Vita Chiesa

A Lourdes con i bambini il pellegrinaggio del sorriso

di Francesca LippiUn viaggio di dolore e gioia, di sorrisi e lacrime: un viaggio a Lourdes. Tutti conosciamo Lourdes e tutti sappiamo dei suoi ammalati, delle carrozzelle che sfilano in code interminabili davanti alla grotta, dei volontari in uniforme con gli stendardi, dei flambeaux, ma un viaggio a Lourdes bisogna «viverlo». A mio parere, se si decide di andare a Lourdes, bisogna andare con i bambini, su un treno speciale, come quello organizzato dall’Unitalsi toscana e partito da Prato il 23 giugno scorso, in un pomeriggio afoso che chiamava la pioggia, con un’ottantina circa di ragazzi tra sani e malati in mezzo a cinquecento adulti. Bisogna incontrare gli occhi di quei bambini, che prendono posto sul treno, piccoli viaggiatori che vanno a cercare la speranza in una grotta dove molti anni fa Bernadette incontrò Maria. Un viaggio tra canti scout, battute, scherzi, sudore. Il cestino da viaggio per cena, le cuccette. I rimbrotti delle madri. La stanchezza. Il sonno. L’amore. Una miscellanea di sentimenti attraversa questo treno dove i vagoni sono stati ingentiliti da stelle filanti e palloncini colorati, con le dame e i barellieri pronti a rispondere ad ogni richiesta col sorriso sulle labbra, gli scouts che raccontano storie improbabili di gnomi ed inventano segreti strabilianti per catturare l’attenzione dei ragazzi e Trippapà, la clown, che compare all’improvviso con un costume sgargiante ed i suoi scherzi per non farti annoiare durante le lunghe ore di viaggio. Un volantino pieno di fiori, incollato al finestrino, parla di un segreto da scoprire.

Siamo partiti con il treno Unitalsi per Lourdes ed in mezzo ai bambini, seduta accanto al finestrino, c’ero anch’io. Lo spazio è tiranno, ne abbiamo molto per questo reportage, ma non sembra bastare. L’obbligo alla sintesi punisce il dettaglio di un programma intensissimo che ha segnato il pellegrinaggio dei bambini, le storie di tutte le persone incontrate, ammalate e non, le tante foto scattate, e costringe la sottoscritta a ridurre tutto al minimo. Nessuna sintesi, però potrà impedirmi di provare a trasmettere a chi legge quel senso di amore e di solidarietà, che ho visto, sentito e respirato a Lourdes, e quello profondo di accoglienza, regalatami da una sorella dell’Unitalsi, Daniela Gatti, all’uscita della piscina dopo il bagno nell’acqua di Bernadette. La sintesi risulta, quindi, un alibi necessario all’impossibilità oggettiva di descrivere interamente quello che si è vissuto nel pellegrinaggio, poiché le parole in certi casi davvero non bastano.

Il tema. «Tenete accese le vostre lampade», questo il tema dei pellegrinaggi di quest’anno. Il treno dei bambini è partito da Prato il 23 giugno ed è rientrato il 29, ha raccolto i pellegrini in varie stazioni della Toscana. Il primo treno dei bambini partì nel 2000.

I numeri. Totale partecipanti 770 di cui 580 in treno, 190 in aereo. Tra i volontari presenti c’erano molti giovani e una congrua presenza di persone in età matura. I prossimi pellegrinaggi sono previsti per luglio/settembre e tra questi ce ne sarà anche uno nazionale.

I volontari. Le sorelle i barellieri potrebbero coniare il motto: «efficienza e cortesia», perché sono instancabili, operosi, incredibili; le loro mansioni prevedono la cura degli ammalati, il servizio in refettorio, ai piani, alle piscine, l’accompagnamento degli invalidi. Ma loro vanno oltre, perché sono al servizio costantemente, per chiamare un familiare in camera, indicarti una strada o semplicemente ascoltarti. Ho visto barellieri indossare il cappello degli gnomi, giocare con i bambini, mentre le sorelle stavano attente alle esigenze delle famiglie occupandosi dei più piccoli in caso di assenza dei genitori.

I sacerdoti. Due preti fiorentini, don Stefano Ulivi e don Paolo Capecchi, hanno curato la parte liturgica del pellegrinaggio con mons. Vasco Bertelli. I sacerdoti hanno pregato con i bambini, le famiglie, gli ammalati, in modo non convenzionale: cantando, scherzando, travestendosi, insomma «mettendosi in gioco» in prima persona, fino alla Messa della partenza, per poi proseguire in treno… senza dimenticare gli incontri di catechesi con i genitori, i mini convegni sul «Codice da Vinci», le chiacchierate informali con gli adulti.

L’animazione. Gli scouts di vari gruppi toscani, hanno animato i ragazzi ed anche il loro era un mansionario fitto d’impegni che andava ben oltre la semplice animazione, perchè prevedeva una risposta concreta ai bisogni primari dei bambini e delle loro famiglie.

Gli accompagnatori. Sono figure nuove emerse quest’anno all’Unitalsi per sopperire a necessità organizzative – spiega Francesco, caposezione Impruneta – a sostegno dei ragazzi del gruppo San Luigi di Castello (Fi) che accoglie diversabili in prevalenza senza famiglia. «In dieci, tra barellieri e dame, ci siamo tolti le uniformi associative per trasformarci in fratelli maggiori dei sedici ragazzi e condividere con loro in turnover tutto il pellegrinaggio».

Le intervisteMons. Vasco Giuseppe Bertelli, vescovo emerito di Volterra e assistente regionale Unitalsi, dichiara di avere 28 anni allo specchio, ha seguito 107 pellegrinaggi, all’Unitalsi dal 1985 è uno scout «foulard blanc».

Com’è andato questo pellegrinaggio?

«Ho visto tanta partecipazione e tanta gioia, quest’ultima è importante in un pellegrinaggio, perché siamo a contatto con i malati, non si possono avere volti duri e non possono esserci screzi, come potremmo stare con loro altrimenti? Sa cosa diceva il mio babbo quando noi figli si brontolava e ci si lamentava? Aprite la finestra e guardate fuori c’è sempre qualcuno che sta peggio di voi».

Lei stamattina ha ringraziato i bambini.

«Certo, perché sono stati loro a permetterci più gioia e poi ho ringraziato tutti: i barellieri, le dame, i magazzinieri, perché ciascuno di loro, nel proprio ruolo, ha contribuito malgrado il tempo inclemente, perché tutto funzionasse al meglio. Ognuno, comunque, è necessario ma non indispensabile…».

Mons. Gastone Simoni, vescovo di Prato. «Tenete le vostre lampade accese» era il tema del pellegrinaggio. Secondo lei fino a che punto è arrivato questo messaggio?

«Quando si fa con sincerità d’animo l’esperienza di Lourdes arrivano sempre dei messaggi, Lourdes non può lasciare indifferenti, questa è la sua grazia, qui c’è l’esperienza completa della chiesa, della vita cristiana. Qui, con l’aiuto della Madonna c’è l’eucarestia, c’è Gesù nella parola, nei malati, nella fraternità che si vive qui in modo speciale, c’è una sorta di aria… ci orienta al cielo senza distaccarci da questa terra e dunque anche il messaggio dell’anno lourdesiano 2006 “Tenete le vostre lampade accese” ha avuto un riscontro reale, positivo, se tenere le lampade accese vuol dire mettersi davanti alla luce del Signore e rifletterla poi nella nostra vita questo è avvenuto con abbondanza, se tenere le lampade accese vuol dire purificare la nostra esistenza dal peccato, dalle miserie umane, questo è avvenuto certamente, perché qui c’è l’acqua che purifica».

Mario Coda Nunziante, presidente regionale UnitalsiVogliamo fare il punto alla fine di questo pellegrinaggio nel quale il tema ricordava a tutti la responsabilità, come cristiani, di essere una piccola luce che brilla nell’oscurità?

«Ho trovato che ci fosse un bel clima di serenità che è necessaria per predisporre gli animi di coloro che accompagniamo e di quelli che servono (barellieri e dame) per poter vivere un bel pellegrinaggio interiore, se c’è tensione e disorganizzazione tutto ciò ha difficoltà a maturare. Il pellegrinaggio vive in un continuo confronto che permette un’analisi interiore, in fondo c’è sempre motivo scatenante per cui una persona viene a Lourdes. Io per esempio sono venuto qui con i miei genitori a 14 anni, da lì è nato l’impegno in associazione che è stato un crescendo e non si ferma al pellegrinaggio, ma deve durare tutto l’anno».

Non immaginavo che l’Unitalsi fosse così giocosa!

«Essere seri nel servire Dio – risponde il Presidente regionale – non significa essere seriosi, si hanno maggiori risultati se si offre la possibilità di riscoprire il sorriso, c’è tanta gente che soffre di una malattia terribile che è la solitudine. Noi in associazione applichiamo la terapia del sorriso non a livello medico, ma come educazione a stare insieme, a buttare giù le barriere e ad essere se stessi».

Roberto Torelli, direttore del pellegrinaggio e vicepresidente regionale UnitalsiQuanto è faticoso seguire l’organizzazione di un pellegrinaggio?

«La fatica c’è, ma è relativa, perché c’è l’amore per quello che si fa e la passione, e poi il pellegrinaggio ha alle spalle un lungo anno di preparazione di gruppo, si comincia già a gennaio. La cosa importante è preparare un buon programma e soprattutto coinvolgere le persone che collaborano, perché quando tu vivi un’esperienza dove sei stato parte attiva, la vivi in modo diverso. In questo pellegrinaggio, poi, il programma è previsto a misura di bambino e i percorsi sono più di uno».

Le testimonianzeLa «foulard blanc», precisae attenta alle esigenzeJessica ha 24 anni, studentessa, è una «foulard blanc», cioè una scout che si è impegnata a servire i malati e i giovani a Lourdes; è la sesta volta che viene a Lourdes e sul treno ha la responsabilità di una vettura. Precisa e attenta alle esigenze di tutti è quella che risponde alle domande spiegando con pazienza l’organizzazione del viaggio, scopro così che le valigie, una volta arrivati a destinazione, le porteranno in albergo gli scouts. Il clown Trippapà«le prime volte piangevo…»Nadia Viviani, in arte Trippapà (nome scelto perché ritenuto «budinoso») è una clown Unitalsi. Vive a Lugano, ha 49 anni, lavora con i diversabili. Ha frequentato corsi di mimo, trucco, clownerié.Viene due volte l’anno a Lourdes. Cosa si prova venendo qui? «Sono sensazioni diverse ogni volta e le vivi principalmente con i malati, qui s’instaurano rapporti autentici, dopo il pellegrinaggio i bambini mi scrivono. Ho fatto 33 pellegrinaggi, nei primi quattro piangevo sempre, non per il dolore fisico che vedevo addosso alle persone, ma per la loro solitudine interiore, per l’incapacità di molti di chiedere aiuto. La prima volta a Lourdes non è andata molto liscia, tutti mi comandavano e io mi sono arrabbiata tanto che non volevo più venire, poi ho ricominciato i pellegrinaggi. In 16 anni ho imparato a non arrabbiarmi più». Valentina, non vedente«Da sola non ce la faccio»Valentina Binazzi, non vedente dalla nascita: «Io al mio principale (Dio) glielo dico: mi hai dato la bicicletta, ma aiutami a pedalare, perché da sola non ce la faccio. Ho il lavoro, la casa, non mi manca niente, però… probabilmente Gesù vuole che guadagni quello che mi ha dato, mi rispondo, altrimenti sarebbe troppo facile». Una volontaria protestante«L’importante è avere fede»Una volontaria anonima, al suo secondo pellegrinaggio. «Il prossimo anno tornerò, il richiamo di Lourdes è troppo forte e pensare che sono protestante e la mia religione non prevede il culto della Madonna, per noi è Dio che muove tutto, ma è lo stesso, l’importante è avere fede». I bambini: «Ho trovatotanti amici, ci voglio tornare»Francesco, 6 anni, Grosseto: «In questo viaggio mi è piaciuto trovare tanti amici e bambini come me. Io ci voglio tornare, però non mi è piaciuto la Messa tutti i giorni». Lorenzo, 7 anni, Firenze: «A me in questo viaggio è piaciuto scendere dalla cuccetta del treno, quella in alto e scivolare giù come un pompiere. Vorrei tornare, perché ho trovato tanti amici. Non mi è piaciuto l’angolo dei piccoli nella sala pranzo». Paolo, una storia specialePaolo, ha 11 anni e a settembre andrà in prima media. L’anno scorso camminava, oggi, qui a Lourdes, è su una sedia a rotelle. E’ un bel bambino, robusto, gli occhi vivaci, intelligenti, soffre di distrofia muscolare, scoperta per caso alla nascita e ha perso l’uso delle gambe. «La sua è una malattia progressiva» spiega mamma Erminia, «malgrado se ne parli tanto ancora non sono state fatte scoperte significative per combattere gli effetti devastanti della distrofia. Paolo ha preso la sua malattia con molta serenità, non ne parla mai, solo se sente parlare di distrofia in televisione, allora drizza le orecchie: Vedi? Stanno studiando per guarire quelli come me. Quando non è stato più in grado di camminare e gli abbiamo proposto la sedia a rotelle ha avuto un attimo di sbandamento e un forte rifiuto. Mi vergogno ad andare per strada sulla sedia, mi ha detto. Però noi abbiamo presentato la cosa come normale, il metodo più comodo per spostarsi e Paolo, allora, non ha fatto più storie».