Italia

CARD. BAGNASCO: CATTOLICI «SOCI FONDATORI», UNITA’ D’ITALIA IRRINUNCIABILE

I cattolici sono “soci fondatori” del nostro Paese, e l’unità d’Italia – che è “un sentire comune circa le cose più importanti del vivere e del morire” – “resta una conquista preziosa e un ancoraggio irrinunciabile”. Sono questi i due binari principali attorno a cui si è articolato il saluto con cui il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha aperto oggi il X Forum del progetto culturale, in corso a Roma (fino al 4 dicembre) sul tema: “Nei 150 anni dell’unità d’Italia. Tradizione e progetto”. La ricorrenza in questione – ha esordito il cardinale – “vede la Chiesa unita a tutto il Pese nel festeggiare l’evento fondativo dello Stato unitario, e già questa constatazione è sufficiente per misurare la distanza che ci separa dalla ‘breccia di Porta Pia’”. “Cogliere il contributo cristiano rispetto al destino del nostro Paese – ha ammonito il presidente della Cei – richiede una lettura della storia scevra da pregiudizi e seriamente documentata, lontana dunque tanto da conformismi quanto da revisionismi”. Da S. Francesco d’Assisi, cui “si lega il ripetuto uso del termine Italia”, e S. Caterina da Siena, sono “innumerevoli le figure” che hanno dato “un incisivo contributo alla crescita religiosa e allo sviluppo sociale e perfino economico della nostra Penisola”, segno che “l’unico sentimento che accomunava gli italiani era quello religioso e cattolico”.Nel 1861, “veniva generato un popolo”, e soprattutto veniva dimostrato che “lo Stato in sé ha bisogno di un popolo, ma il popolo non è tale in forza dello Stato, lo precede in quanto non è una somma di individui ma una comunità di persone, e una comunità vera e affidabile è sempre di ordine spirituale ed etica, ha un’anima. Ed è questa la sua spina dorsale”. “Ma se l’anima si corrompe, allora diventa fragile l’unità del popolo, e lo Stato si indebolisce e si sfigura”, ha denunciato il presidente della Cei, secondo il quale ciò accade “quando si oscura la coscienza dei valori comuni, della propria identità culturale”. “Parlare di identità culturale – ha precisato infatti il cardinale – non significa ripiegarsi o rinchiudersi, ma si tratta di non sfigurare il proprio volto: senza volto infatti non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere popolo”. Di qui la tesi centrale del presidente dei vescovi italiani: “Lo Stato non può creare questa unità che è pre-istituzionale e pre-politica, ma nello stesso tempo deve essere attento e preservarla e a non danneggiarla. Sarebbe miope e irresponsabile attentare a ciò che unisce in nome di qualsivoglia prospettiva”. “Quanto più l’uomo si ripiega su se stesso, egocentrico o pauroso, tanto più il tessuto sociale si sfarina, e ognuno tende a estraniarsi dalla cosa pubblica, sente lo Stato lontano”, il grido d’allarme dei vescovi italiani. “Ma è anche vero – ha puntualizzato il cardinale – che quanto più lo Stato diventa autoreferenziale, chiuso nel palazzo, tanto più rischia di ritrovarsi vuoto e solo, estraneo al suo popolo”. Una “circolarità”, questa, “da non perdere mai di vista, perché non si indebolisca quella unità di fondo che non è fare tutti le stesse cose, ma è un sentire comune circa le cose più importanti del vivere e del morire”. In questo scenario, “la religione in genere, e in Italia le comunità cristiane in particolare, sono state e sono fermento nella pasta, accanto alla gente; sono prossimità di condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso ultimo della vita, memoria permanente di valori morali. Sono patrimonio che ispira un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità ecclesiale, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato”. La fede,cioè, “non può essere mai ridotta a religione civile”, ma “è innegabile la sua ricaduta nella vita personale e pubblica”. Partendo da queste premesse, il card. Bagnasco ha tracciato una sorta di identikit della buona politica, rinnovando l’auspicio che “possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti”. “L’autocoscienza di una società, che si esprime anche nei suoi ordinamenti giuridici e statuali – ha spiegato il cardinale – è conseguenza dell’autocoscienza dell’uomo, e senza la prospettiva di una vita oltre la morte, la vita politica tenderà a farsi semplicemente organizzazione delle cose materiali, equilibrio di interessi, freno di appetiti individuali o corporativi, amministrazione e burocrazia”. “La dignità della persona – ha ribadito il presidente della Cei – trova la sua incondizionatezza solo nella trascendenza”, che “fonda e garantisce il valore dell’uomo e il suo agire morale”, in quanto “il rispetto e la promozione di questa dignità” sono “il nucleo del bene comune, scopo di ogni vero Stato”. Di qui il primato del “vivere retto”, “sia dei cittadini che dei loro rappresentanti”: “non sono le strutture in quanto tali né il semplice proceduralismo delle leggi a garantire ‘ipso facto’ il retto vivere, ma la vita di persone rette che intendono lasciarsi plasmare dalla giustizia”. Anche il tema del federalismo, per la Chiesa italiana, rientra nell’”impegno a favore dell’unità nazionale, che resta una conquista preziosa e un ancoraggio irrinunciabile”. “E’ nel terreno fertile dello ‘stare insieme’ – le parole del card. Bagnasco – che si impianta anche un federalismo veramente solidale: uno stare insieme positivo che non è il trovarsi accanto selezionando gli uni o gli altri in modo interessato, ma che è fatto di stima e rispetto, di simpatia, di giustizia, di attenzione operosa e solidale verso tutti, in particolare verso chi è più povero, debole e indifeso. Attenzione d’amore di cui Cristo, il grande samaritano dell’umanità, è modello, maestro e sorgente”. “Quando in una società si mantiene la gioia diffusa dell’aiutarsi senza calcoli utilitaristici – ha affermato il presidente della Cei – allora lo Stato percepisce se stesso in modo non mercantile, e si costruisce aperto nel segno della solidarietà e della sussidiarietà. E’ da questo humus di base, che innerva i rapporti nei mondi vitali – famiglia, lavoro, tempo libero, fragilità, cittadinanza – che nasce quella realtà di volontariato cattolico e laico che fa respirare in grande e che è condizione di ogni sforzo comune”. A questo proposito, gli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio, dedicati all’emergenza educativa, “rappresentano una opportunità per mantenere o ricostituire il patrimonio spirituale e morale indispensabile anche all’uomo post-moderno”, a partire dalla consapevolezza che “l’annuncio integrale del Vangelo di Gesù Cristo, è ciò che di più caro e prezioso la Chiesa ha da offrire perché non si smarrisca l’identità personale e sociale, e anche il miglior antidoto a certo individualismo che mette a dura prova la coesistenza e il raggiungimento del bene comune”. “Se ogni persona di buona volontà pone in essere comportamenti virtuosi, e questi si allargano grazie a reti positive che si sostengono e si propongono, l’ambiente in generale può migliorare”, ha concluso il cardinale, ricordando che “La Chiesa educa sempre e inseparabilmente ai valori umani e cristiani, e oggi rappresenta, nel concreto delle nostre città e dei nostri centri, un riferimento affidabile soprattutto per i ragazzi e i giovani. A questi soprattutto il mondo degli adulti deve poter offrire un esempio e una risposta credibili, contrastando quella ‘cultura del nulla’ che è l’anticamera di una diffusa ‘tristezza’”.Sir