Opinioni & Commenti

Ac-Cl, sbagliata ogni lettura «politica»

di Giuseppe SavagnoneLa risonanza mediatica dell’incontro tra Paola Bignardi, presidente dell’Azione Cattolica, e il popolo e i dirigenti di Comunione e Liberazione, al meeting di Rimini, se da un lato evidenzia l’importanza dell’evento, dall’altro rischia di banalizzarlo e di oscurarne il significato. La chiave non va cercata, come qualcuno ha creduto, in qualche sotterraneo disegno in vista della ridefinizione del quadro politico italiano, ma, più semplicemente, negli «Atti degli apostoli», dove si vede bene come, fin dall’inizio della sua storia, la comunità dei credenti abbia conosciuto il problema di conciliare l’unità della fede in Cristo con la diversità dei modi d’intenderla e di viverla. Basta una rilettura attenta di questo testo per rendersi conto della falsità di una certa rappresentazione «buonista» e zuccherosa della comunione fraterna. La carità reciproca, che li rendeva riconoscibili come discepoli di Gesù, non impedì che i primi cristiani si trovassero divisi su una serie di scelte, prima fra tutte quella del rapporto con l’originaria matrice giudaica. Non mancarono incomprensioni, diffidenze, scontri, di cui gli «Atti» lasciano intravedere la durezza. Ma è stato attraverso questa dialettica che la Chiesa è cresciuta.Il corpo di Cristo è uno, ma ha molte membra. Ridurlo tutto a occhi o naso ne farebbe un mostro. Nel corso dei secoli questa idea non si è mai perduta, ma progressivamente il timore che la diversità potesse implicare rotture e separazioni ha spesso prevalso, portando ad attenuare quanto più possibile – e talora a soffocare – le identità particolari. Eppure la grande esperienza fondativa della comunità cristiana, quella di Pentecoste, già conteneva la risposta a questi timori. La Chiesa non è chiamata ad annullare la diversificazione avvenuta con la torre di Babele, ma a riscattarla e a trasformarla da segno di maledizione in benedizione.

Su questo sfondo si è svolta nel nostro Paese, dopo il Concilio, tutta una fioritura di gruppi e movimenti – tra cui Comunione e Liberazione occupa certamente un posto importante – che ha ravvivato e moltiplicato le prospettive, fin allora troppo monolitiche, del cattolicesimo italiano. Era inevitabile una tensione con l’associazionismo tradizionale, rappresentato dall’Azione Cattolica. Nello sforzo di scoprire la propria identità, dall’una e dall’altra parte si è stentato ad ascoltare ciò che gli altri avevano da dire sulla propria. E, come nella comunità degli «Atti», ciò ha prodotto non pochi problemi.

In questi ultimi anni, una più matura esperienza di fede ha gradualmente ricondotto tutti alla logica del rispetto reciproco e di un più sereno confronto tra le diversità. Probabilmente ha favorito questa lenta evoluzione la comune convergenza nel progetto culturale orientato in senso cristiano, proposto dalla Cei dopo il convegno di Palermo del 1995 e non a caso menzionato da mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, nella sua relazione al Meeting.

Intanto perché la riflessione sulla cultura aiuta a comprendere che una stessa verità può essere detta e vissuta, senza essere tradita, in modi molto differenti, aiutando a superare così quel sottile fondamentalismo che porta ad assolutizzare la propria esperienza. E poi perché un progetto richiede cooperazione, e non solo a livello funzionale, ma nel senso di una reale intesa e di una ricerca comune. Tanto più nel caso del progetto cristianamente orientato, caratterizzato da un forte impulso missionario e volto a restituire ai cattolici nel nostro Paes e una incidenza culturale che solo l’unità, pur declinata nella diversità dei carismi, può conferire. E su questa strada ci si aspetta, ora, che i semi gettati al Meeting di Rimini fruttifichino, coinvolgendo altri movimenti e sollecitando ciascuno a mettersi, con i suoi doni e la sua inconfondibile fisionomia, al servizio di una causa comune. È soltanto una prospettiva, che attende di essere concretamente perseguita. I problemi, non sono certo definitivamente risolti, come non lo furono nella Chiesa delle origini.

Ma finalmente si è più disposti a capire che il Vangelo ha bisogno di tutte le voci e che, senza quella degli altri, anche la propria sarebbe diminuita.