Opinioni & Commenti

C’è una grande confusione sotto il cielo italiano

La società civile è tornata. Affermazione azzardata dopo le manifestazioni di Roma (contro il degrado cittadino) e di Torino (sì alla Tav). Forse non è mai andata via. Magari era letteralmente frastornata, sotto l’incalzare del nuovo verbo sovranista e populista che ha rimescolato il dibattito pubblico e ha introdotto, nelle stanze del potere, prassi e linguaggi che mal si conciliano con lo spirito e la cultura del mondo di ieri. Infatti, parlare oggi di società civile è come voler rivivere un tempo che non c’è più. Così come quando si evoca il ceto medio o si riflette sul destino della borghesia. Ed è tutto un interrogarsi, sotto l’incalzare dello strapotere dei social, su che fine abbia fatto tutto quel mondo di ieri o dell’altro ieri.

Così un politologo accorto come Luca Ricolfi può tranquillamente affermare che evocare la società civile è assolutamente improprio: «La cosiddetta società civile era fatta di “ceti medi riflessivi”, istruiti e tendenzialmente orientati a sinistra. Qui invece siamo di fronte a una realtà interclassista, senza un particolare colore politico». E poi un sociologo del calibro di Giuseppe De Rita può spingersi a demolire, in un colpo solo, ogni interpretazione passatista su ceto medio e borghesia: «In Italia, a differenza della Germania, della Francia, dell’Inghilterra, il ceto medio non è riuscito a diventare borghesia. È sempre sostanzialmente rimasto ceto medio, un magma sociale che sobbolle proprio perché non riesce a fare quel salto». E infine Beppe Grillo, il patron dei Cinquestelle, dice la sua: «Siete tornate voi borghesucci». E non potendo citare Marx che è troppo anche per lui, si rifugia nella cultura pop e richiama Giorgio Gaber. Che pur essendo dotato di un ego considerevole, non si sarebbe mai sognato di farsi capopartito.

La verità è che dopo aver letto fiumi di inchiostro su società civile, ceto medio e borghesia, tutti alimentati dalle avventure/disavventure delle sindache cinquestelle di Roma e Torino, ci ritroviamo più confusi di prima al punto di partenza. Di sicuro, l’evoluzione del quadro politico italiano sta cambiando la sostanza delle dinamiche sociali e con essa le classificazioni, le interpretazioni e gli orizzonti di senso. Gli stessi intellettuali fanno fatica a decifrare questo nostro tempo. La storia comunque c’insegna che ci sono momenti in cui le parole acquisiscono significati nuovi, magari proprio sulla scia di quella realtà fattuale tante volte evocata dai nuovi governanti e dai loro corifei, anche se spesso in aperta contraddizione con il principio di realtà. Basti pensare, solo per fare due esempi, alla torsione securitaria indotta nel Paese scopertosi all’improvviso invaso dagli immigrati, o al ritorno nella gloria legislativa del condono edilizio. Qualcuno parlerebbe di neolingua (alla maniera di Orwell), ma probabilmente qualcun altro ci spiegherà che no, siamo noi che non abbiamo capito bene. È solo il nuovo che avanza e al quale non siamo preparati perché non frequentiamo abbastanza la Rete giusta…

E infine tu giornalista potrai ritrovarti in una lista di sciacalli e prostitute, solo perché non aderisci alla dittatura magnifica del popolo che, come sostiene il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è innanzitutto quello che «ha votato le forze al governo». E gli altri cittadini? Ah sì, anche loro fanno parte del popolo. Dunque, ricapitolando: la società civile è roba vecchia e superata, il ceto medio non ce la fa a diventare borghesia e alimenta il rancore sociale, ma no… i borghesi sono tornati, il bisogno indotto di sicurezza spinge ad armarsi per autodifesa, i giornalisti fanno il mestiere più antico del mondo, il popolo è l’azionista di maggioranza del governo. Grande è la confusione sotto il cielo italiano e all’orizzonte non si intravede un corpo solido di certezze, una minima lettura condivisa della vita nazionale.

Una nuova narrazione pubblica si fa strada e sarà nostro compito vigilare perché almeno non travalichi i confini della realtà. Anzi, bisognerebbe che i cattolici italiani si facessero interpreti di una rilettura del Paese con occhi limpidi e privi di quel pregiudizio politico e di quel rancore che spingono troppi italiani nei territori della partigianeria e del settarismo che non fanno prigionieri. Ci sarebbe di che preoccuparsi, ma noi possiamo sperare che la tragedia italiana alla fine si risolva in una semplice farsa. Di cui magari potremo cominciare a scriverne la cronaca, come un incidente di percorso di una giovane democrazia. Alla ricerca d’autore…