Cultura & Società

25 aprile: Chiti, “senza retorica, una festa per giovani”

Vannino Chiti, presidente dell'Istituto storico toscano della Resistenza e dell'Età contemporanea

Quello che si appresta a celebrare è il suo primo 25 aprile da presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea che ha appena celebrato i 70 anni di attività. Vannino Chiti infatti è stato eletto lo scorso primo marzo. Succede a Giuseppe Matulli scomparso di recente.

Presidente Chiti, l’anno prossimo verrà celebrato l’80° anniversario della Liberazione. Ha ancora senso festeggiare il 25 aprile come si è fatto finora o serve qualcosa di più o di diverso?

«Il 25 aprile deve essere un momento di memoria attiva, la celebrazione non può essere fine a sé stessa, pericolosamente ridotta a semplice retorica. È una giornata importante che parla delle nostre radici, di un patrimonio straordinario che è di tutti e di ciascuno: libertà, democrazia, Costituzione. Sono valori preziosi, vivi, che vanno resi più forti, che ogni giorno richiedono il nostro impegno e la nostra responsabilità. Il monito rivolto ai giovani da Piero Calamandrei nel 1955 è attualissimo: la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare … ogni giorno sulla libertà bisogna vigilare».

Nessuna retorica e niente per scontato dunque?

«In corso c’è un tentativo di revisionismo strisciante, molto insidioso, che tende ad affermare che il fascismo, come l’antifascismo, sono fenomeni sorpassati che si sono conclusi nel 1945. Oppure che le efferate stragi di cui sono stati vittima migliaia di italiani inermi, dalle Fosse Ardeatine a Sant’Anna di Stazzema, siano opera dei soli nazisti e non abbiano avuto l’attiva e colpevole collaborazione dei fascisti. C’è una memoria condivisa necessaria, che deve essere affermata in Italia e in Europa, fondata sulla verità storica. Soltanto così potremo costruire un futuro di vera pace».

Se dovesse spiegare a una ragazza o a un ragazzo di 16 anni il valore di questa festa da dove partirebbe?

«Il fascismo e il nazismo avevano tolto alle persone libertà e dignità: manifestare un dissenso comportava l’arresto, la tortura, la morte. Se si era ebrei, gay, zingari o oppositori si finiva nei campi di concentramento e nelle camere a gas. Con la fine del fascismo e del nazismo, la Liberazione ha aperto una fase nuova, ci ha dato la Repubblica e la Costituzione. Alle ragazze e ai ragazzi parlano ancora oggi, anche se spesso non più in modo diretto, le testimonianze di coloro che si sono impegnati, anche a costo della vita, per conquistare questi obiettivi. Donne e uomini comuni, molti giovani, che all’indifferenza hanno preferito la parte giusta della libertà, e non quella sbagliata dell’oppressione. L’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea lavora con l’obiettivo di far conoscere la storia e le persone – tante, con idee diverse ma tutte insieme – che hanno dato il loro contributo perché la storia del nostro Paese fosse migliore».

Con la sconfitta del nazifascismo si apre una fase di grandi speranze, anche di pace, per l’Italia e per l’Europa. Oggi quelle attese sembrano tragicamente tramontate…

«La preoccupazione è enorme perché assistiamo a una rilegittimazione della guerra, si è incrinata la grande discriminante seguita al Secondo conflitto mondiale: pace tra i popoli e non più guerre. Oggi, con le armi nucleari, il rischio è quello della distruzione dell’umanità. Certo dobbiamo sempre stare dalla parte di chi è aggredito ed essere contro gli aggressori, ma proprio per questo è necessario impegnarci per il cessate il fuoco e per una pace giusta. L’insegnamento di La Pira è più valido che mai: è necessario che si mobiliti la diplomazia dal basso, si devono attivare i cittadini e i Comuni che sono le istituzioni più prossime alla gente e svolgere un’azione forte e concreta di pressione democratica. Non possiamo più restare in silenzio: le prossime elezioni europee sono un’occasione per chiedere con determinazione a chi si candida una parola chiara sull’impegno concreto per la sconfitta della guerra e la costruzione della pace».

Quale ruolo ha oggi l’Istituto e in quale direzione state lavorando?

«L’Istituto ha il compito primario di conservare la memoria storica e renderla fruibile, anche utilizzando le nuove tecnologie e digitalizzando gli archivi, con attività di ricerca, approfondendo aspetti fondamentali della storia contemporanea svolgendo una significativa attività di formazione rivolta a studenti, insegnanti e componenti delle organizzazioni della società civile, delegati sindacali. Nel corso dell’anno scolastico che si sta concludendo docenti e collaboratori dell’Istituto hanno lavorato con 18 istituti scolastici, 64 classi e circa 1500 studenti a cui si aggiungono alcuni progetti attivati con la Città metropolitana di Firenze che hanno coinvolto 15 istituti e circa 350 studenti».

Che ruolo ha avuto la Resistenza nella sua formazione, cosa resta di quell’esperienza?

«La mia formazione si è radicata sui valori dell’antifascismo, fin da adolescente. La Resistenza presentata in modo giusto, cioè non retorico, ma come esperienza concreta e coerente di una scelta di valori può dire tanto anche ai giovani di oggi. Di fronte all’inquietudine di questo tempo – con le epidemie, le guerre, l’incertezza del futuro – i ragazzi sentono il bisogno di valori che non trovano: coerenza nell’impegno, scelta di non arrendersi e di non rassegnarsi. Sono i valori della Resistenza».