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Gaza, situazione drammatica

Non poteva essere diversamente, ma gli echi della guerra a Gaza si sono sentiti fino a Betlemme dove da sabato 10 gennaio (fino al 15) sono riuniti i vescovi di Usa e Ue del Coordinamento per la Terra Santa. L’organismo, nato a Gerusalemme nel 1998 e coordinato dalla Conferenza episcopale inglese, si propone di promuovere la solidarietà con la Chiesa e le comunità cristiane che vivono in Terra Santa. Una visita, questa dei vescovi di Usa e Ue, che non è mai stata in dubbio, anzi, già prima della partenza l’arcivescovo di Liverpool, mons. Patrick Kelly, che guida la delegazione, aveva chiesto, in un appello, «un immediato cessate-il-fuoco e l’apertura di corridoi umanitari». In questi giorni i vescovi, circa venti, hanno incontrato i leader religiosi locali con i quali hanno affrontato temi «sensibili» quali il rilascio dei visti al personale religioso e l’Accordo fondamentale Israele e Santa Sede, e visitato i villaggi cristiani dei dintorni di Betlemme, come Beit Sahour.

Violenza inutile. E proprio da questo villaggio, segnato come altri dal triste fenomeno dell’emigrazione, mons. Kelly ha ribadito il suo appello per Gaza: «Chiediamo con forza un immediato cessate-il-fuoco e la fine di ogni violenza a Gaza per consentire la distribuzione di aiuti alimentari. Il primo compito dei leader politici in questa situazione è fare i passi necessari per evitare la violenza e avviare il dialogo. C’è bisogno della volontà da ambo le parti di ascoltare, capire e cercare la riconciliazione. La storia ha sempre giudicato come coraggiosi coloro che sono aperti ad un dialogo che possa salvare ogni singola vita. Ogni soluzione deve riconoscere questa terra come casa per due popoli e tre religioni». Il nunzio apostolico, mons. Antonio Franco, ha invocato una soluzione duratura per il conflitto per il quale, ha detto, «non ci sono parole. In campo ci sono le ragioni e i torti degli uni e degli altri. Se i problemi restano sotto la cenere sono destinati a scoppiare di nuovo». Violenza «da condannare fermamente» anche per il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal. «La violenza ci tenta poiché ci spinge a pensare che essa possa risolvere i nostri problemi. È una falsa speranza in quanto non fa altro che generare complicazioni che rendono arduo il tentativo di trovare una giusta soluzione», che può arrivare solo «da un approccio globale dei problemi di questa regione che rispetti le legittime aspirazioni e interessi di tutte le parti». «Le terribili immagini delle giovani vittime di Gaza – ha concluso – ci aprono alla compassione e ci spingono ad alzare la voce in loro difesa, perché a 20 anni dall’adozione della Convenzione dei diritti del bambino, i piccoli rimangono vulnerabili e privati di diritti e dignità».

Drammatica testimonianza. «Non abbiamo cibo, l’acqua potabile scarseggia, i bambini sono terrorizzati». Ad avvicinare ancor più i vescovi a Gaza sono state le parole, spezzate dall’emozione, del parroco della piccola comunità della Striscia, poco più di 3 mila fedeli, padre Manuel Musallam. «In questa grave situazione – ha detto – musulmani e cristiani sono ancor più uniti e insieme cercano di sopravvivere. Siamo tutti palestinesi e siamo tutti vittime. I nostri fratelli musulmani ci sono vicini, ci dimostrano affetto e vicinanza, ci invitano a non aver paura». «Da parte nostra – ha spiegato padre Musallam – cerchiamo di condividere con tutti quel poco che abbiamo, come l’acqua. Nella mia parrocchia abbiamo un pozzo artificiale da cui si estrae acqua che offriamo a chi ne ha bisogno. Purtroppo l’acqua di Gaza non è potabile, quest’ultima è ormai quasi finita. Abbiamo anche un generatore che serve a far funzionare un forno per produrre un po’ di pane. Abbiamo messo a disposizione la nostra scuola come rifugio. All’interno hanno trovato ospitalità molte famiglie e bambini. Il loro pianto è continuo, sono terrorizzati. In tanti anni non ho mai visto una cosa del genere». «Le scuole del patriarcato non hanno subito danni così come quelle di congregazioni religiose. A Gaza sono rimaste le suore di Madre Teresa che assistono i bambini disabili». «La guerra sta provocando ingenti danni, 18 moschee sono state distrutte, gli israeliani credono che siano rifugio per miliziani di Hamas, la popolazione è allo stremo. Il popolo palestinese non merita questo trattamento di sangue. Imploro tutti di fermare questa guerra e di riaprire il processo di pace. I palestinesi vogliono vivere in pace».

Colpito centro Caritas. Intanto l’operazione israeliana «Piombo fuso» non si ferma. È del 12 gennaio la notizia che Tsahal, l’esercito di Israele, ha distrutto uno dei centri medici della Caritas Gerusalemme operanti a Gaza. Nonostante ciò, la responsabile della stessa Caritas, Claudette Habesc, ha rassicurato sulla prosecuzione dell’impegno umanitario nella Striscia. Ultimo, in ordine di tempo, accorato appello per la fine delle ostilità lo ha lanciato Victor Batarseh, sindaco di Betlemme, città che vive circondata dal muro di protezione israeliano: «fermate la carneficina a Gaza, se necessario anche con la forza. La risoluzione delle Nazioni Unite non basta. I palestinesi vogliono la pace, non vogliamo più morti israeliani o palestinesi, cristiani, ebrei o musulmani».