Toscana

Campo internazionale, dieci giorni per costruire riconciliazione

di Riccardo Moro

«Nel mio paese, quando due litiganti sono di fronte agli anziani, ognuno ha davanti un bicchiere e tiene in bocca l’acqua mentre parla l’altro, per mostrare che non lo interromperà» racconta Filomeno Lopes, dalla Guinea Bissau. «Interagire con persone di culture e fedi diverse mi ha insegnato a riformulare continuamente le mie parole per non ferire l’altro e per essere compreso» gli ha fatto eco il rabbino di Firenze, Joseph Levi, con Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche in Italia, che portava come esempio la parola jiahd, letteralmente «lotta spirituale», cammino personale interiore, che se pronunciata senza attenzione si associa perversamente all’idea di «guerra santa».

Sono alcune tra le frasi più belle ascoltate al Campo Internazionale organizzato come ogni anno dall’«Opera La Pira». Una tradizione che affonda le sue radici nella diplomazia dolce e testarda di Giorgio La Pira, primo politico occidentale non comunista a varcare la «cortina di ferro», nel 1959, e a portare al Cremlino l’immagine dell’Annunziata di Firenze. Venticinque anni dopo, nel 1984, sulle orme del «Sindaco santo», il primo viaggio a Mosca, Kiev e Leningrado di un centinaio di giovani dell’«Opera», guidati da Pino Arpioni. Era ancora l’Urss di Andropov (morto da pochi mesi) e di Cernenko. Ma si iniziavano a percepire i primi segnali di apertura. Da quel viaggio, poi ripetuto nel 1986 e tante altre volte in seguito, nacquero i rapporti con l’Università di relazioni internazionali «Mgimo» di Mosca, che alla fine degli anni ’80 iniziò ad inviare giovani studenti al villaggio «La Vela», nella pineta di Castiglione della Pescaia, dove ormai da decenni Pino Arpioni organizzava campi estivi per i giovani toscani e da alcuni anni si era aperto ad esperienze di dialogo ecumenico con anglicani ed ortodossi.

Da quell’epoca molte cose sono cambiate, ma l’Opera è rimasta fedele all’idea di far incontrare «alla Vela» giovani di diverse parti del mondo.  In particolare negli ultimi anni si è cercato di rispondere all’appello dello stesso La Pira che aveva invitato a ripercorrere il «cammino di Isaia», trasformando le proprie lance in vomeri, per dare pace al mondo. Affermare che senza pace a Gerusalemme non può esservi pace nel mondo non significa sancire una qualche superiorità politica di quella terra travagliata e santa. Indica la responsabilità speciale delle tre religioni a sviluppare un dialogo di fratellanza coinvolgente, capace di realizzare un cammino di riconciliazione, magari faticoso ma autentico.

È con quello spirito che da diversi anni partecipano al Campo Internazionale giovani israeliani e palestinesi che nella loro terra difficilmente potrebbero incontrarsi e «riconoscersi». Condividono dieci giorni di vita comunitaria, ragionando insieme di pace, giocando, mangiando e pregando ognuno secondo la propria fede, cultura e sensibilità. Non lo fanno da soli. Importante è la presenza dei giovani italiani e sempre maggiore quella da altri paesi, dall’Africa in particolare. Significativa l’adesione dalla Russia, che alla tradizionale presenza del Mgimo, l’Istituto di Scienze Diplomatiche dell’Università di Mosca, unisce delegazioni delle chiese ortodosse di San Pietroburgo e Mosca e della diocesi cattolica di San Pietroburgo.

Da qualche anno il tema del Campo si sviluppa intorno ad un’idea di giustizia e di pace basati sulla costruzione e ricostruzione delle relazioni violate. Il modello non è quello della giustizia retributiva su cui si fonda buona parte del diritto penale, ma quello della giustizia riparativa, che trova pienezza nella riconciliazione.  Non è retorica. Se si guarda all’esperienza concreta dell’Africa contemporanea si vede come l’idea di riconciliazione basata sul riconoscimento della verità e sull’accoglienza reciproca è strumento necessario e forse sufficiente per raggiungere la pace. La verità non è la ricostruzione storica dettagliata, ma il «confessare» reciprocamente il dolore sofferto.  Questo condividere, unito alla voglia di ricominciare camminando insieme, contiene una forza insieme sommessa e incontenibile. È l’esperienza del Sud Africa, su cui si è lavorato al Campo l’anno scorso. È l’esperienza di luoghi come il Rwanda o la Guinea Bissau, che Filomeno Lopes, giornalista di Radio Vaticana, ma anche protagonista diretto di riconciliazione, con i suoi scritti e la sua musica, ha raccontato quest’anno.

Se la giustizia e la pace richiedono relazioni «umanizzanti» e con esse si identificano, occorre dedicare attenzione speciale alla comunicazione e all’informazione, che mai come in questo tempo sono pervasive e possono esercitare influenze perverse sulle persone. I giovani del Campo hanno lavorato su questo tema ascoltando testimoni di rilievo internazionale e professionisti. Hanno redatto un documento finale (testo integrale), come si faceva un tempo, quando le parole pesavano e per questo si fermavano sulla carta, per poi rileggerle e confrontare il cammino. Hanno fatto propria la frase del rabbino e dell’imam, convinti che comunicare sia prima di tutto incontrare, facendosi carico dell’altro. Hanno affermato convinti che la «moralità» dei nuovi media dipende da quella di chi li usa. Hanno promesso di attivare un network che mantenga la relazione fra loro anche a distanza. Alcuni di loro, da qualche anno, continuano testardamente a comunicare e, per quanto possibile, a incontrarsi tra Palestina e Israele.Sono gocce in un mare tormentato. Ma è bello riconoscerle in questi giorni, quando stanno riprendendo i colloqui di pace. Lo abbiamo già scritto: piccoli irresistibili passi di pace. E con Romano Prodi il «punto» sul mondoProfessore, dov’è la speranza in questo quadro internazionale che ci ha appena fatto?», chiede Salim, giovane cristiano di Betlemme. La risposta di Romano Prodi è lapidaria. «Il mio compito non è spandere speranza, ma dire la verità». È la terza volta che l’ex premier si sottopone al fuoco di fila delle domande dei giovani del Campo internazionale al Villaggio La Vela. Ormai si sente a casa. Inizia tracciando un bilancio. Con lucidità e senza fronzoli. Quello appena trascorso – spiega – è stato l’anno della «non soluzione dei problemi». Dall’Iraq, all’Afghanistan, fino al Medio Oriente. Obama, nella cui presidenza erano riposte tante speranze, ha detto cose importanti, ma «ancora non ha preso decisioni significative». Quanto all’Europa «è il più grande produttore, il più grande esportatore, ma è disunita, senza una politica estera». Chi conta sempre di più è la Cina, che specie in Africa, «sta facendo politica senza spendere un dollaro». La sorpresa è il ruolo crescente del Brasile. Questo il «quadro». Poi partono le domande dei giovani che spaziano dalle grandi aree di crisi, all’Africa, e all’Europa, dall’uso della forza, al ruolo della Turchia in Medio Oriente, dalla conferenza sul clima alla riforma dell’Onu. Due ore di dialogo con Prodi che, passando di continuo dall’italiano all’inglese, risponde ad ogni quesito, sottolineando come manchi una vera leadership mondiale e come sia necessario tornare ad una «soluzione politica dei problemi».

Quello con Prodi è stato solo uno dei tanti incontri. Gli oltre cento giovani si sono confrontati tra loro in piccoli gruppi e poi hanno approfondito il tema generale – «Conoscenza, dialogo, speranza», introdotto da Claudio Turrini di «Toscana Oggi» – con il sociologo Luca Toschi, direttore del «Communication Strategies Lab» dell’Università di Firenze, con il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, con l’imam Izzedin Elzir, presidente nazionale dell’Ucoii, con l’ex-assessore regionale Massimo Toschi, con l’islamista Sami Aldeeb Abu-Sahlieh e con i giornalisti Gad Lerner e Filomeno Lopes. A coordinare gli incontri, Riccardo Moro, già presidente della Fondazione Cei «Giustizia e solidarietà». Al Campo ha fatto visita anche il vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti, che ha celebrato l’Eucarestia e poi ha salutato con calore i partecipanti.