Dossier

2007, l’anno in camicia rossa

Le celebrazioni tra Giro d’Italia, mostre e festeAnche il Giro d’Italia edizione 2007 sarà dedicato a Garibaldi e per questo partirà da Caprera l’11 maggio con al seguito una mostra itinerante multimediale sulla storia dell’«eroe dei due mondi».

Ma non c’é solo il Giro tra le iniziative in programma per il bicentenario garibaldino: «Il nostro obiettivo – ha detto il sottosegretario al ministero dei Beni e delle attività culturali, Andrea Marcucci, che presiede il comitato nazionale per le celebrazioni – è di fare una festa diffusa in tutto il mondo». Molti gli eventi: dalla fiction Eravamo solo mille di Stefano Reali (di cui si parla nella pagina accanto), alle iniziative didattiche con la cooperazione del programma Rai «La storia siamo noi» e dell’Istituto Luce.

Tre, invece, le mostre fisse: a Roma, Firenze e a Genova. Sarà, poi, indetto un concorso per le scuole elementari e superiori per premiare mille giovani che ripercorreranno le tappe dei loro storici omonimi.

«La festa ha un taglio istituzionale – ha spiegato Marcucci – perché ha l’appoggio del ministero degli Affari esteri, dell’Ambiente, delle Comunicazioni, della Difesa, dell’Interno e della Pubblica istruzione. Collabora con noi anche la presidenza del consiglio dei ministri, in particolare il Dipartimento informazione e editoria, che farà una campagna stampa di supporto prima del grande evento del 4 luglio alla commemorazione romana alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano».

Per quanto riguarda la mostra fiorentina, avrà come titolo «Garibaldi: immagini di un mito», sarà realizzata in collaborazione con la «Fondazione Spadolini Nuova Antologia» e la «Fondazione Turati», sarà inaugurata a luglio e ospitata in tre sedi: Palazzo Pitti, Biblioteca Nazionale centrale e Fondazione Spadolini a Pian dei Giullari. Sulle celebrazioni del bicentenario è comunque attivo un sito internet apposito (www.garibaldi200.it).

E in tv arrivano i MilleIl centenario appena iniziato, arriva anche il primo prodotto televisivo dedicato a Garibaldi. Si tratta di Eravamo solo mille, di Stefano Reali, in onda su RaiUno lunedì 15 e martedì 16 alle 21,10. Ma più che l’«eroe dei due mondi», al centro della vicenda, ambientata nella Sicilia del 1860, ci sono le vite, le passioni e gli ideali della principessa Isabella, di Corrado, insegnate di latino, e del conte Malaspina, ufficiale filoborbonico. Sullo sfondo l’impresa garibaldina. Garibaldi e la ToscanaLapidi e monumenti in ogni luogoIn quante case è stato Garibaldi? Tante a giudicare dalle lapidi apposte sulle facciate. Case modeste, specie all’inizio, ville, locande, trattorie, alberghi, in tanti si contendono l’onore di avere ospitato l’«eroe dei due mondi». A volte basta un bicchier d’acqua a far diventare un luogo «storico». La Toscana rappresenta un crocevia per i movimenti di Garibaldi, Livorno è la prima ad accogliere Garibaldi che scende all’albergo delle Isole Britanniche, nell’attuale via Grande. Poi è la volta di Firenze, in una casa di piazza S. Maria Novella. Parte quindi alla volta della Romagna, ma la prima neve lo costringe a una sosta imprevista alle Filigare, sul passo della Futa. Il ritorno in Toscana, nel 1849, coincide con il fallimento della Repubblica romana. Garibaldi, con la moglie Anita, si ferma per alcuni giorni a Cetona. Non manca anche una notte all’addiaccio sul monte Renaio, sopra Sarteano. È il periodo più nero, spesso è ospitato in case modeste a Chianciano, Montepulciano, Torrita e Cortona. Arezzo è l’unica città toscana che non accoglie Garibaldi, costretto ad accamparsi sopra un’altura che sovrasta Santa Maria all’imbocco della via Anconetana, l’attuale statale 78.

Dopo la morte di Anita, nella pineta di Ravenna, nell’agosto 1849, torna in Toscana e si ferma a Modigliana, allora territorio toscano, ospite di don Giovanni Verità. Il soggiorno del 1849 è segnato da numerose lapidi, a testimonianza di un soggiorno più o meno prolungato. Dalla locanda Baldini, a Santa Lucia allo Stale, sul passo della Futa, a Barberino di Mugello, Vaiano, Prato, Poggibonsi, nella casa di Giuseppa Bonfanti, dove tornerà nel 1867. Poi Volterra, Pomarance, Monterotondo Marittimo, Gavorrano, l’Elba, dove sosta a Cavo, nel comune di Rio Marina.

Passano dieci anni, all’inizio del 1859, Garibaldi ricompare sulla scena italiana e quasi subito arriva in Toscana. Sbarca a Livorno e poi a Firenze: soste brevissime come brevissima sarà la fermata a Talamone nel 1860, tappa verso la Sicilia per la spedizione dei Mille.

Il 1862 è l’anno dell’Aspromonte, dove Garibaldi è ferito. Tornerà a Pisa per curarsi e alloggerà all’albergo delle Tre Donzelle. Il 20 dicembre parte per Livorno e da qui a Caprera. Le visite si diradano: nel 1866 è a Firenze, dove torna l’anno dopo, alloggerà in piazza Bellosguardo, e a Fiesole dove consumerà una «piccola refezione». Sempre nel 1867 soggiorna a Castelletti di Signa, Monsummano, Pistoia, Vinci e Castelfiorentino.

La predisposizione straordinaria di Garibaldi a colpire la fantasia popolare – il poncho, la camicia rossa, quello strano cappello, i lunghi capelli alla nazarena – è all’origine di un vero culto che contende le piazze a Vittorio Emanuele II, e si esprime nei tanti monumenti che si trovano anche nelle piazze toscane. Uno dei più belli e significativi si trova a Fiesole, dedicato all’incontro di Teano, che riunisce la diarchia risorgimentale. In qualche monumento è a cavallo, come a Pistoia, in altri è solo, in piedi, come a Firenze, dove le statue sono due, una sui lungarni e l’altra a Peretola; ancora a Livorno, Massa, Pisa, oppure ci si è limitati al solo busto, come a Talamone.Garibaldi è stato talmente popolare che spesso può capitare di trovare un monumento o una lapide dove meno te l’aspetti. Accade spesso ai personaggi popolari, e Garibaldi lo è stato, perché la storiografia di pronto intervento e di immediata leggibilità per tutti, che si esprime anche nei monumenti, non va tanto per il sottile e non attende i documenti per affermare e diffondere visivamente l’interpretazione, se non vera, vincente. La storiografia – quella costruita sui documenti – ci andrà molto più cauta.Ennio Cicali Garibaldi nel cinemaNonostante la rilevanza storica, il personaggio di Giuseppe Garibaldi non è stato particolarmente frequentato dal cinema. A quanto pare, per quanto avventurosa e movimentata, la sua vita non è stata ritenuta materiale da fiction. Nato nel 1807, morto nel 1882: questa è l’ossatura. Come se, nel mezzo, non ci fossero la vita da marinaio, le imprese di guerriglia in Brasile ed Uruguay, la partecipazione ai moti di indipendenza del 1848 e, finalmente, la spedizione dei Mille del 1860 che dette un contributo fondamentale all’unità d’Italia. Poi il tentativo di liberare Roma (già, perché Garibaldi fu fiero oppositore della Chiesa in tutte le sue forme), la partecipazione alla guerra Franco-Prussiana del 1870 e, infine, il ritorno a Caprera, si direbbe quasi da pensionato, pronto all’ultimo viaggio. La sua avventura cinematografica vera e propria (dopo alcune pellicole dei tempi del muto) comincia sotto il fascismo, nel 1933, quando Alessandro Blasetti realizza 1860. E comincia quasi in maniera trasversale, perché in realtà Blasetti si occupa della spedizione esclusivamente dal punto di vista dei contadini che la subirono ed evita accuratamente qualunque tono trionfalistico e banalmente patriottico. Proprio per questo approccio populistico, il film piacque al regime e costò a Blasetti la qualifica di regista «consenziente» che successivamente l’autore si affrettò a smentire realizzando Vecchia guardia e soprattutto La corona di ferro.

Nel 1942 arriva Un garibaldino al convento, di Vittorio De Sica, e dieci anni dopo Camicie rosse – Anita Garibaldi, di Goffredo Alessandrini e Francesco Rosi, con Anna Magnani e Raf Vallone. Nel 1960, in occasione del centenario della spedizione stessa, tocca a Roberto Rossellini affrontare l’argomento con Viva l’Italia!. Importante perché rappresenta il primo approccio dell’autore con la Storia che diverrà poi il marchio di fabbrica di tutta l’ultima parte della sua carriera, ma tutt’altro che capace di suscitare entusiasmi, anzi tra i film di Rossellini uno dei più amati (dai francesi) e ignorati (dagli italiani).

Florestano Vancini, nel 1972, realizza Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, che ha avuto una certa diffusione nei circuiti d’essai e (poco) sugli schermi televisivi. Più che Garibaldi, è Nino Bixio (interpretato da Mariano Rigillo) al centro dell’azione, che riscrive una parte della storia accanendosi su alcuni contadini siciliani accusati di aver ostacolato l’avanzata delle Camicie Rosse. Un film duro, totalmente antieroico, che non fa sconti a patriottismo e Storia con la S maiuscola.

Un anno dopo, nel 1973, Franco Rossi dirige per la televisione lo sceneggiato Il giovane Garibaldi, interpretato da Maurizio Merli, che alla maniera, si direbbe quasi, di un Vangelo apocrifo prende in considerazione gli anni del mare e del Sudamerica abitualmente ignorati dai libri di Storia. Un altro film «trasversale» è sicuramente Allonsanfan di Paolo e Vittorio Taviani, che rappresenta nel 1974 il discriminante della loro carriera dall’impegno più strettamente politico alle successive digressioni poetiche. Non affrontando direttamente la spedizione dei Mille, gli autori immaginano nel primo Risorgimento la vicenda di un nobile inquieto che, conquistato a una imprecisata causa rivoluzionaria i cui affiliati indossano camicie rosse, tradisce più volte i compagni fino a cadere a causa di un ultimo voltafaccia.

Nel 1994, infine, tocca a Guido Manuli scrivere l’ultimo capitolo della vicenda cinematografica de L’eroe dei due mondi con un grazioso film d’animazione un po’ serio e un po’ no nel quale il vecchio generale, ritiratosi sull’isola di Caprera (che è anche la capretta che gli tiene compagnia), racconta al naufrago Piccolo le tappe più gloriose della sua avventura risorgimentale. Il dibattito su Garibaldi resta aperto. Ma, più che nel cinema, ne possiamo trovare tracce in letteratura e saggistica, nella toponomastica di quasi tutte le città italiane, in qualche teatro e, guarda un po’, in molti cinema. Più in provincia che nelle grandi città: troviamo un Garibaldi, ad esempio, a Poggibonsi, a San Casciano Val di Pesa, a Scarperia, a Pietrasanta, a Massa Carrara, a Frosinone, a Foggia, a Modica (provincia di Ragusa) e a Tortolì (provincia di Nuoro). A Milano c’è ancora un Garibaldi. A Firenze invece, dove esisteva in Via Pietrapiana (luogo dove ora ha sede la Standa), oggi non c’è più.Francesco Mininni Garibaldi e le donne«Il suolo che produce delle donne come Adelaide è un suolo sacro. …L’amore di una madre non può essere nemmeno compreso dagli uomini. Nel presentarmi a lei io mi sentivo come un rimorso. Se questa madre infelice mi avesse rinfacciata la morte dei suoi figli, avrei dovuto chinare il capo e compatire al rimprovero per i due giovani caduti, ma mi presentava i due che ancora le restavano. Con donne simili una Nazione non può morire».

Così Garibaldi lodava Adelaide Bono Cairoli, la mamma degli eroici fratelli, che di figli ne perse ben quattro, tutti al seguito del Generale. Fu corrispondente e amica di grandi del Risorgimento, che di lei si servivano per contattare l’animoso personaggio, poco incline alla diplomazia, ma sensibilissimo al fascino femminile e capace a sua volta di affascinare. Non c’è da stupirsene, perché basta ripercorrere la biografia di Garibaldi per comprendere come questa si sia ben presto trasformata in mito, rendendo mitiche anche le sue donne. A cominciare da Ana Maria de Jesus Riberio, ossia Anita. Brasiliana, sposata e già madre, conosce il giovane quando questi combatte per la libertà dei popoli del Sud America. Pare sia stata lei ad insegnare al marinaio nizzardo l’arte del cavalcare. Pare anche che la loro fosse una passione travolgente.

Nel 1840 ebbe il primo figlio da lui, Menotti. La leggenda vuole che, a cavallo, con il neonato in braccio, sia sfuggita ad un agguato e sia rimasta nei boschi per tre giorni. Visse con l’eroe a Montevideo, fece la lavandaia per mantenere la famiglia, che era cresciuta di altri due figli; giunse a Nizza nel 1847 e poi riprese a seguire il combattente nelle sue peregrinazioni, fino alla sfortunato episodio delle Repubblica Romana, alla fuga dall’Urbe in stato di gravidanza e alla morte a Ravenna nel 1849. Scavare nella biografia del Generale significa imbattersi in Emma Roberts, la «fidanzata» inglese che egli invitò ad andare a vivere con lui a Caprera dopo il 1856. Così almeno si racconta. Poiché la donna non riuscì a raggiungerlo per l’opposizione dei figli, l’eroe tornò da solo sull’isola, accontentandosi di chiamare «Emma» l’imbarcazione che si era comprato a Londra. Un posto di rilievo ebbe anche Francesca Armosino, sposata poco prima della morte, ma da lungo tempo sua fedele compagna e madre di altri tre figli, fra cui Clelia, la custode delle memorie del padre, che ne pubblicò anche un romanzo «Menotti». Vanno almeno citate la contessina Raimondi, l’ignota salvata dal giovanissimo Giuseppe mentre stava per affogare in un fossato e la madre Rosa.

Al di là della sfera familiare e dei rapporti sentimentali, tuttavia, appare forte la presenza femminile nella avventura politica e militare di Garibaldi: è al centro di una stretta trama di rapporti con quelle che la storiografia ha chiamato le «sorelle d’Italia», le donne impegnate nel Risorgimento. Assume un grande rilievo ad esempio la figura di Antonietta di Pace, detta «Niccardo», perché in famiglia dopo tre figlie si attendeva un maschio. Personaggio straordinario, donna del Sud, «pasionaria» della libertà d’Italia, avversa ai Borbone, dotata di buona cultura, fu al centro di una rete di cospiratrici, mogli a loro volta di cospiratori, come Raffaella Settembrini, Antonietta Poerio, Aline Peret Agresti. Fautrice del conflitto armato, vide in Garibaldi l’eroe da affiancare e da sovvenzionare: a Salerno cercò fondi per acquistare fucili da inviargli per l’ impresa dei Mille; viaggiò in Puglia e in Abruzzo per preparagli il terreno durante la risalita dalla Sicilia. Lo accolse a Salerno col suo comitato femminile; sempre galante, il generale la abbracciò e le disse: «Sono felice di spezzare le catene che imprigionavano un popolo generoso e di scacciare quei re che non avevano rispetto neppure per le donne». Antonietta gli chiese: «Generale, quando andiamo a Napoli?» e lui pronto:«Domani. E lei si tenga pronta a venire con me». Così fu. La «strana coppia» entrò nella città il mattino seguente, a cavallo e seguita da un pugno di uomini in camicia rossa.

Insieme a lei, in quelle imprese, sono da ricordare Jessie White Mario, scrittrice e patriota, la «Miss Uragano» che chiuse i suoi giorni a Firenze e tante altre.

Durante tutta la vita, anche nell’esilio di Caprera, le donne continuarono ad essere dalla sua parte; così nella biblioteca di Garibaldi si trovano volumi con dediche autografe di signore politicamente impegante e culturalmente agguerrite, come Anna Maria Mozzoni, sostenitrice dell’emancipazione femminile, ed Alaide Gualberta Beccari, direttrice di «La donna», un periodico schierato con i socialisti; la principessa e scrittrice Dora d’Istria; la storica Emma Blyton e perfino Florence Nightingale, la fiorentina «signora della lampada».Elena Giannarelli

E se l’«Eroe dei due mondi» diventasse paladino dei «Pacs»? (di Marco Lapi)

Garibaldi, un mito meno mito di quello che si pensa (di Romanello Cantini)