Vita Chiesa

«Così madre Agnese ci salvò dai nazisti»

di Andrea Cuminatto

Nel ’43 aveva accolto due giovani fratelli ebrei – Cesare e Vittorio Sacerdoti – nella casa delle Pie Operaie di San Giuseppe, a Firenze, e ai due ufficiali delle SS che vennero a compiere un rastrellamento lei, di corporatura minuta e armata solo di un crocifisso tra le mani, rispose fermamente che «qui non ci sono ebrei, ci sono solo figli di Dio, e anche voi siete figli di Dio».

Si tratta di madre Maria Agnese Tribbioli, fondatrice della congregazione delle Pie Operaie di San Giuseppe. Dopo che il 25 settembre scorso la Commissione esaminatrice dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha stabilito che il suo nome fosse inserito nell’elenco dei «Giusti tra le nazioni», giovedì 18 marzo sono state consegnate ufficialmente la medaglia e la pergamena che attestano l’iscrizione nel Salone de’ Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Accompagnati dalle chiarine e dal gonfalone di Firenze, hanno partecipato alla conferenza il sindaco Matteo Renzi, l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, il rabbino capo di Firenze Joseph Levi, l’ambasciatore d’Israele in Italia Gideon Meir e la superiora generale delle Pie Operaie madre Marta Lombardi. Oltre alla memoria di madre Maria Agnese sono stati protagonisti Cesare e Vittorio Sacerdoti, iniziatori di quest’evento per ricordare colei che salvò la vita alla loro famiglia tanti anni fa.

Il sindaco Renzi, dando il benvenuto a tutti ed in particolare ai molti bambini delle scuole elementari presenti nel Salone de’ Cinquecento, ha fatto notare come siano numerosi i fiorentini presenti nell’elenco dei «giusti fra le nazioni», da quel vescovo che chiuse le porte a Hitler dicendo «La croce uncinata è nemica della croce di Cristo», a quel fiorentino ebreo che ogni anno porta i ragazzi a Auschwitz, dove ha perso la famiglia, ma continua a dare ai giovani messaggi di speranza per il futuro. Infine ha ricordato anche i fiorentini che non sono in quella lista di «giusti» ma che sono da considerare tali, come Gino Bartali, che con la sua bicicletta ha salvato tante vite dei suoi fratelli ebrei.

L’arcivescovo Giuseppe Betori, partendo dalla frase – «qui ci sono solo figli di Dio» – detta da madre Maria Agnese ai soldati nazisti, ha spiegato come in questa frase si racchiuda l’unione fra tutti i popoli, e come la madre lo aveva appreso a fondo e per questo ha cercato di svegliare nei militari – dicendo «come voi siete figli di Dio» – una consapevolezza di sé che avevano perduto nell’appartenenza a un sistema dedito all’annientamento. Betori ha proseguito sottolineando caratteri importanti di madre Tribbioli, come il fatto che ha sempre visto l’umanità come un’insieme di famiglia, e agito di conseguenza, ma ha anche ricordato altre figure che hanno fatto lo stesso – anche insieme a lei – come il cardinale Elia Dalla Costa. L’arcivescovo ha fatto infine notare come la grande opera di salvataggio degli ebrei svolta da madre Maria Agnese sia rimasta a lungo nascosta, finché – aperta la causa di beatificazione – sono emerse tutte le capacità di testimoniare l’amore verso il Signore e verso i più bisognosi che la rendevano una grande donna.

Oltre a questi interventi e ai saluti  del rabbino capo Joseph Levi e dell’ambasciatore d’Israele Gideon Meir, preceduti da una dettagliata ricostruzione della storia fiorentina dell’epoca a cura della dottoressa Francesca Cavarocchi e una rievocazione – fatta dall’arcivescovo Tonino Cabizzosu e da madre Marta Lombardi – dei momenti salienti della vita di madre Tribbioli, l’intervento più intenso e commovente è stato sicuramente il ricordo dei due fratelli Sacerdoti, che furono protagonisti delle vicende nel ’43-’44 e che adesso si sono fatti promotori di questo riconoscimento.

Cesare Sacerdoti ha raccontato di quando con il fratello Vittorio e la madre Marcella furono accolti da madre Maria nel convento di via de’ Serragli: era il 6 novembre 1943, e vi restarono fino al 27 novembre. Ricordi tenuti per sé per circa 60 anni, fino all’incontro con tre delle suore – suor Grazia, suor Caterina e suor Gennarina – che li aiutarono in quel momento difficile. Figli e nipoti di due funzionari di culto nella sinagoga di Firenze – il padre Simone e lo zio Fernando – vivevano nel centro della città e la loro famiglia fu relativamente tranquilla fino al ’43, riuscendo anche ad aiutare altri ebrei provenienti dall’Europa centrale. È con l’appellativo «colossi di moralità» che Cesare descrive madre Maria Agnese, il cardinal Dalla Costa, monsignor Meneghello e molte altre figure che hanno rischiato la vita per proteggere e salvare moltissimi ebrei perseguitati in quegli anni.

 Fu la retata al tempio di via Farini – il 6 novembre ’43 – che determinò l’inizio della caccia a tutti gli ebrei: non più solo quelli stranieri, ma anche gli italiani. Mons. Meneghello e il cardinal Dalla Costa trovarono per i due fratelli Sacerdoti – di 2 e 5 anni – e la loro madre un rifugio nel convento di suor Maria Agnese, e per il padre nel convitto ecclesiastico di San Leonardo prima, e poi nella casa di mons. Capretti. «Madre Maria era piccola anche per un bambino di 5 anni – ricorda Cesare – ma era un gigante spirituale. Salvò non solo noi ma molte altre madri con bambini, e disse alle consorelle che eravamo tutti sfollati, vittime della guerra, tenendo segreta la nostra identità ebrea: in questo modo si prese tutta la responsabilità e protesse le altre suore da un’eventuale retata nazista».

Sono molti gli episodi dei giorni passati in convento ricordati dai fratelli, che denotano la determinazione, la forza d’animo e il coraggio di suor Maria. E se era determinata con le consorelle – per proteggerle – come il giustificare i bambini ebrei che in chiesa non si segnavano dicendo che erano sconvolti dalle tragedie della guerra, lo era ancor di più quando si trattava di salvare la vita a chi in quel momento era più debole, le persone ebree che nascondeva. L’esempio più grande è la prontezza avuta durante la retata delle SS, dicendo all’ufficiale nazista non solo che nel convento c’erano esclusivamente figli di Dio, ma che anche lui lo era e che Gesù era morto anche per lui: e a queste parole l’ufficiale batté i tacchi in saluto militare e lasciò il convento con i suoi uomini. Molti altri sono gli aneddoti riportati da Cesare e Vittorio, e tutti mostrano come madre Maria Agnese Tribbioli si meriti davvero quell’appellativo di «gigante spirituale» attribuitogli da Cesare. Una donna forte, che ha saputo davvero portare a compimento una vita all’insegna dell’amore verso Dio e verso gli uomini, specialmente quelli più deboli e in difficoltà.