Italia

Strage di bambini a Kabul, muore soldato italiano

di Vincenzo Sinapi

Erano lì, alle porte di Kabul, per inaugurare un ponte. I genieri italiani lo avevano appena ricostruito. Una giornata di festa, con tanti bambini e un attentatore kamikaze che risale l’argine di un fiume. I soldati italiani si insospettiscono, lo fermano. Lui si fa esplodere. E’ una strage. Muoiono 9 civili afgani, tra cui sei bimbi, e il maresciallo Daniele Paladini. Altri tre militari restano feriti, insieme a una decina di civili. Il presidente Napolitano esprime “dolore ed orgoglio”. C’é chi chiede il ritiro dei soldati, ma Prodi e Parisi assicurano: la missione non è in discussione.

L’ATTENTATO – E’ avvenuto alle 9.52 locali, le 6.22 in Italia di sabato 24 novembre. Un convoglio di militari era appena giunto a Pagman, una ventina di chilometri a nord-ovest da Kabul. Una tipica missione umanitaria: l’inaugurazione di un ponte appena ricostruito dai genieri italiani. La cerimonia doveva ancora cominciare, ma già si era radunata una piccola folla. Con tanti bambini.

IL KAMIKAZE – E’ stato visto dai militari che fornivano la cornice di sicurezza mentre risaliva l’argine di un fiume. Indossava un giubbotto nero, troppo grande. Sotto, infatti, aveva un corpetto con oltre venti chili di tritolo. Quando i soldati italiani lo hanno bloccato si è fatto saltare in aria. Le schegge sono arrivate a decine di metri di distanza.

E’ STRAGE – Secondo quanto riferito dal comando di Isaf, la missione della Nato, le schegge hanno ucciso dieci persone, oltre all’attentatore: nove civili, sei dei quali bambini, e il maresciallo Paladini. Feriti altri tre italiani e una decina di cittadini del posto. Le condizioni del sottufficiale sono subito apparse gravissime: è stato evacuato con un elicottero, ma è morto durante il trasporto all’ospedale di Kabul.

‘EROICO SACRIFICIO’ – Sarebbe stata proprio la prontezza dei militari italiani, che subito hanno individuato il kamikaze, ad evitare che questi si facesse esplodere proprio in mezzo alla folla: in questo caso, il bilancio sarebbe stato ancora più grave. Non trovano invece alcun riscontro le indiscrezioni, circolate in serata, secondo cui parte delle vittime sarebbero da attribuire a uno scontro a fuoco successivo all’esplosione. Il premier Prodi ha parlato di “eroico sacrificio”. Un giudizio che nel corso della giornata è stato ripetuto da molti, mentre dal governo afgano è arrivata la condanna per quello che è stato definito un “brutale attacco contro l’umanità”.

LE VITTIME – Maresciallo capo del 2/o Reggimento Pontieri di Piacenza, Paladini era nato a Lecce 35 anni fa, ma si era trasferito a Novi Ligure fin da bambino. Sposato, aveva una figlia di 6 anni, Ilaria. Paladini aveva già altre missioni all’estero alle spalle, in Kosovo. Per Kabul era partito nel luglio scorso. Sarebbe tornato a casa a gennaio. “Lievemente feriti”, come assicurano dal comando del contingente italiano, il capitano Salvatore Di Bartolo, dell’11/o reparto Infrastrutture di Messina; il capitano Stefano Ferrari, dello stesso reparto di Paladini e Andrea Bariani, del 5/o reggimento Alpini di Vipiteno, che costituisce il nocciolo duro del contingente comandato dal colonnello Alfonso Di Fonzo, anche lui sul posto e, a quanto pare, solo graffiato da una scheggia. I feriti dovrebbero tornare in Italia domani.

AL QAIDA – In Afghanistan si assiste da tempo ad una recrudescenza degli attacchi terroristici, aumentati del 30% rispetto all’anno scorso, e tecniche un tempo non praticate – come appunto quella degli attentatori suicidi – ormai sono di casa. C’é chi parla di ‘irachizzazione’ del conflitto afgano e la probabile provenienza del kamikaze dal Pakistan potrebbe essere una conferma. Che l’attentatore sia uno ‘straniero’ viene confermato anche dalle fonti ufficiali. Pare certo anche che fosse inserito in un gruppo più ampio, che gli avrebbe fornito l’indispensabile supporto logistico. Sulla matrice c’é però ancora incertezza: la rivendicazione dei taleban, arrivata poco dopo il fatto, è tuttora al vaglio degli esperti. Chi sta indagando sulla strage si limita a sottolineare che un attentato simile non si registrava da tempo a Kabul, dove sarebbe in atto una sorta di ‘tregua’ conseguente all’apertura di canali di dialogo tra esponenti del governo locale e alcuni leader taleban. Circostanza, questa, insieme alla tecnica stessa dell’attentato, che “farebbe ipotizzare – dice una fonte – una regia vicina ad al Qaida”. Il pm di Roma Franco Ionta ha aperto un fascicolo per “strage con finalità di terrorismo”.

LA POLITICA – “Grande dolore” del presidente della Repubblica Napolitano, che ha manifestato ai familiari di Paladini la “riconoscenza del Paese”. Secondo il presidente della Camera Bertinotti serve “una riflessione strategica”. Prodi, “preoccupato della recrudescenza dei metodi kamikaze”, ribadisce che la partecipazione dell’Italia alle missioni di pace non si discute. Sulla stessa lunghezza d’onda Parisi. Ma la strage riapre il confronto sulla missione. Diliberto (Pdci) si chiede: perché stiamo ancora in Afghanistan?. Secondo il ministro Pecoraro Scanio, dei Verdi, “occorre urgentemente un’azione in grado di garantire finalmente una vera pace”. Dal centro-destra arrivano critiche a chi chiede il ritiro: “vicini al contingente, no a polemiche”, dicono. (ANSA).

DI VIAREGGIO UNO DEI MILITARI FERITI; IL CORDOGLIO DEL CONSIGLIO REGIONALE PER IL MILITARE UCCISO

LA SCHEDA: 6 PROVINCE IN MANO TALEBANA, AUMENTO KAMIKAZE, RISCHIO PAKISTAN Sei province interamente in mano talebana, continuo sostegno (in armi, uomini e finanziamenti) alla guerriglia dal Pakistan, impennata degli attacchi suicidi. Gli ultimi rapporti dell’Aise (l’ex Sismi) in arrivo dall’Afghanistan disegnano un quadro molto preoccupante. Per i 2.300 militari italiani dislocati tra Kabul ed Herat l’allarme é ai massimi livelli, come confermato dall’attacco di sabato 24 novembre, l’ultimo di una lunga serie in questo novembre.

Il teatro afgano continua dunque, secondo le analisi degli 007, a evidenziare profili di alta pericolosità, per la presenza di numerosissimi gruppi armati illegali e le autorità locali sono ancora lontane dall’avere il pieno controllo della sicurezza. Lo dimostra l’aumento del 30% degli attentati rispetto all’anno scorso. Ed il dilagare della tecnica dei kamikaze – tradizionalmente estranea alla cultura afgana – conferma la progressiva ‘irachizzazione’ dello scenario. Così come il ricorso ai cosiddetti Ied, gli ordigni improvvisati attivati a distanza. Entrambe queste modalità di attacco, viene sottolineato, sono particolarmente difficili da contrastare. Ed evidenziano che gli insorgenti non cercano quasi mai il confronto diretto con le forze Isaf.

E’ comunque il quadro generale del Paese ad allarmare, con i militari Isaf che si muovono in un ambiente sempre più ostile, perché i taleban spadroneggiano in ben sei province meridionali dell’Afghanistan e dispongono di una notevole capacità offensiva. A questo si aggiunge la situazione critica ai confini con il Pakistan ed il ruolo ambiguo giocato da questo Paese, con alcune forze interessate a destabilizzare Kabul ed i servizi segreti pakistani che, in alcuni casi, fanno il doppio gioco. Non è così casuale che il kamikaze che si è fatto saltare in aria causando la morte del maresciallo capo Daniele Paladini e di nove civili afgani, tra cui sei bambini, sembra essere proprio di origine pakistana.

Per quanto riguarda le due aree dove sono presenti gli italiani – che a partire da dicembre aumenteranno di 250 unità, con l’assunzione del comando della regione della capitale – a Kabul il monitoraggio dei servizi segreti evidenzia una crescente instabilità, mentre nella regione di Herat, nell’Ovest, si è registrato un sensibile aumento del rischio a causa dell’afflusso di elementi jihadisti e talebani dalla provincia meridionale di Helmand.

Ancora più pessimista il rapporto presentato alcuni giorni fa dal gruppo Senlis Council, secondo cui ben il 54% del territorio afgano ospiterebbe una permanente presenza talebana, specialmente nel Sud. Gli insorgenti controllerebbero così vaste regioni, incluse aree rurali, città e stanno iniziando a controllare parte dell’economia ed infrastrutture chiave come strade e impianti energetici. Essi, rileva sempre il Senlis Council, esercitano anche un significativo controllo psicologico, guadagnando sempre più legittimazione politica nelle menti del popolo afgano.

La conclusione è che, nonostante l’ampia iniezione di capitali internazionali nel Paese, lo Stato afgano è ancora una volta in serio pericolo di cadere nelle mani dei Taleban. Anche questo rapporto, come quelli dell’intelligence italiana, segnala la mancanza di controllo governativo nelle aree di confine con il Pakistan, dove avvengono reclutamenti, finanziamenti, supporto operativo ed influenza ideologica ispirata da Al Qaida. (Massimo Nesticò – ANSA)

MONS. PELVI (VESCOVO CASTRENSE) “UN COSTRUTTORE DI PACE”26 Novembre. “Daniele Paladini era un costruttore e non un distruttore di pace. Tutti i nostri militari in missione di pace sono persone che amano l’uomo e desiderano la sicurezza, la democrazia e la solidarietà dei popoli”. A ricordare il maresciallo capo italiano ucciso a seguito di un attentato sul ponte, appena inaugurato di Paghman, a Kabul da un kamikaze insieme ad altri civili, tra cui diversi bambini, è l’ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi. “L’inaugurazione di un ponte – ha detto mons. Pelvi al Sir – è segno di ricostruzione, di promozione umana, di speranza e di futuro per il popolo afgano. Verso questo militare, i suoi familiari ed amici, verso tutti i nostri soldati proviamo grande affetto unito a profonda ammirazione”. “Questa notte – ricorda l’Ordinario militare – ho avuto modo di rendere omaggio alla salma del nostro soldato e parlare con i suoi familiari. Da loro ho potuto raccogliere la testimonianza, in particolare di sua moglie, di quanto Daniele amasse la vita ed avesse nobiltà d’animo. Questo padre ha trasmesso la sua solarità e quella della vita a sua figlia Ilaria, il cui nome riflette tutto il papà. Daniele era un giovane di solida formazione cristiana e ciò costituisce l’alveo profondo di chi concepisce la vita militare come servizio a chi è debole e meno fortunato”. “L’offesa alla pace, alla dignità dell’uomo che sentiamo per la perdita di Paladini non deve spegnere la certezza che ogni lembo di terra irrorato dal sangue dei militari diventerà fertile. I nostri soldati puntano ad ideali alti e concreti che cercano di raggiungere con il cuore, la dedizione e la competenza. La loro volontà di costruire la città non può lasciarci indifferenti. Essi – ha concluso – costruiscono ponti e non innalzano barriere o ostacoli perché credono nella solidarietà generosa”. Le esequie solenni di Daniele Paladini saranno concelebrate domani, alle ore 15,30, presso l’insigne Chiesa della Collegiata di Novi Ligure, dallo stesso ordinario militare e dal vescovo di Tortona, mons. Martino Canessa. Quest’ultimo, in una nota diffusa oggi “si unisce al lutto della città di Novi Ligure e condivide il cordoglio per la morte del maresciallo Capo Daniele Paladini, caduto per la pace a Kabul in Afghanistan. Con i sacerdoti ed i fedeli della città si stringe alla moglie Alessandra e alla piccola Ilaria per invocare nel Signore Gesù conforto ed aiuto. Nell’esprimere solidarietà alle Forze Armate, invoca per l’Italia e per il martoriato Oriente ‘Pace’”. (Sir)

FUNERALI MILITARE UCCISO, MONS. PELVI: IL SUO UN GESTO DI EROICA CARITA’