Italia

Afghanistan, morto un altro soldato italiano

Tornavano da una missione di assistenza medica alla popolazione locale, quando il Lince, il blindato utilizzato dai militari italiani di stanza in Afghanistan, è saltato su un ordigno improvvisato. È morto così il tenente, Massimo Ranzani, 36 anni, originario di Ferrara, appartenente al quinto reggimento alpini di stanza a Vipiteno, la vittima numero 37 del contingente italiano della missione Isaf in Afghanistan che ha preso il via nel 2004. Riferendo l’accaduto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha spiegato che al momento dell’attentato, in cui sono rimasti gravemente feriti altri quattro militari, il blindato si trovava a 25 chilometri a nord di Shindand, nella zona ovest del Paese. Il Lince, secondo le parole del ministro, “era dotato di un sistema dissuasore elettronico che impedisce l’accensione dell’ordigno a distanza”. Accensione, pertanto, che deve essere stata attivata “a mano o con una frequenza non coperta”. Appresa la notizia dell’attacco, rivendicato dai talebani, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso “sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei familiari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti”. Cordoglio e dolore sono giunti anche dalle massime cariche dello Stato e del Governo.

La risposta è “darsi”. “Davanti a questa Via Crucis di innocenti non abbiamo voglia di parlare ma dal di dentro, da credenti, dobbiamo vivere in modo da far uscire fuori la bellezza della fede che spinge i cristiani a lottare contro il male che non viene da Dio. La risposta da dare, allora, è ‘darsi’, donarsi con tutta l’esistenza, perché l’amore trionfi sull’egoismo. Come hanno fatto i nostri militari caduti”. È stato il commento, rilasciato al SIR, dall’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi. “In questi giorni in Italia – ha affermato mons. Pelvi – stiamo vivendo un susseguirsi di eventi tragici e di smarrimento interiore, penso alla morte della giovane Yara ed ora a quella del nostro Massimo, caduto per la pace. Davanti alla bontà dell’esistenza e dell’innocenza di una bambina e della dedizione umanitaria di un nostro militare, la risposta non può essere quella della violenza. Abbiamo invece bisogno di guardare verso l’altro e invocare la protezione del Signore sulla nostra storia”. “In questi momenti la Nazione si sente unita dai sentimenti cristiani. Davanti a queste morti non è semplice trovare una risposta alla sofferenza e al male del mondo ferito dall’ingiustizia e dall’egoismo, dalla sopraffazione. Esorto ad una preghiera perché avvenga in ciascuno di noi quel risanamento interiore che vuol dire la pace dell’anima. Senza di questo non ci potrà mai essere benessere in terra”. Per l’arcivescovo castrense “nel dolore di questi momenti ritroviamo il coraggio per andare verso altri fratelli che sono nel bisogno, senza guardare ai nostri interessi. Queste morti ci evidenziano anche la fede dei nostri militari, il loro fondamento religioso, che offrono moltissimo non solo all’Italia, ma all’Europa e al mondo. L’Unità d’Italia – ha concluso mons. Pelvi – si basa anche su questa identità spirituale che notiamo anche in coloro che sono al servizio del territorio, per ritrovare una bambina scomparsa e che sono in territori lontani per rendere visibile e praticabile la giustizia e la pace”.

Un capo scout. Massimo Ranzani, nato a Ferrara, era originario di Santa Maria Maddalena dove viveva, frazione di Occhiobello (Rovigo). Era alla sua seconda missione in Afghanistan. Fra qualche settimana avrebbe compiuto 37 anni. Era molto conosciuto nel suo paese dove aveva svolto per anni l’attività di educatore scout. Ranzani, che non era sposato – “non voglio perché dove lavoro è pericoloso”, aveva confidato ai suoi amici – è la seconda vittima per Occhiobello. Il 28 luglio 2010 era morto ad Herat il maresciallo Mauro Gigli.

37ª vittima. Con la morte del tenente Ranzani, il secondo del 2011, salgono a 37 le vittime italiane della missione Isaf in Afghanistan. Sono circa 4.000 i militari italiani che partecipano a questa missione per la quale a partire dai prossimi mesi è previsto un graduale disimpegno. Sotto la responsabilità italiana c’é un’area grande quanto il Nord Italia, composta da quattro province Herat, Badghis, Ghowr e Farah. In questi giorni è previsto un passaggio di consegne tra gli alpini della Brigata Julia e i parà della Folgore. Gli italiani hanno anche il comando di un contingente formato da soldati di 12 nazioni. Tra i compiti dei nostri militari anche quello di sostenere il processo di ricostruzione e sviluppo insieme ad una componente civile del ministero degli Esteri. Tra le dotazioni della missione italiana anche un numero importante di velivoli C130, caccia Amx che non sono autorizzati a bombardare e Predator (aerei senza pilota) ed elicotteri Mangusta.

a cura di Daniele Rocchi