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Affido familiare: le raccomandazioni del Garante: «importante la continuità degli affetti»

Le bambine e i bambini in affidamento familiare hanno diritto alla «continuità degli affetti». Hanno diritto, in altre parole, a mantenere il legame affettivo con la famiglia affidataria, ove ciò risponda al loro interesse. È quanto stabilisce la legge 173 del 2015, che dà corpo alla previsione dell’articolo 8 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza di New York. Ma come è stata applicata questa legge dai Tribunali per i minorenni italiani? Quali sono le tendenze e le prospettive della nuova disciplina? Sono alcune delle domande alle quali cerca di rispondere il volume «La continuità degli affetti nell’affido familiare» presentato stamattina a Roma nella sala del parlamentino del Cnel, in occasione della tavola rotonda organizzata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Il documento è frutto di un gruppo di lavoro formato all’interno della Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni preposte alla promozione e alla tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un organismo consultivo costituito e presieduto sempre dall’Autorità garante.

Nel documento l’Autorità garante ha formulato una serie di raccomandazioni a servizi sociali, Consiglio nazionale ordini assistenti sociali, Anci, autorità giudiziarie e al Ministero della giustizia per «stimolare comportamenti virtuosi e prassi omogenee in ambito nazionale». «È stato importante – afferma la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano – avviare un’analisi sullo stato di attuazione della legge e un monitoraggio su tutto il territorio nazionale delle prassi virtuose e delle eventuali criticità, perché siamo consapevoli di quanto le relazioni affettive siano rilevanti per bambini e ragazzi. Grazie alla collaborazione dei Tribunali per i minorenni e alle testimonianze delle famiglie affidatarie ci è oggi possibile tracciare alcune riflessioni utili e scattare una fotografia sufficientemente ampia degli interventi attuati nel Paese».

La pubblicazione è il frutto dell’attività di analisi e studio condotta dal gruppo di lavoro costituito nel dicembre 2016 nell’ambito della Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni con l’obiettivo di approfondire il tema della continuità degli affetti nell’affido familiare. La prima parte del volume è dedicata ad approfondire le novità introdotte dalla legge 173 del 2015. «I cambiamenti che hanno interessato le relazioni familiari negli ultimi dieci anni e i nuovi modelli che di recente si sono affiancati alla famiglia tradizionale non sono passati inosservati al legislatore che, consapevole dell’importanza che riveste la sfera degli affetti e delle relazioni, è intervenuto per tutelare la continuità dei legami affettivi che si creano tra il minorenne in affidamento e la famiglia affidataria», si spiega nella pubblicazione.

La legge 173 del 2015 intende proprio riconoscere e valorizzare «la continuità degli affetti» nelle possibili situazioni in cui può evolvere l’affido familiare. Da un lato «prevede la possibilità per la famiglia affidataria di adottare il minorenne in affidamento, se dichiarato adottabile e qualora ne ricorrano i presupposti di legge». Dall’altro, «tutela la continuità delle relazioni affettive che si sono consolidate nei casi in cui venga disposto un nuovo e diverso collocamento del minorenne (adozione da parte di un’altra coppia o rientro in famiglia) e ciò risponda al suo superiore interesse». Quello che per la prima volta viene riconosciuto, in sostanza, è «la tutela alla continuità delle relazioni affettive dei bambini e ragazzi in affidamento nei confronti della famiglia affidataria».

Al fine di effettuare un primo monitoraggio sullo stato di attuazione della legge 173 del 2015, ai 29 Tribunali per i minorenni che si trovano sul territorio italiano è stato distribuito un questionario che consentisse di acquisire informazioni sulle prassi e gli orientamenti che si sono affermati rispetto alla scelta della famiglia adottiva nei casi relativi a minorenni provenienti da una precedente esperienza di affidamento familiare. Dalle risposte pervenute, si legge nella pubblicazione presentata oggi a Roma «La continuità degli affetti nell’affido familiare», si evidenzia che il 40% proviene dai Tribunali del Sud.

Per quanto riguarda le famiglie affidatarie, si tratta, per lo più, di famiglie senza figli, che avevano già formalizzato la propria disponibilità ad adottare prima ancora del collocamento in affido dei minorenni. Al contrario, quando la famiglia adottiva non è quella affidataria, quest’ultima, nella maggior parte dei casi, ha già figli. Per quanto riguarda poi la durata dell’affidamento, dalla rilevazione si evidenzia che i collocamenti in affido si protraggono per un tempo che, se pur non quantificato in anni, risulta comunque significativo. Quanto poi al profilo dei minorenni interessati, si tratta spesso di bambini italiani, o comunque nati in Italia, con una età che in genere oscilla tra i due e i cinque anni. Quando l’adozione avviene da parte di famiglia diversa da quella affidataria, invece, i bambini tendono a essere più piccoli (due – quattro anni). Rispetto, infine, al tempo trascorso dall’avvio dell’affido alla sentenza di adottabilità, si stima che possa durare approssimativamente tra i due e i quattro anni. Nove Tribunali su 16 affermano che quando viene disposto il rientro nella famiglia di origine del minorenne che si trovava in affido, vengono date indicazioni sul mantenimento dei rapporti con la ex-famiglia affidataria.

«Luci e ombre». Le testimonianze. Attraverso il metodo dell’intervista sono state acquisite le testimonianze da parte di una serie di famiglie che si sono trovate ad accogliere bambini in affido in concomitanza con l’approvazione della legge. Complessivamente, «le testimonianze raccolte hanno consentito di tracciare una fotografia che abbraccia diverse regioni». Quella che ne emerge è «una realtà con luci e ombre: interventi rigorosi e buone prassi accanto a progetti meno definiti». Rispetto alla coerenza e alla chiarezza con cui vengono formulati e realizzati i progetti di intervento in favore dei minorenni e delle loro famiglie, «le prassi in atto nei diversi contesti per rispondere al bisogno di accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia e che si trovano in una situazione ancora non pienamente definita sono piuttosto diverse». In alcuni casi, in particolare, «si è rilevata una progettualità carente, come nel caso del progetto di affido avviato senza che ne fossero definiti tempi ed esiti attesi».

Una parte rilevante del progetto di intervento attiene all’abbinamento tra famiglia affidataria e minorenne. In proposito, le testimonianze raccolte raccontano di «casi in cui dopo aver avviato un certo tipo di percorso si è poi proceduto in una maniera differente». Ne sono esempi il caso della famiglia coinvolta in un’accoglienza «ponte» a cui è stata successivamente chiesta la disponibilità a diventare adottiva e quello della famiglia il cui affido, iniziato come temporaneo è diventato, dopo pochi mesi, sine die.

Riguardo al tempo necessario per arrivare a una decisione definitiva sul futuro del minorenne, «in molti casi i tempi di decisione risultano intollerabilmente lunghi e non rispettosi dei bisogni dei bambini». Anche rispetto al sostegno assicurato alla famiglia affidataria e al minorenne durante l’accoglienza, dalle testimonianze raccolte «emerge che se in alcuni casi la presenza dei servizi socio-sanitari è stata attenta, puntuale ed efficace, in altri casi meno». Nel documento si mette in evidenza come «purtroppo non esistono criteri condivisi sui tempi ed i modi opportuni per favorire il passaggio da una famiglia all’altra ed è ancora diffusa l’idea che un passaggio rapido a cui segue una netta limitazione o interruzione dei rapporti sia la procedura migliore per favorire l’inserimento del minorenne nel nuovo contesto». Viene sottolineata inoltre «la scarsa attenzione a informare, preparare e sostenere i bambini a comprendere la situazione di transizione in cui si trovano». In diversi casi né il Tribunale né i servizi si sono preoccupati di dare indicazioni sulle modalità più appropriate per gestire la relazione tra la famiglia affidataria e i nuovi referenti del minorenne.

Mancanza di prassi uniformi. Le testimonianze e i dati raccolti nella pubblicazione «La continuità degli affetti nell’affido familiare», presentata oggi a Roma, hanno fatto emergere «l’esistenza di diverse interpretazioni e la mancanza di prassi uniformi rispetto all’attuazione della legge n. 173 del 2015». Allo stesso tempo, «l’attività di analisi e approfondimento condotta dal gruppo di lavoro ha generato molte riflessioni rispetto ai modi in cui ovviare ad alcune criticità e migliorare il sistema». Da qui l’esigenza, per l’Autorità garante dell’infanzia e l’adolescenza di «stimolare comportamenti virtuosi e prassi omogenee in ambito nazionale attraverso una serie di raccomandazioni».

Le raccomandazioni. In particolare, ai servizi sociali competenti l’Autorità garante raccomanda «di preparare le famiglie affidatarie a un percorso di accoglienza ampio, flessibile e in grado di adattarsi alle possibili evoluzioni della situazione del minorenne; di effettuare prognosi tempestive sulla recuperabilità delle situazioni familiari e predisporre progetti di affidamento che tengano conto di ciò e che siano dettagliati e attenti alle peculiari esigenze del minorenne; di informare gli affidatari sui diritti loro riconosciuti dalla legge n. 173 del 2015; di programmare passaggi graduali della persona di minore età in quella che diventerà la sua famiglia adottiva; di proporre al giudice competente, in vista della conclusione dell’affidamento, indicazioni sul mantenimento delle relazioni socio affettive consolidatesi; di monitorare la situazione personale e familiare della persona di minore età». Inoltre, raccomanda al Consiglio nazionale Ordini assistenti sociali «di favorire attraverso l’adozione di specifiche azioni, tra cui anche l’organizzazione di attività formative, la realizzazione delle raccomandazioni destinate ai servizi sociali competenti» e all’Anci «di favorire attraverso l’adozione di specifiche azioni, tra cui anche l’organizzazione di attività formative, la realizzazione delle raccomandazioni destinate ai servizi sociali competenti».

Per «stimolare comportamenti virtuosi e prassi omogenee in ambito nazionale nell’ambito dell’affido, l’Autorità garante dell’infanzia e l’adolescenza, raccomanda alle autorità giudiziarie «di individuare la collocazione più idonea a garantire al minorenne in affido la continuità delle relazioni socio affettive e ad evitare collocazioni plurime; di informare gli affidatari in merito alla possibilità loro riconosciuta dalla legge n. 173 del 2015 di poter adottare il minorenne in affidamento, se dichiarato adottabile e qualora ne ricorrano i presupposti, e di poter presentare memorie scritte, quando sono convocati dal giudice; di definire procedure standard per la convocazione in giudizio dell’affidatario o della famiglia collocataria e per il deposito delle eventuali memorie da parte degli stessi; di realizzare il previsto ascolto del minorenne nelle forme e nei modi più adatti, garantendo l’adeguata assistenza affettiva e psicologica; di prevedere, nel provvedimento di cessazione dell’affido, indicazioni sulla continuità delle relazioni socio affettive consolidatesi nel corso dell’affidamento; di dare compiuta attuazione alla legge n. 173 del 2015, nella parte in cui prevede che l’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devono essere convocati nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato».

Al Ministero della Giustizia, l’Autorità garante per l’infanzia chiede, infine, «di implementare e uniformare i sistemi informativi già in uso nei Tribunali per realizzare un sistema di monitoraggio alla fonte, che consenta di avere dati certi e comparabili su tutto il territorio nazionale al fine di poter valutare lo stato di attuazione della legge n. 173 del 2015».