Toscana

Chi paga di più la crisi? Gli anziani e i più poveri

«La crisi economica è mondiale, i tagli non sono un’opzione ma una necessità per tutti i paesi, tuttavia colpiscono settori e categorie che non fanno molto rumore e potrebbero rivelarsi addirittura mortali». Lo ha detto martedì 31 maggio a Roma Mario Marazziti, della Comunità di S. Egidio, presentando dati e proposte «per un welfare equo e accessibile per le famiglie e per gli anziani», sotto lo slogan «I tagli che non fanno rumore ma che fanno molto male: chi paga di più la crisi in Italia». «Da un anno all’altro – ha spiegato Marazziti – i fondi destinati alle spese sociali sono passati da 1,472 miliardi di euro a 349 milioni, con una decurtazione del 76,3%.

Negli ultimi quattro anni si è scesi da 2,56 miliardi del 2008 a 349 milioni odierni. I settori più colpiti sono stati i fondi per la non autosufficienza – da 400 milioni a zero nel 2011 –, per l’inclusione degli immigrati – da 100 milioni nel 2008 a zero – e quello dei servizi per l’infanzia, azzerato dal 2010». Marazziti ha poi illustrato i dati riguardanti le politiche della famiglia (da 185,3 milioni del 2010 a 52,5 nel 2011), quelle giovanili (da 94,1 a 32,9), le politiche sociali (da 435,3 a 75,3), il fondo affitti (da 143,8 a 33,5), il fondo per il servizio civile (da 170,3 a 113). «Ciò che si è prodotto, a cascata, è stato un taglio o addirittura l’interruzione di vari servizi: ad esempio i contributi per l’alloggio a Palermo, La Spezia, Roma, Milano; o gli assegni di cura per anziani e disabili a Roma, Palermo, Genova, Torino e altre».

Il rischio che i tagli alle spese nel campo sociale possano rivelarsi «mortali» è stato così spiegato da Marazziti: «Se consideriamo il rapporto tra povertà e non autosufficienza, si constata che al diminuire del reddito disponibile gli anziani mostrano un aumento della non-autosufficienza molto rilevante. Si passa infatti da un 5-7% di non autosufficienza tra i quartili di reddito più elevati fino a oltre il 20% tra i quartili di reddito più basso negli anziani oltre i 65 anni. Il che si traduce in un maggiore ricorso alla ospedalizzazione a seguito di malattie e forme invalidanti e quindi a costi per il servizio pubblico più considerevoli di quelli che la comunità dovrebbe sopportare per un’assistenza domiciliare ben fatta». «Abbandonare gli anziani più poveri a loro stessi costituisce quindi un risparmio immediato – ha aggiunto – ma che si tradurrà nel futuro in costi sociali ed economici più rilevanti, oltre a provocare l’inversione della tendenza che vedeva l’Italia come uno dei Paesi con la più alta speranza di vita alla nascita, oltre che con la maggiore longevità».

Giurlani (Uncem Toscana):La Montagna ha retto ma il futuro è nerissimo

di Claudio Turrini

«Vivere in montagna non è come vivere a Firenze. Finora abbiamo retto, ma dal 2012 può saltare tutto». Oreste Giurlani, 47 anni, sindaco da due mandati di Fabbriche di Vallico, presidente Uncem Toscana dal 2005, lancia il suo grido d’allarme. All’Uncem aderiscono 156 comuni montani o parzialmente montani a cui si aggiungono altri 12 comuni non montani. Una bella fetta di territorio, il 78%, con poco più di mezzo milione di abitanti e una densità media di 158 per kmq. Qui i tagli al sociale si sono fatti sentire più che altrove. «Nel 2008 – ci spiega – dallo Stato arrivava in Toscana qualcosa come 64 milioni, che per l’85% venivano poi ripartiti ai Comuni. Siamo passati a 37 milioni nel 2009, 27 nel 2010 e ad oggi c’è una previsione per il 2011 di 17-20 milioni, per poi andare all’azzeramento della spesa sociale nel 2012. Eppure non abbiamo retrocesso di un millimetro nella quantità e qualità dei servizi. E le richieste stanno aumentando, soprattutto nelle zone montane, perché sono arrivati gli immigrati, perché l’età media aumenta, perché c’è stato un ritorno di abitanti. Siamo una delle regioni dove si vive più a lungo. E in montagna la media di ultra75 è sopra il 30%. In molte zone è ancora forte l’alcolismo, sono diffusi i suicidi. Se a questo ci aggiungiamo l’Alzhaimer, gli anziani soli, i non autosufficienti, i diversamenti abili…».

E meno male che a fronte dell’azzeramento negli ultimi due anni del fondo per la non autosufficienza è intervenuta la Regione, dirottandovi proprie risorse. «Ma questo meccanismo di sostituzione – commenta Giurlani – non è corretto». E soprattutto non può durare. I Comuni da parte loro «hanno dovuto aumentare la loro quota di compartecipazione procapite, che in Toscana nei territori montani incide mediatamente da un 25 a un 38 euro procapite. D’altra parte sprechi non ce n’erano. I Comuni hanno dovuto spostare sul welfare altre risorse, tagliando altri servizi, rinunciando a investimenti. E alcuni si sono anche indebitati, perché non avevano altra scelta».

«Noi in Toscana sul sociale ci eravamo già aggregati – prosegue Giurlani –. Non esiste più un piccolo comune che fa da solo. Abbiamo le funzioni associate o attraverso la Sds o nella Comunità montana oppure con associazioni con comuni capofila, secondo articolazioni di zona, che sarebbero ambiti ottimali della gestione del welfare e della sanità. Si è cercato anche di fare i regolamenti unici di accesso, di levare le disparità tra comuni». Per esempio, con «i nidi a ragnatela» si è cercato «di collegare vari asili nido per vedere se insieme reggevano. Ma avendo azzerato il fondo per l’infanzia, adesso sono a rischio. Poi sono a rischio tutti quegli interventi collaterali che sono venuti meno e non solo per l’infanzia».

Qualche speranza era riposta nel federalismo, con il varo dei «costi standard» che dovrebbero garantire trasferimento di risorse e un fondo perequativo. «Ma quando parte? – si chiede Giurlani – Dicono 2013, 2014… E nel frattempo che si fa?». Stesso discorso per la legge  sui piccoli Comuni attualmente in discussione in Parlamento: «Speravamo che venisse riaffermato il principio che vivere in montagna costa il 30% in più e che c’è un disagio vero per il quale servono risorse. Però questo per ora non è avvenuto».

Mondanelli (Comune di Prato):Fantasia e un nuovo patto per mantenere l’welfare

di Damiano Fedeli

Solo per limitarsi al campo del sociale, le forbici di Roma si sono abbattute quest’anno per un milione di euro su Prato. «Ancora per quest’anno, poi, ci ha assicurato la Regione che potremmo contare sui fondi per non autosufficienti con cui hanno sopperito ai tagli nazionali, con 2,3 milioni per il nostro territorio. Ma per il prossimo anno, che cosa succederà non si sa», spiega Dante Mondanelli, assessore comunale alla salute e al sociale nella giunta di centrodestra che governa Prato. Ma quando si tratta di fare i conti con le decurtazioni, la questione supera il colore politico dei governi e delle giunte e i problemi da affrontare diventano concreti. «Da parte sua il Comune ha fatto la sua parte, per assicurare lo stesso livello di servizi. Per gli anziani, ad esempio, con i contributi di cura (le badanti, per intenderci) o l’assistenza domiciliare, abbiamo le risorse per coprire tutto l’anno la situazione attuale. Si regge, insomma. Ma se dovessero aumentare le richieste? Si verrebbero a creare liste d’attesa che, per ora, riusciamo a evitare».

Naturalmente, precisa l’assessore, «si tratta di distribuire le risorse a chi ha veramente bisogno. Non ha senso distribuire risorse uguali a persone che hanno situazioni di partenza diseguali. So che la Regione sta lavorando a un nuovo redditometro: l’auspicio è quello di andare nella direzione giusta. Da parte mia ho più volte puntato il dito contro quelli che ho definito “i professionisti dell’assistenzialismo”. Ma anche nella distribuzione delle risorse ai territori da parte dello Stato o della Regione occorrerebbe una maggiore equità. La nostra situazione di Prato è del tutto particolare: siamo, solo per citare un dato fra i tanti, la prima Provincia in Italia per numero di stranieri nati qua: il 19,7%».

Mondanelli fa anche un discorso più complessivo: «In un momento come questo di ristrettezze, quello che occorrerebbe sul nostro territorio, ed è una cosa cui stiamo lavorando, è un nuovo patto sociale, in cui convergano tutti gli attori che operano nel campo del sociale, dalle istituzioni, Comune, Provincia, la Asl, la Società della salute, il mondo del privato sociale e del volontariato. Una rete che ci ha permesso di tenere ma che ha bisogno di essere oliata per lavorare veramente in sinergia». L’assessore pratese al sociale ha in mente un paio di fronti di intervento: «Siamo un territorio dove gli ultra 65enni sono il 20% e dove, in pochi anni è raddoppiato il numero degli anziani in rapporto ai giovani: oggi ci sono 148 anziani ogni 100 giovani. Per fare fronte ai tagli, occorre inventarsi nuove forme di assistenza. Stiamo pensando ad esempio ai cosiddetti condomini solidali. Gli anziani lasciano la loro casa che spesso non riescono più a gestire, per andare a stare in un’abitazione monofamiliare, in un condomonio dove è promossa la loro autonomia ma ci sono spazi sociali condivisi, assistenza, infermieri, aiuto per la spesa, ecc. Altro fronte è quello dell’assistenza sul territorio, come ad esempio il progetto “Dopo l’ospedale meglio a casa”, lanciato con la Società della salute: un’assistenza domiciliare rinforzata, per vedere dove ci sono i margini per recuperare l’autosufficienza».