Toscana

Un cittadino su due beve acqua del rubinetto

di Ennio Cicali

Liscia, gassata o di rubinetto? È stato fino a oggi il dilemma di molti consumatori, non sempre soddisfatti della qualità del prezioso alimento. Insoddisfazione all’origine del boom delle acque in bottiglia: 12,5 miliardi di litri consumati in Italia, con un fatturato alla vendita di 3 miliardi e mezzo di euro. Considerata poco affidabile l’«acqua del sindaco» è stata per molto tempo relegata agli usi domestici: la cucina, il bagno, il lavaggio dei panni.

Oggi non è più così: un toscano su tre beve sempre l’acqua del rubinetto, uno su due la consuma saltuariamente, rendendo possibile così anche un risparmio di bottiglie di plastica utilizzate e quindi anche una riduzione nella produzione di rifiuti – spiega Alfredo De Girolamo, presidente di Cispel Toscana (l’associazione regionale delle aziende di servizio pubblico). «I gestori toscani del servizio idrico hanno migliorato la rete idrica – prosegue – costruito importanti impianti di potabilizzazione e creato nuove fonti di approvvigionamento, anche grazie a grandi condutture di trasporto tra territori diversi».

Le acque del rubinetto e i loro gestori, cioè i comuni, non si rassegnano al ruolo di perdenti e sono passati al contrattacco. Non sarà facile, ma ci provano.

Molto è stato fatto, tanto resta ancora da fare. La rete idrica perde il 35 per cento dell’acqua trasportata, 150 milioni di metri cubi rispetto ai 282 trasportati. La situazione che i nuovi gestori hanno trovato 10 anni fa non era facile, reti da ammodernare, ridurre le perdite, costruire bacini per mettere in sicurezza le popolazioni dalla siccità, dotarsi di impianti di potabilizzazione all’avanguardia, capaci di rispettare anche i nuovi standard europei. Gli oltre 3 miliardi di euro di investimenti hanno grandemente ammodernato il sistema idrico toscano. Ma non sono bastati, le pianificazioni avevano sottostimato il bisogno dei territori, gli investimenti che devono essere realizzati in Toscana nei prossimi anni sono di più di quelli previsti dai Piani: le infrastrutture erano in condizioni peggiori di quelle descritte, gli standard ambientali in questi anni sono stati innalzati, crisi idriche e siccità hanno reso più complicato l’approvvigionamento. Servono altri soldi, altri investimenti, ma chi paga? In Toscana si applica la legge Galli secondo la quale tutti i costi per gli investimenti, compreso quello della depurazione, devono essere sostenuti da incrementi tariffari. Tornano ancora in ballo le tariffe, difficili da ritoccare visto che un’indagine dell’associazione Cittadinanzattiva ha indicato la Toscana come la regione più cara d’Italia nel 2007 per il costo dell’acqua  con sette delle sue città – Arezzo, Grosseto, Siena, Prato, Pistoia, Firenze e Livorno – tra le prime dieci nella classifica nazionale. Anche Cgil, Cisl e Uil affermano che le tariffe toscane dei servizi pubblici – comprese quelle dell’acqua – sono tra le più alte.

«Oggi siamo a un punto cruciale –spiega Di Girolamo – Possiamo affermare che il sistema toscano del servizio idrico ha fatto passi da gigante in questi anni, oggi abbiamo 7 aziende sane dal punto di vista industriale, che gestiscono con efficacia un servizio e che cercano di attuare gli sforzi necessari per migliorarlo ulteriormente, per mettersi al passo con gli standard ambientali richiesti, per perfezionare quel rapporto di fiducia con i consumatori utenti, dimostrato anche dal fatto che il consumo di acqua del rubinetto è aumentato, anche grazie all’impegno di comunicazione e di educazione ambientale delle aziende toscane».

È necessario, secondo Di Girolamo, fare investimenti per mantenere la qualità del servizio. Quindi serve un piano nazionale strategico che finanzi le grandi opere necessarie al settore.

Il cerino passa ora ai politici, Regione e Governo. Ai cittadini – utenti non resta che consolarsi bevendo l’«acqua del sindaco», risparmiando i soldi dell’acqua minerale , circa 300 euro l’anno, che si potrebbero presto trasformare in tariffe.