Firenze

Antonelli: «Cattolici, ascoltate la Chiesa»

di Marco Lapi

«Siete stati franchi con me e io sono stato franco con voi. Ci vorrà molto tempo prima che ci capiamo reciprocamente, ma spero di compiere altri passi assieme». Le parole che il cardinale Ennio Antonelli – dopo aver espresso gli stessi concetti anche all’inizio – ha ripetuto al termine della sua replica ai tanti interventi che hanno caratterizzato per quasi due ore l’incontro con i firmatari della recente «Lettera alla Chiesa fiorentina» non hanno lasciato spazio a equivoci, ma al tempo stesso hanno manifestato la volontà di continuare il confronto. Cosa che i circa 200 intervenuti al dibattito, organizzato per la sera di giovedì 24 maggio presso il centro Spazio Reale della parrocchia di San Donnino, hanno mostrato di apprezzare, a giudicare dall’applauso finale che è apparso convinto e non di circostanza. A fare gli onori di casa e moderare la serata ha provveduto don Giovanni Momigli, parroco della frazione campigiana alle porte di Firenze nonché direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e il lavoro. Compito, il suo, non sempre facile, almeno nel contenere la lunghezza degli interventi: il che la dice lunga sulla generale volontà dei presenti di non lasciarsi sfuggire l’occasione di parlare a cuore aperto al Vescovo della propria Chiesa. Insistendo, ad esempio, sul «ministero della sintesi» da parte dei Pastori, o registrando i positivi giudizi a favore della lettera da parte di persone omosessuali, indicate «per il loro amore e fedeltà» come «possibile esempio per le coppie cristiane sposate o che si preparano al matrimonio». Esprimendo, inoltre, un diffuso «disagio» di fronte ad un Concilio giudicato ancora senza frutti («ci vorranno anche quattro generazioni…»), alla sensazione di «essere da una parte e la Chiesa dall’altra», alla «mancanza di mediazione» tra dimensione religiosa e civile, a un episcopato «che privilegia la potenza anziché l’influenza», a certi personaggi della politica difensori della famiglia ma «con situazioni familiari da far ridere». Oppure richiamando la gerarchia alla necessità di amare «più i volti che i princìpi», come anche ad «ascoltare anche noi oltre agli atei devoti», nella convinzione che la minaccia vera non venga «dalle convivenze degli altri, omo o eterosessuali che siano, ma dalla società che soffoca la famiglia», che non ci sia «sufficiente fede nello Spirito Santo se abbiamo il bisogno di condizionare le leggi dello Stato». Non sono mancate, inoltre, critiche sul caso Welby, come anche sulla presa di posizione astensionista in occasione del referendum sulla procreazione assistita. Sui tanti temi proposti, il cardinale non si è tirato indietro ma è intervenuto ricordando il magistero della Chiesa «che accetta ed è sempre pronta al dialogo» senza, però, dover correre il rischio di arrivare «ad una dittatura della maggioranza». L’ascolto, che deve essere «reciproco», non può dunque prescindere dal magistero ecclesiale e dal fatto «che Cristo è sempre lo stesso, oggi come nei secoli passati», mentre «lo Spirito ha accompagnato la Chiesa anche prima del Concilio» suscitando, tra i diversi carismi, quelli dei successori degli Apostoli. E se Gesù «ha obbedito» al Padre, i fedeli non possono esimersi almeno dal provarci. Antonelli ha quindi ricordato che ai peccatori del Vangelo Cristo dona il perdono ma dice anche loro «Và e non peccare più». Il peccato di oggi invece, ha aggiunto, non è tanto il non vivere, ad esempio, la castità, ma proprio «il non riconoscersi peccatori, lo stabilire da sé cos’è bene e cos’è male». «Come disse un volta Giovanni Paolo II in Africa – ha insistito Antonelli – non si tratta di “abbassare” la montagna, quanto di accompagnare le persone a salirla, ognuno con il proprio passo: ma il passo che tutti possono fare è riconoscersi peccatori, chiedere la grazia di Dio, e intanto fare il bene che si è capaci di fare. La Chiesa deve essere aperta a tutti, anche a divorziati e omosessuali, ma l’eucarestia non possono riceverla tutti e misericordia è anche l’indicare la verità senza sconti per nessuno». Un passaggio fondamentale è stato poi quello dedicato alle fonti d’informazione. «Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e la stessa Cei – ha affermato a questo proposito il cardinale – hanno ribadito la necessità di mettere Cristo al centro. Il cristianesimo non è un’idea e la Chiesa non parla solamente di etica: il cristianesimo è anzitutto una persona, è Cristo stesso. Lo dico anche nelle mie lettere pastorali. Ma c’è la trappola dei media: se parli per tre quarti di Cristo e per tre righe di etica, magari con implicazioni politiche, passano solo le tre righe. Quello che interessa di più a me, ai giornalisti interessa molto poco». Per questo i laici devono ascoltare anche le voci della Chiesa, «non leggere solo certi giornali o ascoltare solo alcuni teologi: devono leggere tutti i giornali, anche quelli cattolici, e ascoltare le voci del Papa e dei vescovi, non solo dell’uno o dell’altro teologo». E lo stesso Concilio Vaticano II, ha aggiunto rispondendo alle critiche di chi vede nella Chiesa attuale un allontanamento dallo spirito conciliare, «va conosciuto nei suoi documenti integrali e non dai discorsi di chi scrive o parla del Concilio». Posizioni distanti, certo, come abbiamo sottolineato all’inizio: ma al di là di tutto c’è stata la sensazione di aver assistito a un gesto reciproco importante, e si può rischiare di dire che la «ripresa di dialogo e confronto all’interno della comunità ecclesiale su temi e avvenimenti eticamente sensibili» richiesta dalla lettera sia effettivamente iniziata. Non a caso la sera di lunedì 17, in un incontro su «Chiesa: cammini con l’uomo? Crisi e speranze della Chiesa del Concilio», promosso presso l’Istituto Stensen, al quale hanno partecipato molti dei presenti a San Donnino, si è espresso positivamente in questo senso anche il protagonista della serata Alberto Melloni, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia e membro della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Inoltre, dagli interventi dello Stensen è emersa anche la necessità di rompere la «nicchia» in cui gli stessi esponenti di queste posizioni, a livello ecclesiale, hanno rischiato di rinchiudersi, per ritrovarsi magari trent’anni dopo, com’è stato pure sottolineato, «a fare le stesse considerazioni di sempre, come un esercito in ritirata senza più una strategia d’attacco vincente». Ma proprio il superamento di una mentalità conflittuale intraecclesiale, magari talvolta rimproverata ad altri, potrà forse dare i migliori frutti.

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