Vita Chiesa

Benedetto XVI e la «Regola». Intervista all’abate di Subiaco

di Lorella Pellis

«Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale». Con queste parole Papa Ratzinger ha spiegato la scelta del suo nome in occasione della prima udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro. Ma il nome Benedetto evoca anche la figura del «Patriarca del monachesimo occidentale», san Benedetto da Norcia, compatrono d’Europa. «La progressiva espansione dell’Ordine benedettino da lui fondato – ha detto ancora il Papa – ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il Continente. San Benedetto costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà». Le stesse radici cristiane che erano state anche al centro dell’ultima riflessione pubblica di Joseph Ratzinger prima del conclave quando il 1° aprile, giorno precedente la morte di Giovanni Paolo II, il cardinale era salito al monastero di Santa Scolastica a Subiaco – proprio nei luoghi dove San Benedetto aveva iniziato il suo cammino di vita monastica – per ricevere il premio intitolato al santo. In quell’occasione era stato accolto da tutta la comunità, in particolare dall’abate di Subiaco Mauro Meacci (nella foto insieme a Ratzinger), originario di Santa Maria a Monte in provincia di Pisa ma diocesi di San Miniato.

«Anche se non si può dire che ci fosse un legame particolare fra la nostra comunità e l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – dice l’abate – il cardinale Ratzinger era venuto altre volte da noi perché è una persona molto devota di San Benedetto di cui conosce e apprezza la spiritualità. Del resto San Benedetto è molto venerato in Germania e, in particolare, in Baviera, sua terra di origine, che conta ben diciassette monasteri benedettini».

Abate Meacci, cosa significa secondo lei la scelta di un nome come Benedetto XVI?

«Già nel discorso durante la Messa “pro eligendo pontifice” il cardinal Ratzinger aveva detto che “adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”, espressione che riecheggia molto una frase della “Regola” di San Benedetto dove il santo invita il monaco e il cristiano a niente anteporre all’amore col Cristo. C’è questa profonda radice cristologica nella fede del Papa e nella proposta che lui fa alla Chiesa per il mondo di oggi. Ci sono poi motivi di devozione personale verso il Santo dovuti ad una conoscenza mutuata dagli studi fatti da Ratzinger: basti pensare al suo lavoro di dottorato su Sant’Agostino. Ritengo inoltre che nel nome Benedetto siano anche da scorgere indicazioni di quello che vuole essere il programma del Papa».

Ovvero?

«Il pensiero di Ratzinger, espresso anche a Subiaco in maniera chiara, vede ancora nel grande contesto culturale europeo quel banco di trazione fra la cultura cristiana e la cultura di quell’illuminismo radicale che in qualche maniera costituisce un po’ la sfida di fondo che oggi si percepisce nel contesto culturale europeo ma che è sicuramente la sfida culturale che nei prossimi tempi avverrà in scala mondiale. Se, dal punto di vista di questo confronto culturale l’Europa è ancora un baricentro, credo che il richiamo a San Benedetto intenda riscoprire in quest’uomo, nella sua spiritualità, un modello per il cristiano di oggi».

Qual è il ruolo dei benedettini nel processo di evangelizzazione dell’Europa?

«Il nostro ruolo rimane quello di essere dei testimoni. Credo che l’attuale Papa chiamerà a raccolta le forze migliori che stanno all’interno della Chiesa perché vivano una vita più vicina al Vangelo, segnata dal messaggio e dall’esempio di vita del Cristo».

Cosa farebbe San Benedetto di fronte alle emergenze del mondo di oggi?

«Chiamerebbe i suoi monaci e direbbe: “Fratelli, lavoriamo, preghiamo, mettiamo ancora più impegno a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana e monastica”. Come ricordava Ratzinger a Subiaco, il mondo di oggi ha bisogno di uomini come Benedetto il quale, di fronte a quello che accadeva intorno, sapeva sprofondare nella solitudine, in Cristo e di lì riemergere come quell’uomo nuovo capace di creare nel piccolo della comunità monastica qualcosa che diventi esempio e riesca a contagiare la società circostante. È importante il concetto di minoranza creatrice. Dalla presenza di una molteplicità di queste comunità piano piano è venuto fuori il concetto di lievito forte che ha cambiato il mondo».

Durante la prima udienza generale il Papa ha citato letteralmente la raccomandazione lasciata da San Benedetto ai monaci nella sua «Regola»: «Nulla assolutamente antepongano a Cristo». Ecco, in cosa consiste oggi l’attualità della «Regola»?

«L’attualità è data dal fatto che San Benedetto va a cogliere una dimensione fondamentale dell’uomo che è quella della sua apertura verso la trascendenza e cerca di dare un senso alla ricerca di questo Assoluto. Assoluto che per noi è la ricerca del Dio rivelato dal Cristo attraverso una vita comunitaria che si articola intorno alla preghiera, al lavoro, a una vera carità fraterna vissuta con gli altri».