Vita Chiesa
Sintesi dei contributi delle Diocesi toscane
Quarta parte
Ogni Diocesi infatti ha il suo piano pastorale annuale (frutto talvolta di sinodi, di cammini sinodali, di convegni annuali…). Le tematiche del Convegno di Verona si sono inserite in modo naturale e senza forzature nel cammino diocesano. Sono infatti tematiche (speranza, testimonianza, discernimento, ambiti di vita… ) che attraversano tutte le iniziative che le Diocesi compiono durante un anno. Si è trattato solo di dare accentuazione, fare alcuni aggiustamenti per portare la pastorale diocesana ad accogliere i suggerimenti del Convegno di Verona e ad arricchire di ulteriori contenuti il normale cammino diocesano.
Per portare i temi del Convegno di Verona a conoscenza della Diocesi sono stati utilizzati i canali della pastorale ordinaria: settimanale diocesano, stile sinodale, ascolto e dialogo, piccoli gruppi, ritiri spirituali dei giovani, eventi diocesani, …
La Diocesi di Arezzo ha avuto il privilegio e l’onere di accogliere uno dei cinque eventi nazionali in preparazione al Convegno di Verona ed è stato un momento di grazia e di indubbia crescita per tutta la Diocesi, che ha riscontrato anche la sensibilità delle varie istituzioni al tema trattato.
La prima attenzione nel coinvolgimento è stata rivolta ai sacerdoti, che hanno trattato e discusso del Convegno di Verona nelle Giornate diocesane del Clero, nei ritiri mensili, nei Corsi di aggiornamento… In tutte le Diocesi si è pensato che la sensibilizzazione del clero fosse la strada maestra per giungere al popolo di Dio.
Certamente nelle Diocesi il coinvolgimento non ha riguardato in egual maniera tutte le componenti della comunità Diocesana.
Alcune Diocesi hanno scelto di privilegiare gli organismi di partecipazione: Consiglio Presbiterale e Consiglio Pastorale Diocesano.
Gli Uffici pastorali secondo le loro competenze sono stati strumenti privilegiati di riflessione e di approfondimento del tema o di tempi specifici: in particolare gli Uffici Caritas, gli Uffici di pastorale familiare e giovanile, l’Ufficio per l’Ecumenismo,…
+ attraverso le Foranie e le eventuali strutture di consultazione ( consigli pastorali foraniali );
+ e attraverso le parrocchie: in alcuni luoghi si sono attivati i Consigli pastorali. Inoltre le parrocchie hanno nominato e inviato alcuni delegati per la celebrazione di Convegni diocesani.
Anche le Aggregazioni laicali, soprattutto attraverso le Consulte, hanno cercato di sensibilizzare i loro membri alla traccia di riflessione del Convegno di Verona. Sembra però di costatare che il numero delle Aggregazioni interessate al Convegno di Verona non sia stato elevato.
In diverse Diocesi si è seguito il suggerimento di distribuire nelle parrocchie la Prima lettera di Pietro, facendone in alcuni casi oggetto di lectio divina. Anche i Vescovi hanno scelto in alcune occasioni (esempio Stazioni quaresimali ) di presentare la Prima lettera di Pietro ai loro fedeli.
La ricaduta nelle parrocchie è avvenuta anche in occasione della Benedizione delle famiglie con la distribuzione di opuscoli intonati al tema del Convegno di Verona.
Nei tempi forti dell’anno liturgico (Avvento e Quaresima) è stato suggerito in alcune Diocesi un ventaglio di omelie rivolte a chiarire i temi della speranza, della testimonianza e degli ambiti della testimonianza.
Valorizzazione di alcune pratiche tradizionali (Via Crucis e Stazioni Quaresimali)
Egualmente significativo il suggerimento di momenti di preghiera per il Convegno e sui temi del Convegno stesso.
Anche il settimanale cattolico (specialmente dove è abbastanza diffuso) ha costituito occasione importante di sensibilizzazione dei fedeli.
Si costata in genere che la varietà delle iniziative è legata allo stile e alle modalità che da anni caratterizzano il lavoro pastorale in una Diocesi.
Da certe iniziative è sorta l’esigenza di dare più continuità nel tempo allo stile del ritrovarsi insieme.
Si osserva che il coinvolgimento del cammino verso Verona ha riguardato le persone che da sempre gravitano intorno alla Diocesi e agli organismi. Si nota in genere molta difficoltà ad allargare la fascia di persone solitamente interessate a certe tematiche.
Le iniziative promosse sono state ben condotte e da tutti riconosciute valide, ma è stata carente la partecipazione. La valutazione generale, a detta di qualcuno, non può dirsi buona.
Vi sono larghe fasce di indifferenza all’interno del popolo di Dio, in cui predominano individualismo e relativismo. «Stagione difficile per la Chiesa», nota una Diocesi.
Qualcuno critica il metodo adottato nel raccogliere i contributi provenienti dalle Diocesi. Il passaggio dalla Diocesi alla Regione e poi alla CEI è una graduale scrematura in cui si perdono a poco a poco alcuni contenuti e soprattutto l’intervento libero e profetico di cui ci sarebbe bisogno oggi.
Le comunità stentano a recepire iniziative che piovono dall’alto.
Una delle constatazioni più ricorrenti: la scelta pastorale degli adulti come modello e spazio privilegiato, superando lo sbilanciamento verso la pastorale dei bambini.
Diverse Diocesi, pur non avendo celebrato un Sinodo, hanno scelto uno stile sinodale nel modo di lavorare.
Capacità di contemplazione, saper guardare in alto. Chiamata alla santità che passa per l’acquisizione di un’interiorità profonda, la tensione verso l’unità ed una forte responsabilità verso il mondo.
Misurarsi con il Vangelo come modello superiore e insostituibile di discernimento. Occorre partire dalla parola di Dio per trovare stili di vita conformi al Vangelo. Per questo motivo ogni Chiesa locale è invitata a conoscere e frequentare i contenuti profondi del Vangelo.
La Chiesa locale deve saper cogliere le opportunità pastorali. Spesso ci si lamenta, ma non mancano occasioni di evangelizzazione e testimonianza (es. preparazione al matrimonio, celebrazione del matrimonio, battesimo dei figli…). Vi sono momenti nella vita delle persone (gioia, dolore, nascita, morte, vita, difficoltà, impegno…) in cui poter inserire i significati profondi dell’esistenza, che scaturiscono dal Vangelo.
Occorre valutare e valorizzare i carismi personali. Il Vescovo deve cercare la collaborazione con tutto il popolo di Dio, individuando ed appoggiando le competenze specifiche.
Il discernimento non può che essere legato alla capacità di rendere ragione della speranza che è in noi.
È indispensabile valorizzare relazioni umane profonde, come base di ogni rapporto. Se vengono curate nello spirito evangelico sono momento privilegiato per la testimonianza.
Occorre mostrare maggiore attenzione alla lettura dei segni dei tempi, in un atteggiamento costante di accoglienza e di ascolto.
2. Come si cerca di evitare il ripiegamento su di sé da parte delle comunità o il prevalere degli aspetti organizzativi sul diffondersi di relazioni profonde e gratuite? Come si cerca di conciliare contemplazione e impegno nel mondo?
Far crescere il senso di comunione, puntando sul riconoscere e vivere il tesoro che è nelle nostre mani: l’esperienza di Gesù risorto.
La conciliazione fra contemplazione ed impegno presuppone un laicato preparato, cristianamente formato ed attento.
Molti hanno sottolineato la necessità di tornare a parlare in profondità della propria fede, in modo esplicito, unitamente ad una testimonianza leggibile, evitando l’autoreferenzialità.
In questo programma si richiama la necessità di rivisitare ed approfondire il documento conciliare Gaudium et spes (La Chiesa nel mondo contemporaneo), sempre di attualità, come pure riprendere alcuni punti del programma pastorale degli anni ’90: Evangelizzazione e testimonianza della carità.
Varie Diocesi sottolineano che occorre rifare il primo annuncio, che c’è bisogno di una nuova evangelizzazione, accompagnata da una testimonianza integra senza misura: si evita così il ripiegamento su se stessi. Anche la pastorale sacramentale è divenuta oggi un’occasione importante per il primo annuncio: va perciò ripensata e curata.
La fede deve essere accompagnata dalla testimonianza, altrimenti ciò che si predica rischia di diventare mera utopia.
Per evitare di richiudersi è importante che le nostre comunità si attrezzino e si abituino a leggere la realtà socio-culturale. Nel variare della popolazione (e oggi più di sempre), sia per la mobilità interna che per l’inserimento di extracomunitari, va tenuto conto delle nuove situazioni che si creano e che chiedono capacità di interpretare e guidare i cambiamenti.
3. Quali iniziative e strumenti sono stati individuati per favorire la crescita di una fede adulta e della responsabilità missionaria?
L’esperienza di Cristo è il luogo fondamentale dell’annuncio. Per la formazione di una fede adulta occorre ripartire da Cristo, nucleo centrale della fede, recuperando l’incontro personale con lui. Vanno valorizzate le esperienze che educano alla relazione profonda con Dio.
Va messa la parola di Dio al centro del cammino ecclesiale e della vita personale.
Le comunità cristiane devono aiutare gli adulti a fare i conti con le domande, i dubbi e le fatiche della vita.
Nell’attuale situazione la formazione del laicato diviene un problema non più rinviabile nella Chiesa. Fra l’altro si nota che le Aggregazioni laicali, le Associazioni gruppi e movimenti, non ricevono più la dovuta attenzione da parte della Chiesa.
Responsabilità missionaria significa spiritualità che si dona e richiede di curare la fede di chi è cristiano ma anche di accompagnare il cammino di chi cristiano ancora non è. Occorre aprirsi a tutti.
Non ci si può limitare ad una pastorale ad episodi. Pur significativi in sé, staccati gli uni dagli altri non riescono a dare continuità alla nostra azione pastorale.
Puntare su di una Chiesa missionaria, invece che su una Chiesa statuaria. Può essere utile una rete di messaggeri, cioè persone che si incaricano di visitare famiglie, con un invito, un messaggio, una semplice comunicazione.
La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, presbiteri prima di tutto e poi laici e religiosi che si devono formare per superare la dicotomia fra contemplazione e impegno.
La parrocchia è luogo di incontro privilegiato, quando diviene luogo di accoglienza e ascolto, e quindi missionaria, ma occorre anche inventare nuovi spazi di incontro al di là delle parrocchie.
Tenere presente in alcuni posti la realtà di tantissimi non italiani e la conseguente esigenza di una Chiesa aperta al confronto e alla presenza culturale. È una sfida che la Chiesa deve saper accogliere.
4. Quali sono le fatiche e i rischi a cui è esposta la testimonianza cristiana nella realtà diocesana?
Alcuni rischi. Certezza di una fede che diviene intransigenza, lontano dallo spirito suggerito da Pietro: sempre pronti a rendere ragione della speranza… tuttavia ciò sia fatto con dolcezza e rispetto (1 Pietro 3,15); rischio inoltre della fede fai da te, rifugio accogliente e fatto individuale.
La Chiesa vive una stagione difficile. Vi è il rischio della frammentazione e il prevalere dell’individualismo e dell’economicismo.
Rischio di nutrire i nutriti, di rifare continuamente la proposta ai soliti, che sono sensibili. Rischio di rinchiudersi nelle certezze, nei gruppi e nelle parrocchie, in atteggiamento in difesa.
Delusione e contrapposizione: rischio di sentirsi giudicati dal mondo. Ci viene richiesto uno stile di vita coerente, sobrio, per essere disponibili all’incontro con le diversità.
Rischio di pensare le nostre comunità e strutture come quelle che organizzano alcuni momenti della vita (nascita, crescita, matrimonio, morte…).
Rischio di scivolare nell’attivismo a scapito del supplemento d’anima che fa la differenza nel rapporto dei cristiani con gli altri.
Sono pochi i testimoni capaci di sostenere il cuore di tanti smarriti.
Difficoltà dei ministri ordinati a collaborare, con il pericolo di accuse reciproche all’interno della Chiesa.
5. Strumenti idonei per testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi. Risorse e scelte da valorizzare.
La parrocchia, ponte dell’incontro con Gesù, ha bisogno di ripensamento e di rinnovamento.
Pensiero che ritorna in continuazione: riconoscere la dignità laicale, valorizzare una partecipazione dei laici che accompagni il cammino della Chiesa nel magistero episcopale. Soprattutto in campo politico-sociale: organismo di laici che affianchi il Vescovo nel suo magistero.
Prima di parlare di come testimoniare, bisogna interrogarsi circa la nostra appartenenza alla Chiesa.
Tre servizi, ricordati da Benedetto XVI nella sua enciclica: annuncio della parola, liturgia e servizio della carità.
Occorre rigenerare continuamente la propria fede, facendo esperienza di comunità cristiana (come un’unica famiglia). Questo richiede di sapersi accogliere reciprocamente. La parrocchia è il centro della comunità, ma non è isolata dal resto: la Diocesi è comunità di parrocchie.
Nell’attuale situazione bisogna favorire e promuovere il ritrovarsi insieme delle persone, delle istituzioni cittadine, ad un tavolo di confronto e di dialogo. Attivare una grande rete di solidarietà e di operatività in ordine alla carità, alla scuola, alla cooperazione missionaria…
Impegno nella organizzazione di strutture socio-assistenziali.
Dare continuità al dopo Verona, cercando di camminare insieme.
ANALISI DEL qui ed ora
intra-ecclesiale:
extra-ecclesiale:
2. Azioni e/o metodologie per cammini futuri
IL LAVORO
Analisi della realtà: elementi di speranza da coltivare, fattori negativi da contrastare
Per comprendere le condizioni sia strutturali, sia contingenti delle realtà lavorative presenti oggi nelle varie aree produttive della Toscana, l’analisi della situazione presente, rintracciabile nelle relazioni inviate dalle Diocesi toscane, parte dalla dimensione globale assunta oggi dall’economia e dalle conseguenti ripercussioni avvenute nei molteplici distretti produttivi della nostra regione. La globalizzazione dell’economia ha determinato una crisi diffusa di gran parte delle aree industriali toscane con forti ripercussioni sulle unità lavorative assunte, con sforzi aziendali tesi a drastici contenimenti dei costi produttivi, con una tendenza non rara a reinvestire gli utili industriali non nell’impresa ma in ambito finanziario o nella speculazione edilizia, con una diffusione della precarizzazione del lavoro, con molte situazioni di sofferenza (crisi di aziende, delocalizzazioni produttive, conseguenti situazioni di ricorso alla mobilità e ad altri ammortizzatori sociali, licenziamenti). Solo pochi settori produttivi reggono o mostrano capacità di invertire la tendenza negativa di questi ultimi anni: attività edilizia, vivaismo, produzione viti-vinicola (ma con cenni di cedimento), aziende metalmeccaniche ad alta capacità di innovazione tecnologica capaci di competere sui mercati internazionali… Tiene complessivamente l’attività artigianale, mentre presentano situazioni “a macchia di leopardo” i servizi e le attività commerciali (grande distribuzione e negozi di vicinato), ma con un’economia turistica in chiara sofferenza ovunque. Alcune Diocesi hanno riflettuto sulla necessità di un rapporto più stretto tra Università, ricerca scientifica e attività produttive; altre hanno posto l’esigenza anche di una formazione scolastica adeguata, della formazione permanente degli adulti e della necessità di predisporre corsi per la riqualificazione continua o straordinaria dei lavoratori. Inserendo questa situazione toscana all’interno di quella italiana si rileva che il nostro paese produce sempre meno quel valore aggiunto capace di generare vera ricchezza, cioè un incremento del PIL nazionale. Non mancano, per contro, lavori che assicurano altissimi guadagni a coloro che si trovano a livelli manageriali o di altissima qualificazione.
Oggi, pertanto, in Toscana ci sono evidenti problemi sul versante del lavoro: quasi tutte le Diocesi lamentano la presenza di aree di disoccupazione (sia giovanile sia di licenziati di età avanzata con difficoltà estreme a riconvertirsi in altri settori lavorativi), di lavoro nero (soprattutto femminile, ma anche da parte di pensionati e di extracomunitari spesso anche clandestini), di troppa precarietà nel lavoro offerto ai giovani (generando conseguenti condizioni di insicurezza e di assenza di prospettive in ordine al futuro personale e familiare, incidendo così fortemente sulle scelte di vita di ciascuno). Dalle relazioni diocesane emerge anche che le comunità ecclesiali locali hanno poca consapevolezza della quantità e della gravità degli incidenti e degli infortuni (talora mortali o invalidanti ) sui luoghi di lavoro, frutto di scarsa attenzione alla sicurezza dei lavoratori. Anche il lavoro femminile delle casalinghe è spesso funestato da incidenti generati da leggerezza o incuria.
Con tutti questi problemi relativi al lavoro e alle condizioni di chi lavora, le Parrocchie delle Diocesi toscane non sembrano avere rapporti costanti di riflessione, di consapevolezza, di esplicita solidarietà. Forse incide la presenza maggioritaria di molti pensionati non più vivamente inseriti nel ciclo produttivo? Anche il lavoro femminile non sempre è sentito come una scelta meritevole di sostegno, di attenzione e di riflessione da parte delle Chiese locali. Questo poi genera una scarsa attenzione anche ai problemi dell’ulteriore lavoro della donna lavoratrice all’interno della famiglia per rispondere alle varie esigenze del nucleo familiare, accettando spesso un perdurante maschilismo. Si riflette così poco anche su tutto quel mondo di lavoratori (più spesso lavoratrici) che oggi operano all’interno di tante famiglie: badanti per gli anziani non autosufficienti, baby-sitter, donne di servizio, tutte spesso “al nero”. Si lamenta infine una non adeguata attenzione delle istituzioni pubbliche nazionali, regionali e locali ad elaborare una moderna ed efficace politica veramente a sostegno della famiglia.
Si afferma l’esigenza di un’azione di divulgazione parrocchiale sia della dottrina sociale della Chiesa, sia della riflessione teologica sul lavoro dell’uomo (il lavoro come continuazione dell’azione creatrice di Dio, il lavoro come benedizione e come maledizione, le novità sul lavoro con Gesù Cristo, ecc.), sulla dignità del lavoro e dell’uomo, sul lavoro che deve essere per l’uomo, sul “progresso” coi suoi limiti, con le sue contraddizioni, con i suoi rischi sulla sostenibilità ecologica di questo tipo di sviluppo.
In questa prospettiva tutti concordano sull’esigenza che il lavoro possa e debba suscitare speranze di autorealizzazione umana in chi esercita l’attività lavorativa, ma anche sull’esigenza che ogni lavoro possa e debba suscitare speranze concrete di risoluzione dei propri problemi in chiunque fruisca di una qualche prestazione lavorativa.
Sempre in questa prospettiva di attenzione al lavoro, a chi lavora e ai sindacati che tutelano i lavoratori, alcune Diocesi hanno raccomandato che anche a livello parrocchiale si prenda coscienza che pure il mondo laicale è poco attento a questo ambito, stimolando ad una comune riflessione con istituzioni, associazioni di categoria e cittadini affinché dagli Enti locali alle Università toscane, alla ricerca scientifica, al mondo della scuola e della formazione professionale, alle cronache giornalistiche e televisive locali si abbia un rapporto più stretto con le attività produttive locali e col mondo del lavoro. Il laico cristiano deve essere attivamente convinto che l’esperienza lavorativa è per lui sempre una testimonianza della propria fede, della propria speranza, della propria carità, perché il luogo del lavoro è anche luogo di evangelizzazione; non solo; ogni laico cristiano, consapevole che c’è integrazione tra evangelizzazione e promozione umana, deve essere convinto del valore del lavoro (a partire dal proprio lavoro, con il senso del dovere a fare un proprio continuo aggiornamento e a migliorare la propria prestazione a servizio degli altri e della comunità), della trasmissione della cultura lavorativa, della dignità di ogni lavoratore.
In una Diocesi è stata sottolineata l’esigenza che si intervenga come Chiesa locale anche in quello che è stato definito “il lavoro più antico del mondo”: la prostituzione. Il fenomeno, tanto più drammatico e disumano per la sua rilevanza anche quantitativa, va studiato e va contrastato,offrendo prospettive di speranza sia per le ragazze (spesso extracomunitarie schiavizzate) che vivono nella prostituzione, sia per tutti coloro che ne subiscono le conseguenze (disgregazione delle famiglie). Già esistono strutture di prima e seconda accoglienza e di reinserimento, ma con questi centri di esperienza occorre che le Chiese locali entrino in più stretto rapporto di collaborazione.
In qualche Diocesi si è posta l’esigenza di rilanciare la responsabilità sociale dell’impresa, promuovendo la redazione dei “Bilanci sociali”, capaci di far emergere la dimensione sociale dell’azienda e del lavoro che in essa si svolge. Le politiche aziendali dovrebbero anche essere stimolate ad essere capaci di meglio supportare le esigenze delle famiglie dei propri dipendenti.
LA FESTA
2. Analisi del qui e ora
3. Atteggiamenti da promuovere e sviluppare
4. Azioni e metodologie proposte
Attualmente ci troviamo di fronte ad oggettive difficoltà di trasmissione dei contenuti e dei valori religiosi a causa di una situazione di disorientamento, confusione di valori e di riferimenti umani e culturali. Dobbiamo prendere atto che l’Italia non è più cattolica, anche se lo è ancora in misura maggiore rispetto agli altri paesi europei. Ciò non toglie che la Chiesa cattolica, a parte le solite frange radicali e anticlericali, goda di stima presso ampi settori della società e si avverta di nuovo l’esigenza del sacro, specie fra i giovani. Il problema è pastorale e politico al tempo stesso: riguarda la formazione dei cristiani, la capacità di testimoniare la loro scelta di vita e di impegnarsi per l’evangelizzazione.
Un interrogativo che può sembrare provocatorio è: che cosa trasmettere? Bisogna evitare di percorrere le strade delle ideologie oppure attardarsi su posizioni superate e nostalgiche, sapendo fare veramente memoria del nostro passato e dei nostri valori per aprirsi al mondo di oggi e ai bisogni dell’uomo e della donna contemporanei.
La vera domanda è allora: chi trasmettere? La tradizione si fa credibile nella misura in cui fa sintesi tra fede e vita, e risponde alle speranze dell’uomo di oggi con la speranza che è Gesù Cristo. Dobbiamo sempre rifarci a quell’alba del primo giorno dopo il sabato di circa duemila anni fa, per rendere ragione al disorientamento, all’incertezza, alla stanchezza, allo smarrimento ed alla disperazione di chi cerca una risposta di speranza.
Dobbiamo quindi essere capaci di vivere un’esperienza cristiana più vera e più intensa, per condividere la verità e bellezza del cammino credente, che è Cristo in noi speranza della gloria.
2. Trasmissione della fede e cultura
Oltre alla valorizzazione e individuazione degli eventi culturali come veicolo di crescita per le comunità, sarebbe importante creare opinioni all’interno della comunità ecclesiale, in modo da favorire la formazione di un pensiero critico e di una capacità di discernimento, fondamentali per la maturazione personale e per la testimonianza cristiana.
Occorre una formazione permanente, che non si fermi alla catechesi dell’iniziazione cristiana, perché la fede deve essere alimentata, così come deve essere sviluppato e accresciuto il rapporto con il Signore e con i fratelli.
Pensare la formazione nasce dalla consapevolezza che questo è un tempo in cui né le abitudini, né le tradizioni, né il contesto sociale possono sostenere il cammino della vita cristiana. Gli operatori pastorali, come i cristiani in genere, vengono a mancare di un solido, integrale, continuativo processo formativo.
Si avverte con urgenza oramai la necessità di una nuova coniugazione fra la speranza teologica e le speranza comune. Vi è dunque la necessità di un discernimento culturale, non deducibile dalle sole categorie antropologiche ma soprattutto dallo Spirito Santo.
3. Stile della trasmissione: dialogo, fiducia, comunione
Testimoniare la resurrezione, come fondamento e termine ultimo della speranza, significa riattivare quella capacità di confronto alto che da sempre è stato proprio della tradizione cristiana.
Oggi abbiamo bisogno di interrogarci come Chiesa per individuare gesti e linguaggi espressivi che annuncino in modo chiaro e diretto la speranza della vita eterna nel quotidiano delle esperienze umane.
Il cristianesimo non pretende di risolvere una volta per tutte i problemi di questo mondo, ma testimonia la propria speranza nella resurrezione proponendo un cammino di liberazione e offrendolo, come opera di carità fondamentale, in progetti di assistenza e di educazione.
La prima prospettiva da tenere presente riguarda l’attenzione al dialogo e in particolare con gli uomini di questo tempo. Un’esperienza che dovrebbe trovare maggiore spazio nella comunicazione fra generazioni è quella della gioia che viene da Gesù risorto: bisognerebbe tramandare affetto ed esperienze vissute, da cui emerga la gioia di vivere propria della comunità cristiana.
Il secondo atteggiamento di fondo è la consapevolezza della presenza di Cristo in ogni uomo e donna., chiunque essi siano. Educare significherà allora guardare sempre con fiducia all’altro, senza paure, convinti che Cristo troverà la via per nascere in ognuno grazie alla comunione feconda degli spiriti.
Quali giovani e quali uomini sta educando la scuola oggi?
Dobbiamo discutere dell’attuale modello educativo italiano e ci sembra che come cristiani dovremmo farci più presenti con una proposta significativa, soprattutto per quanto riguarda le scelte degli insegnanti e degli educatori.
E’ anche un problema politico in senso generale, in quanto si rende necessaria una riflessione complessiva sull’educazione da parte delle istituzioni, della scuola e dei mezzi di informazione pubblici e privati.
L’esperienza della scuola cattolica, in alcune Diocesi particolarmente vivace, viene ritenuta un bene da valorizzare e consolidare.
La fede, per essere comunicabile richiede da parte di chi la trasmette, fatica intellettuale, ricerca di pensieri, di categorie culturali, di parole impara a guardare dentro le proprie sicurezze, smonta le certezze non guadagnate nella sincerità di un’adesione vera, le ridice per chiunque sta attorno con il suo linguaggio e le rende sperimentabili in relazioni di comunione e solidarietà esistenziale.
La catechesi, che è permanente, deve comunque avere le sue diversificazioni. Il cammino di catechesi dell’iniziazione cristiana, deve terminare verso i 12 anni. Quello dell’adolescenza deve concludersi per dare spazio alla formazione giovanile, e così via fino alla catechesi degli adulti. Non si possono prolungare le tappe, pensando che più tardi vengono amministrati i sacramenti dell’iniziazione cristiana, più tardi c’è l’abbandono; non è questione di allungare, ma di dare annunci pieni di significato, soprattutto di inserire nella vita della Comunità cristiana.
In ambito pastorale occorre risolvere il problema della Cresima e dell’iniziazione cristiana dei ragazzi che così com’è serve a ben poco. Alcuni propongono di sperimentare un nuovo itinerario, che poi è tornare all’antico, che prevede in sequenza: Battesimo, Confermazione, Confessione, Eucaristia.
Vengono proposti anche incontri di catechesi parallele: genitori con i loro animatori e bambini con il loro catechista; preparazione specifica dei genitori catechisti per renderli atti a svolgere la catechesi ai figli anche, in alcuni casi, riunendo più famiglie assieme. Comunque coinvolgere le famiglie nella catechesi dei ragazzi sembra un’opzione condivisa.
Quello che più conta non è il tipo di mezzo, ma il modo in cui viene utilizzato, vale a dire che, se adoperato in modo corretto, anche lo strumento più moderno può servire a diffondere messaggi di speranza e di salvezza. In questo senso si tratta di distinguere tra messaggio e linguaggio: non si tratta di adattare il contenuto, ma di variare la metodologia anche in base alla persona o al gruppo di persone che si hanno di fronte, avvalendosi delle scienze umane e dell’ampio ambito culturale della nostra tradizione.
Essere testimoni comporta essere capaci di comunicazione. E’ necessaria una conversione missionaria delle chiese locali anche in ordine alla comunicazione, a partire dall’uso della stampa per arrivare alla radio-televisione e infine ad internet, vera agorà moderna, frequentato soprattutto dai giovani. Accanto a realtà estremamente significative, sembra di poter dire che le nostre comunità sono ancora poco sensibili a queste problematiche oppure le danno per scontate.
Alla luce di tutto questo, occorre sicuramente un adeguamento ed un rinnovamento del nostro linguaggio, anche teologico, per comunicare in modo efficace la nostra testimonianza nel terzo millennio.
Per quanto riguarda il metodo di lavoro, le iniziative ed i soggetti coinvolti è da rammentare che anche per questo ambito i consigli pastorali diocesani hanno svolto un ruolo di promozione d’intesa con le aggregazioni laicali e gli organismi vicariali od interparrocchiali per una ampia discussione ed approfondimento della Traccia di riflessione predisposta dal comitato preparatorio nazionale.
In alcune Diocesi sono stati, inoltre, organizzati degli specifici convegni e seminari su alcuni temi della cittadinanza.
Dall’analisi della realtà è emerso uno scarso interesse per le problematiche inerenti le grandi questioni della comunità internazionale, non solo da un punto di vista economico-finanziario, quali ad esempio la cosiddetta globalizzazione dei mercati, le difficoltà per l’alimentazione, l’approviggionamento idrico, l’inquinamento ambientale, ma anche per gli aspetti politici dovuti alla presenza di conflitti militari più o meno clandestini, nonché alla insufficienza autoritativa delle organizzazioni internazionali.
Ma tale indifferenza viene altresì rilevata anche per la situazione sociale italiana che, in questo periodo, sembra caratterizzarsi per una marcata connotazione individualistica che rischia di portare sempre più verso un assurdo razionalismo economico, che mina le basi stesse della civica convivenza; in questo contesto anche la famiglia, cellula fondamentale della società, è insidiata da tali concezioni.
E’ stata, poi, ricordata l’esistenza di situazioni di disagio e di emarginazione, specie per i poveri, gli anziani, gli extracomunitari che sembrano vivere nell’impossibilità di un reale ed effettivo esercizio del diritto di cittadinanza.
La disaffezione per la vita della res publica sia cittadina, che nazionale e mondiale è alquanto diffusa pure tra i giovani.
Da queste osservazioni si evincono delle consistenti difficoltà riguardo all’informazione ed alla formazione.
Per quanto concerne l’informazione, che ha assunto un ruolo formidabile, si richiede, al di là di alcune precisazioni legislative a tutela della libertà e della verità, che venga promossa una seria e rigorosa educazione circa il retto uso ed il funzionamento dei mezzi della comunicazione sociale, che sono da considerarsi, comunque, uno straordinario strumento da usare.
Per quanto attiene alla formazione alla cittadinanza, cioè alla vita sociale incentrata sulla persona, si richiede che vi si provveda con adeguati itinerari pedagogici, nei modi che si riterranno più opportuni, sia da parte di istituzioni che di associazioni ecclesiali.
In questo contesto formativo un ruolo primario è da riservarsi alla Dottrina sociale della Chiesa, che nonostante la recente pubblicazione del Compendio, è tuttora poco conosciuta.
Giorgio La Pira richiamava molto, in special modo ai giovani, la necessaria attenzione al magistero pontificio in particolare alle Encicliche dei Papi, usando la famosa e bella metafora : Senza capitano non c’è nave.
In questa opera di formazione dei cristiani ai temi della cittadinanza, è da comprendersi anche la formazione della classe dirigente (con un’educazione prepolitica e pastorale) e la sensibilizzazione dell’intero popolo sui problemi della comunità civile.
È stato osservato che l’impegno politico dei laici, in Italia, da oltre dieci anni è passato dall’unità ad un pluralismo non assestato, questo pluralismo è stato la conseguenza di una serie di eventi esterni, e vi è il rischio di far regredire la presenza autonoma dei cattolici in politica nell’insignificanza.
Si è, inoltre notato, che le divisioni e le lotte politiche degli ultimi tempi si sono ripercosse anche dentro le comunità ecclesiali.
Il pluralismo politico dei cattolici è da considerarsi un bene, ma la libertà non può essere dispersione.
Il cristiano, infatti, ha la coscienza della distinzione non separazione – delle due cittadinanze: quella della città di Dio e della città dell’uomo in quanto la salvezza umana, non deriva dalla società e dalla politica, ma germina e cresce nel cuore delle persone che accolgono il dono di Dio e diventano così benedizione per la terra. Tutto questo avviene quando la Parola incontra l’uomo nella concretezza della sua esistenza, e ciò è dato dal Magistero sociale della Chiesa , che è la più autorevole interpretazione storica dell’annuncio della salvezza.
Tra le testimonianze che la speranza cristiana apporta all’impegno di cittadinanza vi è quella della Domenica. Per i credenti in Cristo è, infatti, irrinunciabile il Giorno del Signore (Dies dominicus), comunque sia considerato nel mondo e in qualunque condizione culturale, politica, economica e giuridica si trovi la società. Su questa convinzione si basano due impegni della Chiesa: richiamare i fedeli all’osservanza domenicale e ricordare a tutti il significato di questo giorno di festa: giorno affrancato dalle quotidiane preoccupazioni; giorno di riposo e di rinnovate relazioni personali, familiari e sociali; giorno che favorisce il respiro della vita, la riflessione e la preghiera.
La domenica cristiana è un valore del quale non si può fare a meno senza rischiare una progressiva disumanizzazione della medesima comunità politica.
E’ ovvio che non si può imporre questa convinzione, ma vi è il dovere di proporre e di operare perché nel mondo occidentale, di matrice cristiana, il valore della domenica sia riconosciuto dalla legge e dal costume.
E’ un auspicio che i cristiani formulano per il bene comune, che si traduce in un appello alla coscienza di tutti, un appello che si rivolge anche all’ambiente della politica e della cultura, nella consapevolezza di rendere, tra l’altro, un servizio alla dignità umana ed alla salvaguardia della salute mentale e spirituale della società.
2. Negli incontri fra i responsabili diocesani è stato auspicato di dare seguito al Convegno di Verona, promuovendo incontri a livello regionale, nelle modalità che potranno essere trovate insieme e, naturalmente, previa approvazione dei Vescovi della regione.
3. Riportiamo l’intervento di una coppia di sposi impegnata nella pastorale della carità, che esprime in sintesi la tensione missionaria che ci si augura possa e debba sostenere le nostre Chiese come segno della speranza di cui cristiani nel momento presente debbono dare testimonianza.