Lettere in redazione

Battisti, scandaloso il «no» all’estradizione

Trovo davvero scandaloso che l’ex presidente brasiliano Luiz Inàcio Lula da Silva, negli ultimi atti prima di passare la presidenza al successore, abbia negato l’estradizione del terrorista Cesare Battisti, condannato all’ergastolo in Italia per svariati omicidi. Adesso l’Italia dovrebbe imporre sanzioni al Brasile e costringerlo a rivedere questa decisione.

Lettera firmata

Le argomentazioni addotte da Lula non convincono affatto. In pratica l’ex-presidente si è attenuto – come promesso – al parere dell’Avvocatura generale dello stato: per dire «no» ad una estradizione – secondo quanto previsto dall’articolo 3 del trattato bilaterale –  è sufficiente avere «ragioni per supporre che la persona reclamata (dall’altro Stato) sarà sottoposta ad atti di persecuzione e discriminazione per motivi di razza, religione, sesso, nazionalità, lingua, opinione politica, condizione sociale o personale. Oppure che la situazione possa essere aggravata da uno degli elementi summenzionati». Ora, tutto si può dire del nostro sistema giudiziario (che ha tanti limiti), ma è davvero difficile pensare che una volta trasferito in un carcere italiano l’ex-terrorista sarebbe stato «perseguitato e discriminato». E giustamente il nostro presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso «profonda delusione e contrarietà» per una scelta definita «incomprensibile». Perché Cesare Battisti non è affatto una vittima politica. E l’Italia in quegli anni non è ricorsa a una legislazione straordinaria, ma è uscita dal terrorismo grazie alla risposta salda della società e delle istituzioni.

Ricordiamo che l’ex-brigatista dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), pur proclamandosi innocente, si è sottratto ai processi ed è stato condannato in contumacia per gli omicidi, compiuti tra il 1978 e il 1979, del maresciallo Antonio Santoro, di Lino Sabbadin, macellaio di Mestre, del gioielliere fiorentino Pierluigi Torregiani e dell’agente di polizia Andrea Campagna; per il primo e l’ultimo come «esecutore materiale», per gli altri come complice o co-organizzatore. Arrestato nel 1979 a seguito delle dichiarazioni di alcuni pentiti, evase dal carcere di Frosinone il 4 ottobre 1981, fuggendo prima a Parigi – dove molti ex-terroristi rossi avevano trovato protezione nel presidente Mitterrand – poi in Messico e quindi di nuovo in Francia. Un primo «no» all’estradizione in Italia era già arrivato nell’aprile 1991 dalla «Chambre d’accusation» di Parigi. Parere ribaltato il 30 giugno 2004, quando – in base ad un accordo firmato nel 2002, che regolava l’estradizione dei rifugiati politici per i reati gravissimi commessi prima del 1982 – era stato di nuovo arrestato a Parigi il 10 febbraio di quell’anno. Ma Battisti si rese latitante. Il 18 marzo 2007 il nuovo arresto, questa volta in Brasile, a cui sono seguite complesse vicende giudiziarie, fino all’ultimo «no» all’estradizione, arrivato il 31 dicembre scorso.Il caso, tuttavia, non è ancora chiuso. Battisti dovrà rimanere in carcere fino a febbraio. Il suo «dossier» dovrà infatti essere di nuovo analizzato dal Supremo Tribunal Federal (Stf) del Brasile e avrà per relatore quel Gilmar Mendes, ex presidente dell’Stf, che un anno fa votò a favore dell’estradizione. Anche per questo, pur comprendendo la grande amarezza dei parenti delle vittime, penso che si stia facendo troppo clamore politico attorno a questo caso, con il rischio di ottenere proprio l’effetto contrario. Nessun Paese – e meno che mai il Brasile, una delle potenze emergenti sullo scenario internazionale – vuole apparire debole e remissivo di fronte alle pressioni di un altro Stato. Claudio TurriniErrata corrigeUn amico abbonato mi ha fatto notare che in questa risposta sono incorso in un involontario errore, definendo come «fiorentino» il gioielliere Pierluigi Torregiani, che in realtà era milanese. E a Milano avvenne sia il primo agguato che il secondo. Il 22 gennaio 1979 il gioielliere, che aveva 43 anni reagì con la sua arma ad un tentativo di rapina in una pizzeria, dove si era fermato – accompagnato da familiari e amici – di ritorno da una esposizione di gioielli presso una TV privata. Nella sparatoria vennero uccisi un rapinatore e un cliente del locale; tra i feriti vi fu lo stesso Torregiani. Pochi giorni dopo, il 16 febbraio, un commando terrorista dei Proletari armati per il comunismo volle vendicarsi sul gioielliere, aggredendolo mentre stava aprendo il suo negozio, assieme alla figlia e al figlio. Anche questa volta Torregiani tentò di reagire ma venne ucciso non appena estrasse la pistola, dalla quale partì un colpo che ferì alla colonna vertebrale il figlio 15enne, poi rimasto paraplegico. Per questo assassinio – come dicevo nella mia risposta – Cesare Battisti è stato condannato come mandante. (C.T.)