Toscana
Debito estero, le promesse del Duemila son rimaste sulla carta
A cinque anni di distanza dalla Campagna promossa dalla Chiesa Italiana in occasione del Giubileo, il problema del debito estero è ancora ben lontano dall’essere risolto. Ma quello che è ancora più grave è che sul tema è calato il silenzio. Da qui il richiamo di Tettamanzi alle «forze vive del nostro Paese, operanti sia nella società civile che nelle istituzioni» ad una «rinnovata attenzione» sul tema della riduzione del debito estero, questa «pesantissima forma moderna di schiavitù».
Prima del Giubileo il peso del debito che i paesi in via di sviluppo avevano verso soggetti stranieri era di circa 2300 miliardi di dollari. In questa cifra erano comprese varie tipologie di debito: da quello del governo tailandese verso le grandi banche internazionali, che sono soggetti privati, a quello argentino con i risparmiatori italiani a quello dei governi africani verso i governi del Nord e le istituzioni internazionali, come la Banca mondiale e il Fondo Monetario, che sono soggetti pubblici. Ad oggi risulta che quella stessa cifra sfiora i 2600 miliardi di dollari: apparentemente, dunque, il debito è aumentato e una lettura non approfondita potrebbe far ritenere che nulla è cambiato e che la situazione è peggiorata. Poco o nulla è stato offerto ai cosiddetti paesi a medio reddito procapite, come l’area latinoamericana o quella del Sud Est asiatico, e nulla si è fatto per i paesi a basso reddito che secondo la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno un debito sostenibile. L’azione si è invece concentrata su una quarantina di paesi a basso reddito, circa la metà del totale, localizzati soprattutto in Africa, che hanno un debito che i parametri usati dalla Banca e dal Fondo giudicano «insostenibile». L’iniziativa internazionale HIPC (Heavily Indebted Poor Countries), rivolta ad una quarantina di paesi e attivata per ora solo con ventisette, ha effettivamente avviato un processo che ha contribuito a cambiare lo stile delle relazioni tra questi paesi e il resto del mondo. Sino al 1999, infatti, chi ricercava riduzioni del debito o nuovi finanziamenti doveva sottomettersi ai durissimi programmi di aggiustamento strutturale, che avevano come risultato un ulteriore impoverimento. Oggi i governi dei paesi indebitati, per poter accedere a riduzioni del debito e a nuovi finanziamenti, devono elaborare un «programma strategico di riduzione della povertà» (PRSP) che contenga per il triennio successivo la propria programmazione economica e sociale e l’indicazione di quanto ci si avvicinerà agli «obbiettivi del millennio» stabiliti nel 2000 dall’Onu. Il PRSP per essere accettato deve comportare un aumento della spesa sociale e, soprattutto, mostrare di essere frutto di un percorso partecipato dalle diverse realtà della società civile locale.
Il passaggio dagli aggiustamenti strutturali al PRSP rappresenta un cambiamento molto importante. Ad un’impostazione di fatto guidata dall’esterno, si sostituisce un approccio che mette al centro la riduzione della povertà e dà protagonismo e responsabilità alle comunità locali, promuovendo il dialogo fra istituzioni e società civile. Questo nuovo approccio è frutto delle pressioni della società civile internazionale, legittimate culturalmente dalle elaborazioni di alcuni studiosi di grande rilevo, come Amartya Sen, Joe Stiglitz e Jeffrye Sachs, e amplificate dai numerosi appelli di Giovanni Paolo II, tra i quali quello del Messaggio per la giornata Mondiale della Pace 2005.
In alcuni casi la pressione politica è stata accompagnata da gesti concreti. È il caso della Chiesa italiana che ha scelto di impegnarsi non solo nella richiesta di iniziativa da parte italiana per la cancellazione del debito, ma anche nel finanziamento e nella organizzazione di un’operazione di conversione di debito con i due stati africani dello Zambia e della Guinea Conakry. Questo impegno ha portato alla legge italiana sul debito (209/2000), una delle più avanzate tra quelle dei paesi creditori, che cancella in modo totale il debito dovuto dai paesi debitori e accoglie il principio della conversione, cioè della cancellazione vincolata all’uso delle risorse così liberate per finanziare la lotta alla povertà.
Se l’Italia oggi non ha ancora applicato in maniera adeguata la legge solo con 24 paesi, sull’ottantina previsti dalla legge, è stato firmato un accordo di cancellazione l’impegno della Chiesa italiana sta invece dando buoni risultati. In Guinea Conakry è stato creato il FOGUIRED, un fondo finanziato dal governo locale, che utilizza il denaro proveniente dalla cancellazione del debito, e dalla Fondazione Giustizia e Solidarietà che alimenta il fondo con il ricavato dalla colletta effettuata in tutta Italia durante il Giubileo. Ad oggi sono stati spesi 2 milioni di euro, privilegiando attori meno strutturati e creando così una partecipazione virtuosa per lo sviluppo della propria regione da parte di cittadini guineani.
1979: Seconda crisi petrolifera. Politiche monetarie restrittive fanno impennare i tassi di interesse, facendo esplodere il costo del servizio del debito, al quale si aggiunge il violento apprezzamento del dollaro.
1982: Scoppia la crisi del debito. Il Messico dichiara l’impossibilità di pagare e a ruota gli altri debitori, in un inatteso effetto domino, soprattutto in America Latina, si dichiarano insolventi. I governi del Nord sollecitano Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale ad intervenire: nasce l’«aggiustamento strutturale» con il quale la comunità finanziaria internazionale impone ai paesi debitori, in cambio di dilazioni e rinegoziazioni del debito, alcune riforme economiche, quali la liberalizzazione completa del mercato interno e l’eliminazione di tutte le eventuali forme di protezione, la liberalizzazione del tasso di cambio e la riduzione ai minimi termini della spesa pubblica, per definizione improduttiva. La conseguenza è quasi sempre un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione.