Toscana

Convegno Mcl verso Firenze 2015: recuperare «una geografia della grazia»

«Cosa ci presenta la città di oggi? I barconi della morte che arrivano con la speranza di tanto e la certezza di niente; l’individualismo creatore di solitudine; nuove povertà per le nostre strade; il non rispetto della persona umana nel suo essere immagine di Dio. È da qui che deve prendere vita la città dei cristiani: dal riconoscimento di uomo a chi uomo non crede di essere più, dal rifondare il senso di appartenenza ad una comunità nell’ottica dell’umanesimo radicato nella visione cristiana dell’uomo». Con queste parole Diva Gonfiantini, presidente provinciale Mcl Firenze, ha salutato i numerosi partecipanti all’incontro sul tema «Per abitare la città da cristiani» che si è svolto questa mattina al Convitto della Calza a Firenze.  

Alla Calza era presente anche l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che ha affermato di essere «rimasto sconcertato per un trafiletto su un giornale in cui qualcuno si è permesso di dire che non bisognerebbe fare il Convegno, perché è sbagliato il titolo, il contenuto del linguaggio, il luogo dove si svolgerà, e perché intralcia i lavori per il Giubileo. Altri – ha proseguito Betori – hanno invece affermato che non ha senso parlare di Umanesimo nella cultura di oggi, quando è invece proprio l’assenza di umanità a rendere di grande attualità questa parola. Le nostre comunità cristiane svolgono un ruolo esemplare in questa società, senza di noi, senza la Caritas, il welfare cadrebbe in un momento. Oggi abbiamo bisogno non di riforme comunque, ma di riforme per risollevare il popolo da inquietudine e sfiducia. Firenze non è solo la città dell’arte ma ha anche una tradizione storica come città dell’umanità, della misericordia, dell’uomo e del suo progetto alla luce di Gesù Cristo».

Il concetto dell’abitare sta dunque al centro delle attenzioni, del pensiero e dell’attività della Chiesa che è in Italia. Ma, come ha detto don Ernesto Lettieri, assistente ecclesiastico nazionale Mcl, «il tema che oggi più che mai siamo chiamati a sviluppare non è tanto il fatto che i cristiani debbano abitare la città e la storia, quanto piuttosto il fatto del come abitarle. Oggi siamo chiamati ad abitare la città in modo integrale, ma anche in modo plurale; in modo concreto e storico, ma anche in modo spirituale e trascendente; in modo relazionale e non autoreferenziale. E questo allo scopo di renderci consapevoli che da cristiani non possiamo vivere come cittadini blasé (indifferenti e distaccati) ma piuttosto come cittadini consci e responsabili del bene comune».

Secondo Carlo Costalli, presidente nazionale Mcl, persiste la necessità «di offrire una speranza credibile per le persone e le comunità. E questo è possibile se si è in grado di “abitare” la città nel senso di avere consuetudine, dimestichezza con i suoi “luoghi” intesi come spazi materiali quali le case, le vie, le piazze, sia come i “luoghi” della vita ordinaria: il lavoro e l’economia per l’uomo, la famiglia e le comunità, le relazioni ed il bene comune, l’ambito sociale e politico per la coesione sociale e l’equa distribuzione delle risorse». Ma qual è il contributo he devono portare i cristiani? Secondo Costalli «occorre evitare due rischi. Il primo è quello dello “straniamento” dei cristiani dalle realtà della vita, dalla dimensione complessiva dell’umano per rifugiarsi in una spiritualità consolatoria. L’uomo è uno e va “salvato” per intero tanto nella sua dimensione trascendente quanto in quella più strettamente legata alla condizione umana. Il secondo errore sarebbe di pensare al cristianesimo solo per le sue, pur rilevantissime, dimensioni culturali, identitarie o sociali mettendo tra parentesi o penalizzando la fede che lo fonda e giustifica. Il primato, il compito complessivo e di fondo , è, e rimane, l’evangelizzazione ed in questo contesto si inserisce l’attenzione a ciò che è umano, che riguarda la singola persona o la sua comunità di appartenenza».

Per padre Bernardo Francesco Maria Gianni Osb,  il tema dell’abitare da cristiani la città «implica riscoprire anzitutto una geografia della grazia, possibile in una città tornata ad essere esperienza di relazione e di apertura al mistero, intuita come profezia della città che verrà; e in ordine a quella bellezza  futura, sulla scia degli insegnamenti di La Pira, costruire proprio un ambiente che assomigli il più possibile alla città futura, quindi fare delle nostre città luoghi profetici di una bellezza ulteriore che non può essere ridotta a quella del turismo usa e getta. Quanto alla dimensione del tempo abitare la città dei cristiani significa, sempre lapirianamente, scoprirsi o riscoprirsi inseriti in una storia generata dalla tradizione e che la speranza fa lievitare in un futuro».

Anche per Lorenzo Ornaghi, presidente Aseri, già Magnifico rettore Ucsc e ministro per i Beni culturali e ambientali, «abitare è un termine importante perché implica anche una dimensione di tempo. Noi  abitiamo non soltanto perché occupiamo uno spazio dentro la città ma perché, avendo ereditato dai nostri padri una città, la consegneremo alle generazioni successive. Certamente importante è abitare anche in termini e impegno politici la città, che sta vivendo una profonda trasformazione storica e che sta recuperando una rilevanza che già La Pira aveva intuito». Per quanto riguarda il nuovo umanesimo, Ornaghi lo ha definito «una prospettiva e un orizzonte molto credibile e affidabile, che dà il senso all’azione che stiamo facendo perché non è soltanto la risposta a ciò che vediamo di poco coerente con l’umanesimo ma è, secondo quanto la Chiesa sta da tempo insegnando, il modo per ricostruire la reciprocità dei rapporti, per restituire dignità a ciò che l’uomo fa, e alla fine per ricostruire una comunità politica che sia davvero tale».

Nella parte finale dell’incontro al Convitto della Calza sono state raccolte tre testimonianze.

Secondo Giovanni Pecchioli, vicesegretario nazionale Mcl con delega ai circoli, «proprio la presenza dei circoli ha la fortuna o la condanna di dover abitare la città. Abbiamo 100 unità di base su tutto il territorio e il relazionarsi con le persone è la nostra missione. Nell’ottica del convegno ecclesiale qualche domanda ce la poniamo. Sicuramente è necessaria una profonda formazione da parte dei quadri dirigenti perché le battaglie con cui ci confrontiamo ogni giorno sono molto complicate non solo nelle città ma anche nei paesi dove operiamo. La nostra presenza quindi è basata sulla possibilità di essere fermento. E poi di stare vicini alle persone che hanno bisogno e soprattutto rappresentare delle antenne che possano essere di complemento all’attività pastorale vera e propria».

L’esperienza di Guglielmo Borri, presidente del patronato nazionale Sias,  «è di poter vedere la situazione della gente con una lente diversa rispetto all’esperienze dei circoli. Il nostro quotidiano è quello di stare sul territorio e incontrare i bisogni reali della gente. I temi di cui si parla ovvero le difficoltà, i problemi economici, la crisi, le recessioni, la disoccupazione, sono dati importanti ma dietro ai numeri c’è la vita vissuta, i volti delle persone. E noi vogliamo offrire il nostro ascolto, che rientra in quel nuovo umanesimo che deve caratterizzare i cattolici e il loro vivere la città».

«Vorrei cercare di far capire – ha detto in chiusura  Piergiorgio Sciacqua, membro della presidenza nazionale Mcl e responsabile relazioni internazionali  – come in questo tipo di società ricca di trasformazioni, opera di testimonianze legate al nostro essere cristiani che partecipano a una democrazia compiuta, l’architrave del mondo del lavoro con tutte le sue problematiche e la necessità di una formazione a tutto campo, sono due elementi molto importanti. Anzi fondamentali per dare alla città di domani la possibilità che sia testimoniabile la nostra fede e sia possibile essere cittadini o concittadini in una armonia di compartecipazione laddove alcuni valori fondamentali  (lavoro,  formazione, educazione) sono il cuore di una società che vede al centro la famiglia. Il tutto in una prospettiva che vede anche la Chiesa capace di leggere attraverso le trasformazioni di questa epoca la possibilità di aggiornare il suo messaggio in una prospettiva di dialogo».