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Paolo Bettini, il «Grillo» vincente

DI ANTONIO CECCONICome il cinema americano, così il ciclismo italiano ha il suo piccolo grande uomo. Qualcosa di made in Usa ce l’ha davvero, essendo della California: ma si tratta di un sobborgo di Cecina. Lì è nato, cresciuto e ha imparato a pedalare Paolo Bettini, il neo-campione del mondo che ha messo in fila, in un’emozionante volata, il fortissimo velocista tedesco Zabel (vincitore di quattro Milano – San Remo) e lo spagnolo Valverde, astro nascente del ciclismo iberico.

Ha vinto il migliore, il più forte, l’uomo che aveva tolto dalla ruota tutti gli avversari su una salita troppo breve e troppo lontana dal traguardo per consentirgli di vincere per distacco. Così è rientrato nei ranghi e si è preparato alla volata. Ha trovato la ruota giusta ed è uscito fuori con perfetta e acrobatica scelta di tempo scavalcando, lui atleta di piccola taglia, due colossi dalle lunghe leve, che sul podio lo sopravanzavano di una spanna. Ma sul gradino più alto c’era lui, a cantare a squarciagola «Fratelli d’Italia». Avrà gioito un altro livornese illustre, Azelio Ciampi.

Ha vinto un corridore che sprizza simpatia da tutti i pori e scarica energia da tutti i muscoli. Lo chiamano «Grillo» per la sua prontezza a saltare sulla ruota degli avversari. Nelle corse di un giorno non è secondo a nessuno, ha vinto per tre anni consecutivi la Coppa del mondo (la classifica fatta con i punteggi guadagnati nelle gare più importanti) ed è attualmente campione olimpico in carica (Atene 2004) nonché campione italiano. Con tre maglie sulle spalle, non avrà problemi il prossimo inverno. E dire che era diventato professionista come gregario, per aiutare a vincere, lui livornese, il pisano Michele Bartoli. Anni di gavetta per imparare il mestiere fino a emanciparsi dall’amico rivale e diventare un autentico leader. Ha vinto a Salisburgo, nella patria ai Mozart. La squadra italiana ha celebrato il centenario del sommo musicista come un’orchestra perfettamente accordata, magistralmente diretta, senza sbagliare una nota e deliziando il grosso pubblico con l’acuto finale di un’impareggiabile solista.Quattro anni dopo Cipollini (primo nel 2002 a Zolder, Belgio) vince un altro italiano, un altro toscano. Quella maglia iridata che era sfuggita a campioni del calibro di Bartali e Magni, Nencini e Bitossi (ricordate il tragico ultimo chilometro di Gap nel ’72?) fino a Michele Bartoli, rende giustizia alle tradizioni ciclistiche della nostra terra. Non è casuale che anche alla guida della nazionale del pedale ci sia un toscano, Franco Ballerini, l’uomo dei trionfi alla Parigi-Roubaix, la mitica corsa delle pietre. E che sui corridori azzurri vigili la saggezza del «grande vecchio» Alfredo Martini, il quale da solo è un pezzo di storia del ciclismo avendo pedalato, da comprimario di lusso, accanto a Coppi, Bartali e Magni. Speriamo che la vittoria di Bettini porti aria pulita in un ambiente che ne ha davvero bisogno. In una delle annate ciclistiche più travagliate da storie di doping assurde e oscene, ha vinto un professionista mai sfiorato da scandali o sospetti. Un atleta serio, che si allena con intelligenza e assiduità pedalando e sudando per ore e ore, provando e riprovando uno spartito che è scritto sulla strada. Ha vinto un uomo che non ha dimenticato le sue origini popolari e sa far festa con i suoi compaesani e tifosi. Ha vinto un marito e padre che dedica il tempo libero «alle sue donne»: la moglie Monica e la piccola Veronica. Che coltiva gli ulivi che circondano la loro splendida casa in collina a Riparbella. Che sa ricordarsi di chi sta peggio di lui, come quella volta che, dopo la vittoria alle Olimpiadi, trascorse una mattinata con i ragazzi ospiti dell’oncologia pediatrica dell’ospedale di Pisa comunicando simpatia, firmando autografi e fermandosi accanto a chi soffre.Cento di questi giorni a Paolo Bettini, al ciclismo e a tutto lo sport.