Vita Chiesa

Studente rimandato? No, utente con debiti

DI DON FRANCESCO SENSINIAll’uscita da un negozio di abbigliamento la madre, rivolgendosi alla figlia più piccola dice: «E adesso con questi debiti come facciamo?» Ecco – penso – un problema per i genitori. Certamente la figlia avrà voluto acquistare un capo firmato per essere all’altezza delle altre amiche. Come fa un genitore a contrastare questa moda? È difficile far capire ai figli che il valore delle persone non si misura dall’esterno. Non è neppure facile ammettere di essere più poveri degli altri. Però – mi chiedo – era proprio necessario far dei debiti? Forse il padre non ha lavoro… Forse la madre è separata… forse la figlia ha dei problemi… Forse.

Sono ancora dentro il mio mondo dei forse quando vengo richiamato alla realtà. «È meglio passare con dei debiti che ripetere l’anno» risponde la figlia alla madre. Si tratta dunque di debiti scolastici. E io che, per sentirmi intelligente, andavo a scomodare la famiglia. È un mio difetto da prete: giudicare sempre e tutto con la presunzione di capire le situazioni e conoscere il mondo. Torno dunque alla risposta: debiti scolastici. È un termine tipicamente economico. E che c’entra con la scuola che è cultura, educazione, conoscenza, formazione? In realtà nel nostro linguaggio usiamo espressioni apparentemente economiche ma con riferimento alla coscienza e alla vita: ho un debito di riconoscenza con te oppure sono in credito con te.

Senza dubbio l’ignoranza è un grosso debito con se stessi. Ma nella scuola sono entrati altri due termini che fanno torto alla cultura: il dirigente e l’utente. Una volta erano il preside e lo studente. Il dirigente è un termine più «aziendale» che scolastico. Oggi una scuola va male se il bilancio non torna, non se gli alunni non studiano. La preoccupazione del dirigente sono i soldi non i contenuti. Il dirigente è preoccupato se i conti non tornano e non se la relazione con gli insegnanti è faticosa.

Senza comunque dimenticare che la superficialità e l’incompetenza nel gestire soldi pubblici non depone certo a favore della cultura e dell’intelligenza dell’uomo. Definire lo studente come utente (usufruire) cambia la relazione con il professore che dovrebbe essere chiamato semplicemente «impiegato statale». L’utente (studente), che è un cittadino con dei bisogni, si rivolge all’impiegato (professore) per ottenerli. C’è bisogno di un diploma per fare un concorso o iniziare una attività? Bene, l’impiegato deve solo riempire lo stampato, firmarlo, timbrarlo, metter la marca e consegnarlo prima possibile. Ma si può pensare la scuola in questi termini?

«Viene bocciato, 15enne muore d’infarto. Il padre ha lanciato una accusa gravissima contro i professori». Questa è una tragica notizia. Vorrei anche poter leggere: «Viene promosso, 15enne ottiene il motorino. Il padre ringrazia vivamente i professori».