Vita Chiesa

17 agosto: le catechesi dei vescovi

MONS. BOU-JAOUDÈ (LIBANO) “SALDI NELLA FEDE PER NON EMIGRARE”

(Madrid, dai nostri inviati) – “Solo se restiamo saldi nella fede e radicati in Cristo riusciremo a restare nelle nostre terre e rispondere alla nostra vocazione”. Ha richiamato il tema della Gmg, mons. Georges Bou-Jaoudé, arcivescovo maronita di Tripoli (Libano) nella sua catechesi ai giovani arabi cristiani tenuta stamattina nella chiesa di san Jeronimo el Real. Parlando a centinaia di giovani assiepati nella navate e nelle cappelle laterali, in larga maggioranza iracheni, libanesi, egiziani e siriani, l’arcivescovo ha ricordato che “viviamo in una società in grande movimento e per non essere trascinati in questo vortice dobbiamo restare saldi nella fede in Cristo. Non possiamo accettare una società che usa e getta la vita, la giustizia, il diritto, il bene comune, valori fondanti per ogni persona”. Riferendosi alla situazione mediorientale l’arcivescovo maronita ha ricordato che “solo restando saldi nella fede in Gesù che si possono superare le difficoltà sociali, economiche, religiose e quindi restare nella nostra terra, dove abitiamo ben prima dell’Islam”.

L’ostacolo per i cristiani, soprattutto quelli più giovani, non è solo la situazione di conflitto e di incertezza politica che attraversa molti paesi mediorientali ma anche “il secolarismo ed il relativismo che sta influenzando le nuove generazioni arabe veicolati dalla televisione, da internet, dai giornali. Bisogna fare attenzione – ha detto – a non farsi trascinare in questo vortice ma riuscire a leggere le potenzialità positive che i media e la rete offrono ed utilizzarle per promuovere una visione più giusta e solidale della nostra società”. Parlando al SIR, a margine della situazione mediorientale, il presule ha riferito che “in alcuni paesi della regione i cristiani ancora vivono in una situazione di relativa calma come in Giordania, Siria e Libano, dove la persecuzione non si sente come in Iraq. Tuttavia – ha aggiunto – è necessario che anche i cristiani rafforzino i vincoli di unità tra loro per poter dialogare a pieno con l’Islam col quale esiste già un dialogo di vita che va implementato. E è proprio questo il significato più profondo della nostra presenza a Madrid. I nostri giovani arabi cristiani testimoniano che il dialogo.

CARD. BAGNASCO, “NON SIATE NAUFRAGHI DELLA VITA”

L’invito ai giovani a non essere “dei vagabondi senza casa e senza terra, naufraghi della vita, che vivono alla giornata come viene, per i quali ciò che conta è quanto sta loro davanti momento per momento”. Ed una proposta: trovare in Dio la risposta ai “grandi interrogativi che emergono dal cuore stesso dell’uomo”. Una catechesi importante quella pronunciata questa mattina a Madrid dal card. Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, per i giovani di lingua italiana. Il cardinale è partito ponendosi la domanda se “è ancora possibile credere”, “immersi come siamo in una mentalità scientista e tecnologica, dove sembra che la realtà coincida solo con ciò che si può vedere e toccare, sperimentare”. “Sono domande non astratte – ha aggiunto – che entrano nella carne di ciascuno, e dalle quali sempre meno potremo sfuggire vivendo in un mondo globalizzato e in una società multiculturale”. Citando autori come Quasimodo e Camus, il cardinale ha detto: “L’uomo non solo vuole vivere, ma vuole sapere: vuole conoscere il mondo, ma anche il perché e il significato del mondo, e, innanzitutto, di se stesso. L’esperienza insegna che vivere non è consumare delle cose e del tempo, non è un calendario di giorni, ma è un intreccio di significati, un orizzonte di senso. È conoscere non solo gli scopi immediati delle nostre azioni e delle scelte particolari”, ma “il fine ultimo dell’esistenza, è rispondere alla domanda che vibra dentro ciascuno: perché, per che cosa vivo?”.

Il cardinale ha quindi proposto ai giovani pellegrini di Madrid di puntare a Dio. “Dio – ha detto – si presenta all’uomo come la risposta al suo essere paradosso di miseria e di grandezza, posto com’è sulla linea di confine tra finitezza e infinito, tempo ed eternità”. Non è una proposta fondata sul nulla perché “se ascoltiamo le voci profonde del cuore sentiamo che ognuno di noi è una struggente nostalgia, un mendicante di Assoluto, una sinfonia incompiuta. Per questo l’uomo si spiega solo con Dio”. A questo punto, il cardinale si lascia andare ad una sua personale esperienza. “Quante volte – negli innumerevoli campi estivi con i giovani della mia Parrocchia – mi sono incantato davanti all’universo… Quante volte, nella solitudine e nel silenzio della notte mi sono piegato per la commozione davanti al cielo stellato e al profilo dei monti. Sì, posso dire con tanti, spero con tutti voi, che ho toccato Dio, ho visto nel buio la Luce: nell’oscurità l’Invisibile mi ha visitato”. In Dio dunque trovano risposta “i grandi interrogativi che emergono dal cuore stesso dell’uomo”. È per questa ragione – ha detto Bagnasco – che “la Chiesa non potrà mai tacere: essa ha la missione di annunciare Dio”. “Per questo non possiamo accettare che Dio venga confinato nella sfera individuale come se non avesse nulla a che fare anche con la società degli uomini, come se non c’entrasse con tutto l’uomo, sia nella sfera privata che in quella pubblica, come se non segnasse con la sua presenza ogni dimensione e ambiente”.

GIOVANI DI KIRKUK (IRAQ), “PREGATE PER IL NOSTRO PAESE!”

“È l’immagine di Cristo sofferente ma ricco di speranza quello che vogliamo testimoniare qui a Madrid ai giovani di tutto il mondo. Essere qui oggi per noi è una grazia che non deve farci dimenticare la sofferenza del nostro popolo per il quale chiediamo una preghiera”. Così Rayan Liws, ingegnere petrolifero di Kirkuk, 28 anni, esprime al SIR i suoi sentimenti e quelli del suo gruppo iracheno, 84 persone di cui 65 da Baghdad e 19 da Kirkuk, sulla Gmg che oggi vive il suo primo giorno di catechesi. “Vedere tanti giovani da ogni parte del mondo – spiega – per noi è motivo si speranza e di gioia, sappiamo di non essere soli. La gente ci ferma e ci saluta, e l’abbraccio si fa più caloroso quando diciamo che siamo iracheni. Sentiamo di essere nel cuore di tantissimi giovani perché condividiamo la stessa fede in Cristo”.

Rayan è felice perché “tra oggi e domani dovrebbe nascere il mio primo figlio” ma si dice preoccupato “per la violenza diffusa nel paese, specialmente a Baghdad. A Kirkuk la situazione è migliore anche se proprio due giorni fa un attentato ha distrutto una chiesa siro-ortodossa senza provocare vittime”. “Tuttavia – afferma convinto – dobbiamo lavorare per il nostro Paese, per la sua riconciliazione”. Liws non critica “i cristiani che hanno abbandonato il Paese”, “riconosco che non è facile restare in questo momento ma questa è la nostra terra, la nostra casa. Qui siamo chiamati a costruire il nostro futuro dialogando con i nostri fratelli musulmani la maggioranza dei quali è gente pacifica e cordiale”.

CARD. PASINYA (CONGO), “LA FEDE PRESUPPONE LA TESTIMONIANZA”

“La fede è il ponte di Dio verso gli uomini”. “Il cammino della fede non è lo stesso per tutte le persone”. “Ho l’impressione che Dio si voglia far conoscere da noi, ci viene a cercare nella vita di tutti i giorni”. “Essere cristiani è un vissuto fortemente personale, però penso sia necessario condividere il mio credere e dargli una forza visibile. Ma non è sempre facile”. Affermazioni, domande, osservazioni: i giovani di lingua francese giunti al Palazzo municipale dei congressi di Madrid per le catechesi odierne, intrecciano tra loro e con i vescovi e i cardinali presenti un dialogo animato. Il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, afferma rispondendo alla domanda di un ragazzo: “La fede presuppone la testimonianza. La fede ha bisogno di essere trasmessa agli altri. Non può essere tenuta per sé”. Poi racconta alcune esperienze della propria vocazione e dei suoi anni di ministero in Africa. “Dio ci dà la mano – aggiunge – non ci abbandona, ci guida nella vita”. Il cardinale parla delle virtù teologali, incoraggia i giovani a vivere con tenacia e serenità il vangelo; quindi si pone in ascolto di alcuni canti e torna a confrontarsi con l’uditorio. Racconta della figura di papa Giovanni XXIII, parla della fiducia in Dio, quindi intona un canto, seguito dai giovani presenti.

Le nostre società secolarizzate “sono basate su un concetto sbagliato, secondo il quale si più fare senza ciò che è fondamentale, senza Dio”. Ma c’è anche un’altra deriva della fede, ancora più pericolosa: il fideismo. Così il vicario per Israele del patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Giacinto-Boulos Marcuuzzo, ha parlato questa mattina nella catechesi tenuta a Las Rozas, nella provincia di Madrid. Tanto “i problemi economici che affliggono in questo periodo pure i Paesi sviluppati” quanto quei governi che “fanno leggi contro la vita” nascono da “una società secolare, che vuol fare senza la fede”. “Ma queste leggi – ha rilevato il vescovo – portano a un vuoto della società e, alla fine, alla disperazione dei giovani”. Tuttavia, a fianco del secolarismo, c’è un altro versante “altrettanto negativo”, quello del “fideismo che sfocia nell’integralismo e nel fondamentalismo”, ha aggiunto mons. Marcuzzo facendo riferimento alla sua esperienza pastorale. “In Giordania ad esempio non c’è un solo ateo: non può esistere, perché lì non si concepisce la vita senza Dio”. Il fideismo è “l’esasperazione di una fede mal concepita e mal vissuta, ed è alla base dell’integralismo e del fondamentalismo”, derive che – ha concluso mons. Marcuzzo – portano a “strumentalizzare la religione per andare contro all’altro, e persino per uccidere il prossimo”.

MONS. MARCUZZO, “SECOLARISMO” E “FIDEISMO” DERIVE DELLA FEDE

Le nostre società secolarizzate “sono basate su un concetto sbagliato, secondo il quale si più fare senza ciò che è fondamentale, senza Dio”. Ma c’è anche un’altra deriva della fede, ancora più pericolosa: il fideismo. Così il vicario per Israele del patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Giacinto-Boulos Marcuuzzo, ha parlato questa mattina nella catechesi tenuta a Las Rozas, nella provincia di Madrid. Tanto “i problemi economici che affliggono in questo periodo pure i Paesi sviluppati” quanto quei governi che “fanno leggi contro la vita” nascono da “una società secolare, che vuol fare senza la fede”. “Ma queste leggi – ha rilevato il vescovo – portano a un vuoto della società e, alla fine, alla disperazione dei giovani”. Tuttavia, a fianco del secolarismo, c’è un altro versante “altrettanto negativo”, quello del “fideismo che sfocia nell’integralismo e nel fondamentalismo”, ha aggiunto mons. Marcuzzo facendo riferimento alla sua esperienza pastorale. “In Giordania ad esempio non c’è un solo ateo: non può esistere, perché lì non si concepisce la vita senza Dio”. Il fideismo è “l’esasperazione di una fede mal concepita e mal vissuta, ed è alla base dell’integralismo e del fondamentalismo”, derive che – ha concluso mons. Marcuzzo – portano a “strumentalizzare la religione per andare contro all’altro, e persino per uccidere il prossimo”.

DAL CAIRO “SERVE UNA RIVOLUZIONE DEI CUORI”

“Qui siamo tutti uguali!”. Nelle parole di Michelle Magdy Shafik e di Christine Nagy Saber, studente di ingegneria il primo ed impiegata presso una multinazionale americana la seconda, entrambi del Cairo, il riflesso della condizione difficile in cui versano molte comunità cristiane in Medio Oriente. Tuttavia dai loro volti traspare la speranza di un futuro migliore affidata anche alla rivoluzione di Gennaio che ha messo l’Egitto sulla strada, “irta di ostacoli”, verso la democrazia. I due giovani hanno assistito alla prima catechesi della Gmg insieme a circa 200 egiziani, nella chiesa di san Jeronimo el Real dove il SIR li ha incontrati, accompagnati da padre Mikael Ronshdi.

“C’è stata una grande protesta e ci sono stati dei cambiamenti – affermano i due giovani – ma non basta serve un’altra rivoluzione, pacifica, culturale, dei cuori e delle menti. Solo così potremo avere vera democrazia”. “Ora la situazione per noi cristiani appare migliorata rispetto al passato, quando era più difficile, per esempio, trovare lavoro. Tuttavia non manca la paura per una crescita dell’integralismo islamico. Tra i cristiani c’è chi partecipa attivamente al cambiamento per promuovere le richieste di solidarietà, di giustizia, di diritti ma c’è anche chi per timore resta un po’ nell’ombra. La paura impedisce a molti cristiani di avere un ruolo importante nella costruzione di un paese più democratico. Crediamo che la fede in Cristo e nel Vangelo debba spingerci a prendere posizione per il bene comune. Dobbiamo lavorare molto in questa direzione. Esperienze come la Gmg possono darci coraggio e speranza per un futuro migliore per tutti”.

MONS. CROCIATA, “IL FONDAMENTO DELLA VITA È IN DIO”

“Il nostro ritrovarci a Madrid, e questa mattina in questa chiesa, è il segno di una fede in varia misura viva in noi”. Lo ha detto, oggi, mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, nella sua catechesi ai giovani italiani. “La fede, prima di essere una virtù teologale – ha osservato -, è un atteggiamento umano caratteristico, una dimensione costitutiva del nostro essere e della nostra vita. Credere è addirittura una necessità umana, poiché altrimenti non potremmo vivere”. Infatti, “se scorriamo i vari momenti della nostra giornata facciamo presto ad accorgerci che possiamo condurre la nostra vita, anche nelle cose più minute, perché ci fidiamo, poco o molto, degli altri”. Questo tipo di fede umana “la struttura delle nostre relazioni personali e sociali; ma è anche la struttura del nostro rapporto con la realtà intera”. Naturalmente “la nostra fiducia dev’essere sempre critica, cioè capace di vigilare su possibili inganni, falsificazioni, imprevisti; ma essa è pur sempre affidamento alla realtà, convinzione che essa non ci deluderà”. Si impone, però, una distinzione: “Tra le cose di cui abbiamo bisogno all’interno della nostra vita e il bisogno di sicurezza della nostra persona e della nostra vita nella sua interezza”.

“Non c’è possibilità di dare solidità alla propria vita – ha osservato mons. Crociata – senza cercare un fondamento ulteriore rispetto alle cose di cui disponiamo e rispetto anche agli altri, da cui pure dipendiamo e con cui siamo legati”. E questo fondamento è Dio, che conosciamo attraverso Gesù Cristo. “Se così stanno le cose – ha affermato il presule -, allora siamo liberi da ogni possibile schiavitù di cose e persone, poiché la sicurezza della nostra vita non ha bisogno di essere cercata nel surrogato di un possesso pur sempre alienabile né in creature finite come noi, il cui riconoscimento e apprezzamento è pur sempre sottoposto alle evenienze imponderabili della revoca improvvisa o semplicemente degli imprevisti esistenziali”. Adesso che la vita trova “la sua sicurezza e il suo fondamento” in Dio “posso usare di tutti i beni senza ansia”, “posso vivere le relazioni con tutti senza aspettare o pretendere una dedizione e un riconoscimento che hanno trovato una realizzazione piena e irrevocabile nell’incontro con Gesù e con il Padre suo e nostro”. Il criterio per trovare sicurezza, ma anche per stabilire il giusto rapporto con noi stessi, altri e la realtà “adesso è Dio stesso e Gesù che ce lo ha fatto conoscere e ce lo ha donato. Il criterio è la fede”, che “richiede, come ogni relazione personale, di essere alimentata in un dialogo costante il Signore”.

CARD. PASINYA (CONGO), “GIOVANI DANNO SPERANZA ALLA CHIESA” “Sono davvero ammirevoli questi giovani giunti da tutto il mondo per la Gmg. Soprattutto se teniamo conto del clima culturale che si respira in Europa, con una secolarizzazione forte e che avanza, questi ragazzi sono una bella testimonianza del cristianesimo nel nostro tempo”. Il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, commenta per il SIR le giornate della gioventù in corso nella capitale iberica. A margine della catechesi appena tenuta ai giovani di lingua francese, cui è seguita la celebrazione eucaristica, afferma: “È bello e interessante vedere come questi giovani si confrontino con la fede. Credo che stiano dando una speranza alla Chiesa. La fede, si può dire, ha un avvenire”. “Il viaggio intrapreso fin qui da tanti paesi – aggiunge al SIR il card. Monsengwo Pasinya – è un percorso di avvicinamento alla fede, che poi richiederà” di tornare a casa per “testimoniare il vangelo”. ALGERIA, CONVERTITI DALL’ ISLAM E A MADRID “PER LA PACE” Convertiti al cristianesimo sono a Madrid “per fare festa con i giovani del mondo”. Augustin C. e Riadh B, originari della zona di Ippona, fanno parte di un gruppo di sedici algerini, 14 dei quali vivono in Europa per motivi di studio. Li hanno raggiunti in Spagna per partecipare alla Gmg “in uno spirito di gioia, di fede e di riconciliazione” spiegano al SIR che li ha incontrati avvolti nella loro bandiera al parco del Retiro, nella zona delle Confessioni. Da musulmani che erano oggi sono cristiani “grazie all’aiuto di alcuni missionari che ci hanno accompagnato in questa nostra libera scelta suscitata anche da alcune trasmissioni di radio cattoliche e cristiane arabe ascoltate via satellite”. “Oggi – dichiarano in coro – godiamo di questo incontro con giovani di tutto il mondo e speriamo che possa rafforzare ulteriormente la nostra fede. Passare dall’Islam al Cattolicesimo non è stato facile sebbene la religione cristiana non sia vietata dalle leggi e dallo Stato”. Il problema, aggiungono, “riguarda qualche strato della popolazione che non accetta la nostra fede e ci crea qualche disturbo. Ma il popolo cristiano porta la sua croce e questo lo sa. Ce lo insegnano ancora oggi i martiri della Chiesa algerina come i monaci di Thibirine uccisi 15 anni fa. Crediamo che ognuno abbia il diritto di professare la propria fede e nello stesso tempo abbia il dovere di rispettare quella degli altri. Su un piano uguaglianza. È il grido di tanti giovani che in altri paesi della nostra regione, pensiamo alla Tunisia, ma anche all’Egitto, alla Siria, chiedono di godere dei diritti fondamentali, la giustizia, il lavoro, il rispetto. Musulmani e cristiani, nel dialogo, devono lavorare insieme per questo obiettivo. La nostra preghiera alla Gmg è crescere nell’amicizia, nella pace e nella riconciliazione per uno stesso avvenire”. MONS. LÉONARD (BELGIO), CREDERE È “UN ATTO INTELLIGENTE” “Siamo degli esseri che pensano, vogliono e amano. La domanda da porsi è se esiste qualcun altro che pensa, vuole e ama come noi, altrove, nell’universo”. Questa la questione alla base dell’intervento odierno di mons. André Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles, nella catechesi ai giovani francofoni. “Nei secoli, la filosofia e le scienze si sono giustamente poste questa domanda: se esista nell’universo un’intelligenza capace di decifrare la nostra intelligenza. Le risposte sono state varie. Quello che importa è che è intelligente porsi la questione se Dio esiste”. Nel corso della catechesi, l’arcivescovo di Bruxelles ha ripetuto ai giovani: “Credere in Dio è un atto intelligente”. È – per il prelato belga – “il modo più intelligente di chiedersi cosa sia l’universo e l’uomo”. D’altra parte, per l’arcivescovo, “la prima sfida posta a coloro che intendono credere è la sfida del male”, “realtà che non bisogna minimizzare”, e anche in questi giorni “non bisogna dimenticare il mondo in cui viviamo, dove ci sono migliaia di persone che soffrono la fame, specie in Africa, che muoiono, che sono torturate…”. “Il male è presente nella storia e la nostra è una fede incarnata nella storia; per noi senza la fede nel Dio che è entrato nella storia – ha concluso – non sarebbe possibile affrontare la sfida del male”. CARD. SCHÖNBORN (VIENNA-AUSTRIA), “CHI CREDE NON È MAI SOLO” “Chi crede non è mai solo”. Lo ha detto il card. Christoph Schönborn nella catechesi che ha tenuto questa mattina a Madrid nel “Collegio card. Marcelo Spinola”, di fronte a oltre un migliaio di pellegrini di lingua tedesca. Un dialogo serrato con i giovani, durato oltre un’ora. L’arcivescovo di Vienna (Austria) ha parlato a braccio ai ragazzi, molti dei quali seduti per terra, fino ai piedi dell’altare. Mostrando loro lo zaino del pellegrino, ha invitato a leggere YouCat e riflettere sui contenuti, evidenziando che una delle cose che più in questi anni gli hanno dato soddisfazione è stata la collaborazione alla stesura del Catechismo della Chiesa cattolica, “dal quale emerge un volto unitario e armonico della Chiesa. Un po’ come la rete della metropolitana, dove ciascun percorso è intrecciato ordinatamente con l’altro”. Schönborn ha sottolineato a più riprese la bellezza della fede cristiana. Non sono mancati i riferimenti alla sua esperienza personale, alla scelta vocazionale di entrare nella famiglia domenicana. L’arcivescovo ha inoltre ricordato come la fede sia un dono che necessita di essere vissuto insieme agli altri, e la Gmg un’occasione per mostrare il carattere universale della Chiesa. Al termine della catechesi il cardinale ha dato la parola ai giovani, che in piccoli gruppi hanno portato la loro esperienza di fede. PALESTINA, “IL MONDO ASCOLTI I GIOVANI” “Per la pace, per una vita migliore tra i popoli della terra, per la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi”. Con queste intenzioni i giovani di Ramallah, Palestina, partecipano alla Gmg di Madrid. Il SIR li ha incontrati davanti al Museo del Prado mentre sventolavano la loro bandiera: “la Gmg – afferma Imad Freij, che si occupa di relazioni con i media nella società di comunicazione Al Nasher – è un’opportunità per noi di chiedere ai nostri coetanei di pregare per la pace, per la nostra nazione, perché israeliani e palestinesi vivano in pace e sicurezza gli uni vicini agli altri”. “In settembre – aggiunge – i leader palestinesi chiederanno all’Onu un riconoscimento ufficiale già dato da molti Paesi del mondo. La nostra speranza che questo venga accettato e che rappresenti un passo in avanti verso una soluzione pacifica della crisi”. “Per noi palestinesi la situazione è pesante, non possiamo muoverci, abbiamo difficoltà a lavorare. Per venire qui a Madrid siamo partiti in aereo dalla Giordania, noi non abbiamo un aeroporto, chiedere i visti e così via. Vogliamo essere uomini liberi nella nostra terra dove vogliamo restare ad abitare. Pregheremo per questo. Tutti vogliono la libertà e la giustizia, guardiamo quello che sta accadendo in molti paesi del Medio Oriente. Il mondo ascolti il grido dei giovani”. CARD. TETTAMANZI, NELL’UOMO C’È “NOSTALGIA DI DIO” “La nostra società sembra aver dimenticato Dio o essere indifferente nei suoi confronti. Non ci sono solo un rifiuto positivo o un ateismo pratico, fatto di scelte e di criteri lontani dalla trascendenza; c’è piuttosto la presunta consapevolezza di poter fare a meno di Dio: un dio che non è più necessario, perché l’uomo può cavarsela da solo”. “Ma, nonostante tutto, nell’uomo contemporaneo permangono una nostalgia di Dio e un desiderio sincero di trascendenza”. Così il card. Dionigi Tettamanzi, amministratore apostolico di Milano, ha parlato oggi a Madrid ai giovani riuniti per ascoltare la prima catechesi della 26ª Giornata mondiale della gioventù (Gmg), ricordando che nel loro cuore c’è un “ospite gradito, capace di riempire di senso i loro giorni, di dare ragione della propria origine e di svelare un futuro affascinante ma non utopico e praticabile; un ospite in grado di soddisfare le domande serie sulla vita e sulla morte, sul dolore e sulla giustizia, sugli affetti e sulla vocazione”. “Questo ospite gradito – ha detto – è Dio, il Padre di Gesù Cristo, il Padre di tutti gli uomini”. “Tra tante parole urlate per imporsi e tra molti brusii logoranti – ha aggiunto – c’è ancora il sussurro di una brezza leggera che domanda di essere accolta e ascoltata; c’è un ospite gradito che cerca lo spazio di un incontro e la promessa di una relazione”. Il cardinale ha poi argomentato sulla fede “dono”, “scelta” e “futuro”. “La fede – ha ricordato – è una grazia che l’uomo riceve. La scopre dentro di sé nell’intimità dei propri pensieri e dei propri affetti; la scorge nelle vicende che hanno costellato e costellano la sua vita, nella propria biografia, fatta d’incontri, di scelte, di volti. È come il respiro e il battito del cuore, che fanno di ciascuno di noi un essere vivente. Non è un sentimento, perché il sentimento è fragile: oggi c’è ma domani non si sa, a volte è intenso, altre volte è debole. La fede è una grazia che rende unica l’esistenza”. Ma è pure “una scelta libera e intelligente”. “Per questo – ha precisato – un giovane deve coltivare non solo la propria intelligenza, ma anche la propria libertà. La fede esige la libertà. Essa chiede di essere educata ed esercitata, di essere custodita come un dono e di essere usata bene. Essa esprime la disposizione interiore a mettere in gioco tutto se stesso, nella propria intelligenza e nella propria corporeità, nei sentimenti e nelle emozioni, nelle azioni e nei segni, per qualcosa che riempie la propria esistenza e dà compimento ai propri progetti”. Infine “il dono della fede è certezza del nostro futuro”, “che avrà il compimento – ha concluso – nell’eternità di Dio”. SirMONS. BETORI, WOODY ALLEN NON SINCERO, DESIDERIO DIO NON SPENTO La società di Nietzsche dove “Dio è scomparso dall’orizzonte umano”, che poi porterà al nichilismo e al superuomo, di cui “abbiamo assaporato gli amari frutti, quelli dei lager e dei gulag”, è la prima immagine che l’arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori, ha messo davanti a oltre 14 mila ragazzi arrivati a Madrid per la Gmg dalla Toscana e da altre regioni italiane. Ma Betori ha preso a prestito anche Woody Allen, ‘Dio e’ morto, Marx è morto, e anch’io mi sento poco bené, perché il regista americano, ha detto, “non è del tutto sincero in questa sua affermazione” perché aver cancellato Dio dalla vita dell’uomo, “lo svuota totalmente di senso perché gli sottrae il suo stesso fondamento”. Per monsignor Betori, se è vero “che oggi la questione delle fede si pone in modo problematico, in un mondo che sembra aver cancellato le tracce di Dio”, questo non vuol dire che ha spento “il desiderio di assoluto che sta nel cuore di ogni uomo”. “La risposta che dobbiamo a chi vorrebbe negare la presenza, l’esistenza, la realtà stessa di Dio non è rintracciabile – ha proseguito l’ex segretario della Cei – nel contrapporre idea a idea, ma nel narrare una storia che è già redenzione: mostra un Dio più forte della morte a cui gli uomini lo condannano”. Da qui l’invito ai giovani presenti ad aprirsi “con fiducia alla Chiesa e al suo magistero, a cui Gesù ha consegnato il compito di mettersi al servizio della fede dei discepoli”, perché “l’esperienza della Chiesa – ha aggiunto -, guardando a se stessa e al mondo, può andare ben oltre le mille denunce che Nietzsche e i suoi meno acuti ripetitori ci hanno presentato, sbattendo Dio e i credenti sul banco degli imputati della storia”. E allora se “la cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale”, per monsignor Betori la risposta è “Credere”, perché ciò significa che “i discepoli di Gesù non possono accettare che la loro fede e i frutti che da essa scaturiscono, e che hanno illuminato la civiltà umana lungo i secoli – ha concluso l’arcivescovo di Firenze -, possano essere esclusi dalla vita pubblica di una società e impediti di produrre ancora oggi effetti di piena umanità nei diversi ambiti della vita dei popoli, dalla cultura all’organizzazione sociale, dalla solidarietà all’arte”.