Opinioni & Commenti

Aborto: il coraggio del Papa, l’impegno di Obama

di Domenico Delle Foglie

Avremmo dovuto intuirlo, ma anche noi giornalisti spesso veniamo presi in contropiede. Se Benedetto XVI ha sorpreso tutti, scrivendo nell’enciclica sociale Caritas in Veritate che «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica», avremmo dovuto capire che proprio da lì avrebbe preso le mosse anche nell’incontro con il presidente americano Barak Obama. Il perché è presto detto: «la difesa e la promozione della vita e il diritto all’obiezione di coscienza» sono in cima alle preoccupazioni del Papa, gli Stati Uniti sono nel cuore di un pontefice che vede in quel grande Paese dell’Occidente lo spazio concreto di attuazione della laicità positiva che non esclude Dio dalla storia. Anzi, essa segna un vallo con le tentazioni laiciste che talvolta si manifestano in Europa. E al coraggio di Benedetto XVI ha corrisposto l’impegno del presidente americano che, nelle scarne parole del comunicato ufficiale della Santa Sede, risuonano come un impegno solenne a ridurre gli aborti negli Stati Uniti. A cui si aggiunge quello a ripristinare l’esercizio pieno dell’obiezione di coscienza da parte dei sanitari, nei confronti di pratiche che essi moralmente disapprovino.

Promesse impegnative per un leader mondiale eletto su un programma liberal e che dovrà dunque rimodellare i propri interventi, magari accelerando su quegli aspetti di tutela delle classi deboli, vedi l’assistenza sanitaria pubblica e generalizzata, su cui si misura la sua capacità di innovazione sociale.

Obama ha fatto del metodo dell’ascolto un suo punto di forza. È stato così a Mosca con Medvedev quando si è trattato di ridurre l’arsenale atomico e così è stato al G8 de l’Aquila. Un uomo attento alle ragioni dei propri interlocutori e che si è lasciato interrogare dalle parole impegnative del Papa. Preoccupazioni che devono aver fatto breccia perché Obama, pur convinto democratico, non ha polemizzato con la linea «pro life» (antiabortista) del proprio predecessore, ma allo stesso tempo non ha sposato le posizioni spesso aggressive del fronte «pro choice» (abortista), particolarmente attive nel suo partito. Anzi, forse per la prima volta, con il suo impegno a ridurre l’aborto, fa un’operazione verità anche per il suo mondo culturale. Se ridurre il numero degli aborti è un bene, l’aborto in sé non sarà mai un bene assoluto, anzi. Una forma di sano realismo che gli fa onore e che forse è anche il suggello di quella sincera simpatia che si è manifestata nell’incontro con Benedetto XVI.

Con lui Obama non ha certo potuto sfoderare il suo fascino innato, ma ha saputo impostare il dialogo sui tanti punti di convergenza fra la politica dei democratici americani e la Santa Sede, dagli aiuti ai Paesi poveri alla soluzione mediorientale secondo lo schema dei due popoli e dei due Stati. Il metodo di costruire il futuro partendo da quello che unisce, e soprattutto saperlo riconoscere e valorizzare, è già un buon viatico. Per dividersi e litigare non ci vuole nulla. Per lanciare ponti ci vogliono anni, talvolta persino secoli. Il dialogo non toglie nulla alla fermezza della Chiesa sulle questioni antropologiche e offre a Obama la possibilità di ricercare strade nuove per il suo Paese e per il suo partito. Ora aspettiamo i fatti.