Vita Chiesa

BENEDETTO XVI IN SINAGOGA: IL DECALOGO UN GRANDE CODICE ETICO PER L’UMANITÀ

“La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo”, ha osservato Benedetto XVI, ieri pomeriggio nella sua visita alla sinagoga di Roma. Di qui derivano “la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico ‘a livello della loro stessa identità’ spirituale e che offre ai cristiani l’opportunità di promuovere ‘un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento’; la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità; l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella ‘cura del creato’ affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente”. In particolare, il Decalogo costituisce “la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità. Le ‘Dieci Parole’ gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana”.Le “Dieci Parole”, ha ricordato Benedetto XVI, “chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro”. Allora, “risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che ebrei e cristiani possono offrire assieme”. Le “Dieci Parole”, poi, “chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio”. Dato che in ogni parte della terra vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano, “testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo ‘shalom’ auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele”. Le “Dieci Parole” chiedono ancora “di conservare e promuovere la santità della famiglia”. Perciò, “testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano”.“Tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale regola – ha avvertito il Papa – impegna ebrei e cristiani a esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi”. Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, “ebrei e cristiani – ha sottolineato Benedetto XVI – sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene”. In questa direzione “possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra”. Malgrado una grande parte del patrimonio spirituale in comune, spesso cristiani ed ebrei rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro: “Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità”, ha affermato il Pontefice, che ha concluso il suo intervento invocando “dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa”.Un incontro per “rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità”. Questo il senso della visita, ieri pomeriggio, di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma, a quasi 24 anni da quella di Giovanni Paolo II. Visita iniziata con un omaggio floreale del Papa alla lapide di marmo che ricorda i 1022 deportati da Roma ad Auschwitz, il 16 ottobre 1943, un secondo omaggio floreale alla lapide per l’attentato del 9 ottobre 1982, da parte di terroristi palestinesi, in cui perse la vita un bimbo, Stefano Gaj Tache e l’incontro con il rabbino emerito Elio Toaff. Una visita, ha chiarito il Pontefice, che si è posta nel “cammino tracciato” da Giovanni Paolo II di “superare ogni incomprensione e pregiudizio” per “confermarlo e rafforzarlo”. “Mi trovo in mezzo a voi – ha detto il Santo Padre – per manifestarvi la stima e l’affetto che il vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa cattolica, nutrono verso questa comunità e le comunità ebraiche sparse nel mondo”. Ricordando il Concilio Vaticano II, Benedetto ha osservato come esso abbia dato “un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi”.“La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. Possano queste piaghe essere sanate per sempre!”, ha detto, ieri pomeriggio, Benedetto XVI, nella visita alla sinagoga di Roma. “Il passare del tempo – ha proseguito – ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità” con “guerre sanguinose” e “ideologie terribili”. Il “dramma singolare e sconvolgente della Shoah” rappresenta, per il Pontefice, “il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo”. Un ricordo poi degli ebrei romani deportati: “Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta”. La memoria di questi avvenimenti, ha osservato il Papa, “deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza”.Sir