Lettere in redazione
Una Repubblica fondata sul reciproco sospetto
Devo confessare una forma di disagio che sempre più mi affligge, nei confronti del grado (o degrado) di maturità civile del nostro Paese. Abbiamo leggi che gli stessi estensori definiscono, a posteriori, «porcate»; in un Paese di ormai antiche tradizioni democratiche, ci si accusa reciprocamente dei più sfacciati brogli elettorali; non si riesce ad assistere ad un qualsiasi incontro di calcio senza che, ad ogni rigore o fuorigioco, si invochino ammiccamenti, inganni, complotti; processi «eccellenti» si protraggono sine die, fra avocazioni improprie di procure e tattiche dilatorie di avvocati; non si riesce a capire se i nostri politici siano dei fraudolenti intrallazzatori o dei poveri cristi ingiustamente esposti alla colonna infame; scopriamo che le commissioni parlamentari d’inchiesta sono per lo più dedite a scavare il terreno sotto i piedi dell’uno o dell’altro Tutto è teso all’estremizzazione del confronto. Chi addirittura, nelle due coalizioni, mostra atteggiamenti appena più moderati (e, ad onor del vero, questo si riscontra per lo più nelle formazioni di matrice cattolica), tende ad essere emarginato, se non accusato di collusione con il «nemico».
Il peggio è che questo atteggiamento di antagonismo estremo si è diffuso anche nell’ordinario di tutti i giorni: la litigiosità urlata, a volte becera, messa in campo dai vari programmi televisivi di «approfondimento», o anche solo di intrattenimento, si è estesa ai comportamenti relazionali più banali, anche di vicinato o colleganza. Nessuno dà più credito a nessuno di una diversità bona fide. Ricordo con nostalgia le discussioni, accese ma corrette, che una volta si tenevano tranquillamente nelle Case del Popolo come nei Circoli Cattolici. Oggi siamo tutti vittime di divisioni manichee fra «buoni» e «cattivi» o, nella migliore delle ipotesi, fra «coglioni» e «pazzoidi».