulle urgenze pastorali connesse con il fenomeno delle migrazioni, invitandovi a guardare le persone degli immigrati, fratelli nella fede e nell’umanità, che ci interpellano chiedendo una parola di speranza e di verità oltre che un cuore accogliente. Le nostre Chiese, che non hanno mai ignorato questa attesa, devono sapere offrire loro Cristo salvatore, attraverso un’organica azione pastorale, sussidiata da strutture e strumenti appositamente predisposti. Infatti il cammino missionario delle nostre comunità, già così attivo su tanti fronti, potrà così arricchirsi di questo particolare dono che, grazie alla varietà dei popoli che oggi vivono nel nostro Paese, ci permette di rispondere con gioia all’invito dello Spirito a condividere con tutti gli uomini la nostra fede che «Gesù è il Signore!» (Rm 10,9).

Mentre incoraggiamo a perseverare quanti già operano in questo settore di frontiera, invitiamo tutti gli operatori pastorali a farsi compagni di viaggio dei migranti, memori della parola del Signore: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), e al tempo stesso convinti che anche nei loro riguardi vale il mandato apostolico: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Ci sostiene la certezza della parola che Gesù subito dopo aggiunge: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Maria santissima, “Madonna del cammino”, ci ottenga dal Padre disponibilità all’accoglienza e al dialogo e spirito di servizio, perché possiamo offrire a quanti incontriamo sul nostro cammino l’esperienza unica del suo Amore, che salva e rende tutti un solo popolo in Cristo Gesù.Roma, 21 novembre 2004Solennità di N.S. Gesù CristoRe dell’universo91a Giornata nazionale per le migrazioniIL CONSIGLIO PERMANENTEDELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA