Pisa

CHIAMATI DAL SIGNORE

di  Andrea Bernardini

Oltre 1.200 persone, provenienti da ogni angolo della diocesi, si sono ritrovate la scorsa domenica pomeriggio in Cattedrale per partecipare al rito dell’ordinazione presbiterale di don Lorenzo Bianchi, don Simone Binelli e don Federico Franchi.

Ha presieduto il sacro rito l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto, hanno concelebrato con lui monsignor Vasco Giuseppe Bertelli, vescovo emerito di Volterra e altri novantun sacerdoti – diocesani e non. La concelebrazione eucaristica, iniziata poco dopo le ore 18, si è protratta ben oltre le ore 20. Due ore di rito carico di segni, preghiere. E di canti, intonati dai quaranta coristi della Cappella musicale del Duomo, diretti dal maestro Riccardo Donati e accompagnati all’organo dal maestro Claudiano Pallottini e all’oboe da Marco Ferrini.

Il nubifragio che ha preceduto, accompagnato e seguito la celebrazione non ha scoraggiato ad uscire di casa parenti, amici e conoscenti dei tre novelli sacerdoti diocesani. Così già un’ora prima dell’inizio tutti i posti a sedere – messi a disposizione dalle maestranze dell’Opera del Duomo – erano occupati.

Con compostezza la gente ha partecipato alla liturgia della Parola: ascoltando l’incipit del capitolo 61 del libro del profeta Isaia (61,1-3, «Lo spirito del Signore Dio è su di me»), il Salmo responsoriale (115 «Offrirò al Signore il calice della salvezza), brani della lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini (4,1-7.11-13), infine il capitolo 10 del vangelo di Luca (10,1-9 «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!») proclamato dal diacono Luigi Moscardini dal pergamo di Giovanni Pisano.

Poi il rettore del Seminario, monsignor Roberto Filippini, ha presentato al nostro arcivescovo i tre candidati a ricevere il sacro ordine del presbiterato.

Alla domanda rivoltagli dall’Arcivescovo – «Sei certo che ne siano degni?» – il rettore ha risposto: «Quasi un anno fa concludevo la presentazione per il diaconato dicendo che Federico, Lorenzo e Simone, molto diversi fra loro, per storie vocazionali, per età, caratteri e doti, avevano certamente in comune lo stesso sincero desiderio di servire il Signore e la Chiesa senza riserve e che quindi erano pronti per l’ordinazione: il giudizio mio e degli altri formatori in vista del presbiterato si è confermato, perché nel frattempo li abbiamo visti sempre più intensamente impegnati, nella preghiera, nello studio, nell’affinamento delle relazioni interpersonali e nel servizio pastorale».

Federico Franchi ha esercitato il suo diaconato a Barga guidato affettuosamente da monsignor Stefano Serafini e «ha coordinato in particolare il lavoro della pastorale giovanile con buoni risultati».

Lorenzo Bianchi «ha ultimato il biennio di tirocinio a Calci, nell’unità pastorale della Val Graziosa, mettendo a frutto le sue capacità educative nella catechesi e nell’animazione dei ragazzi», imparando da monsignor Antonio Cecconi e don Luca Facchini «ad aprirsi a nuovi servizi e a nuove problematiche ecclesiali».

Simone Binelli «nelle parrocchie di Riglione e Oratoio ha condiviso con don Roberto Canale il servizio della Parola e la cura delle famiglie giovani, non trascurando gli altri settori della comunità. I preti e la gente di queste comunità ci hanno dato buona testimonianza della loro presenza e della loro attività».

Di tutto rispetto – ha ricordato monsignor Roberto Filippini – «è stato anche il loro iter accademico allo STI (Studio teologico interdiocesano, ndr): hanno superato tutti gli esami del sessennio, e hanno compiuto un’accurata ricerca per la tesi finale dando prova di buona maturità intellettuale e manifestando ciascuno interessi personali ben coltivati: Federico nell’incontro possibile fra teologia e psicologia, Simone in uno studio fra spiritualità e interpretazione biblica e Lorenzo in un approccio giuridico-ecclesiologico ad una questione ecumenica».

I tre non hanno trascurato, infine «la vita comune in seminario, a cui hanno dato un contributo costante e fraterno, apprendendo l’arte di sopportarsi e sostenersi a vicenda, in un’attenzione affettuosa e responsabile verso gli altri e favorendo una serena convivenza. Spesso nella liturgia hanno spezzato la Parola alla comunità e ci hanno aiutato ad accoglierla». Ma è soprattutto con il Signore che Federico Franchi, Lorenzo Bianchi e Simone Binelli «hanno approfondito la loro relazione, la loro alleanza personale, ciascuno con le proprie sottolineature spirituali: Federico nella rigorosa disciplina dei tempi di orazione e nella sintesi cercata fra lo studio della fede e il dialogo interiore. Lorenzo nella fedeltà all’adorazione eucaristica, suo rifugio geloso e sorgente sicura di calma e di forza d’animo per abbandonarsi poi fiducioso alla volontà di Dio. Simone, nel silenzio e nell’ascolto del cuore, nella Scrittura scrutata amorosamente, nel desiderio di radicalità e di assoluto».

Ragazzi perfetti, dunque? No. «Non c’è tempo – ha concluso monsignor Roberto Filippini – per elencare tutti i loro difetti, che sono tanti, ma stasera non sarebbe di buon gusto e del resto tu (ha detto riferendosi all’Arcivescovo ) li conosci bene: c’è invece da ringraziare le loro famiglie che ce li hanno donati, le comunità parrocchiali in cui sono cresciuti cristianamente, i preti e gli amici che li hanno aiutati a diventare degni o meno indegni di essere ordinati presbiteri».

SACERDOZIO: DONO E MISTERO

L’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto ha appena ascoltato la presentazione dei tre candidati rivolta a lui, e a più di mille uditori, dal rettore del seminario «Santa Caterina» monsignor Roberto Filippini. Quando prende la parola rivolgendosi ai tre seminaristi che sta per ordinare preti.  Confessa loro (e a tutti) come «sia grande e profonda la gioia che ci anima stasera». Ma come altrettanto «grande è il senso di piccolezza e di inadeguatezza che sto vivendo di fronte al grande mistero che si compirà in voi per l’imposizione delle mie mani e per la preghiera consacratoria che eleverò al Padre celeste per voi». Ancora una volta – continua monsignor Giovanni Paolo Benotto «ci ritorna in mente l’espressione usata dal Beato Giovanni Paolo II a proposito del suo sacerdozio: “dono e mistero”. Niente di più misterioso di ciò che Dio opera in noi nel momento in cui, per l’ordine sacro, veniamo configurati a Cristo Signore, sommo ed eterno sacerdote. E niente di più gratuito del dono meraviglioso che ci fa essere totalmente dedicati a Dio e alla Chiesa nel servizio di salvezza destinato al mondo intero». Poi riprende la prima lettura proclamata durante la celebrazione: «Lo Spirito del Signore sarà su di voi e vi consacrerà con la sua unione». Il termine consacrare – osserva l’Arcivescovo – ritorna spesso nel linguaggio ecclesiale, «evocando i gesti rituali della chiesa che determinano ciò che viene dedicato a Dio e a Lui soltanto. Consacrato è lo spazio del culto; consacrato lo può essere un altare; consacrato è il tempo che dedichiamo al Signore nella sua lode; consacrato, cioè dedicato a Dio, lo è ogni battezzato e ogni cresimato; persone consacrate sono coloro che professano i consigli evangelici; consacrato è colui che riceve il sacramento dell’ordine». Se le parole di Isaia «si riferivano alla chiamata per il servizio profetico, sappiamo bene – osserva monsignor Giovanni Paolo Benotto – che esse vengono attualizzate ed applicate a se stesso dal Signore Gesù nella sinagoga di Nazareth. È Gesù, il consacrato, l’unto di Jawè, il Messia, il Cristo di Dio. Una consacrazione che lo investe della missione di portare il lieto annuncio ai miseri, manifestando il cuore misericordioso di Dio che si china sulle sofferenze dell’uomo e inaugurando il tempo della grazia e della gioia che viene dall’alto. Una consacrazione che – nel vangelo di Giovanni – Gesù assume in prima persona: “per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,19). È Gesù che offre se stesso e si dona in sacrificio al Padre per i suoi. E i suoi sono gli apostoli: coloro che egli invia nel mondo nello stesso modo con cui il Padre ha inviato il Figlio suo per la salvezza di tutti».

Possiamo ben dire – continua l’Arcivescovo – che Gesù consacra se stesso ed insieme è consacrato dal Padre suo.

«Anche su di voi, tra poco – osserva il presule rivolto ai tre seminaristi – scenderà lo Spirito Santo per consacrarvi, perché siate totalmente dedicati a Dio; ma anche voi siete chiamati a consacrare voi stessi, cioè a mettervi totalmente a disposizione del Signore, nella consapevolezza della vostra piena e completa appartenenza a Lui, perché configurati dal sacramento dell’ordine a Cristo Gesù (…) Un impegno che dovrà accompagnarvi ogni giorno e per la realizzazione del quale venite arricchiti dalla “grazia secondo la misura del dono di Cristo”. Una misura davvero “scossa e traboccante”, sempre proporzionata ai compiti che vi attenderanno nel vostro ministero; una grazia che sarà in voi come una sorgente di acqua viva sempre alimentata dallo Spirito Santo e che diventerà tanto più abbondante quanto più vi impegnerete a seguire Gesù senza paura, con fedeltà perseverante, senza mai misurare quel che sarete chiamati a dare e aprendovi giorno dopo giorno all’amore affinché “arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”, come ci ha detto l’apostolo Paolo nella seconda lettura».

La vostra «consacrazione – ha proseguito l’Arcivescovo nella sua omelia – parte dall’altare e dovrà sempre riportarvi all’altare. Infatti è l’Eucaristia il fulcro della vita di un prete. L’Eucaristia che sarete chiamati a celebrare con e per il popolo di Dio; la gente che sarà intorno a voi nei giorni di festa, come nei momenti del dolore; e non solo quelle persone che voi potrete conoscere una per una nelle comunità in cui vi invierà l’obbedienza, bensì anche tutta quella gente di cui non saprete mai il nome e di cui non vedrete mai il volto, ma che comunque farà ugualmente parte della vostra famiglia spirituale e che non dovrete mai dimenticare di portare sull’altare della vostra celebrazione quotidiana. Si tratta di tutta quella umanità che attende il lieto messaggio del vangelo; gli afflitti e i dimenticati, gli schiavi che attendono libertà e consolazione vera. Dall’Eucaristia da voi celebrata e vissuta nel vostro spirito e nella vostra carne, nella vostra anima e nel vostro cuore, nella vostra mente e nelle vostre opere, sgorgherà la forza e l’entusiasmo per non arrendervi mai di fronte alle difficoltà che potrete incontrare».

Un monito: «Non aspettatevi applausi: sicuramente incontrerete la croce. Ci saranno momenti in cui di fronte agli inevitabili fallimenti, sembrerà che ogni fatica sia inutile: continuate a ripetere a tutti “Pace a questa casa!” e “È vicino a voi il regno di Dio!”. E in quei momenti siate voi stessi segno convincente che il regno di Dio è in mezzo agli uomini e che voi stessi siete figli della pace che annunciate».

E ancora: «Se in ogni epoca il mandato di Gesù “andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura” è la parola d’ordine dell’apostolo, oggi più che mai dobbiamo esserne non solo convinti, ma pienamente configurati a questa parola. Non basta aspettare che qualcuno venga a bussare alla nostra porta, perché noi gli parliamo di Gesù e del suo Vangelo: oggi più di sempre occorre “andare”. Se anche di fronte al rifiuto e alla prospettiva della persecuzione gli apostoli hanno detto chiaramente “non possiamo tacere”, oggi Gesù ci ammonisce che se tacessimo noi “griderebbero le pietre”». Nella seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini – ha ricordato l’Arcivescovo – «San Paolo ci ha e vi ha detto: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. La parola di Dio ha sempre bisogno di spazi interiori di risonanza; ha bisogno di passare attraverso relazioni umane aperte, serene, libere, sgombre da pregiudizi e insieme prudenti e meditate; ha bisogno di cuori casti, ma non gelidi, e di menti pure che sappiano attingere sempre alla fonte dell’amore e della spienza che è Cristo Gesù (…) In questo modo la vostra stessa vita potrà essere il messaggio più convincente da rivolgere a tanti giovani che pur raggiunti dall’appello interiore della chiamata divina hanno paura a pronunciare il proprio “eccomi”. Anche voi, all’inizio della vostra avventura alla sequela di Gesù avete aspettato, tergiversato e rimandato. Poi siete stati aiutati dalla grazia di Dio e da chi vi ha accompagnato e avete trovato il coraggio per dire il vostro sì. Consegnatevi con tutto il vostro essere all’amore di Dio; accoglietelo in voi con l’impegno generoso a non tenerlo solo per voi, bensì per condividerlo e donarlo a tutti perché la vostra risposta susciti nuove e numerose altre risposte. Noi vi accompagniamo con la nostra preghiera e il nostro affetto; con voi alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il nome del Signore. Anche voi invocate il Signore per noi e sull’altare della vostra prima celebrazione eucaristica insieme alle persone care che vi portate nel cuore, portateci tutta la nostra Chiesa che oggi vi genera al sacerdozio e che conta non solo sul vostro servizio, ma soprattutto sul vostro amore».

Dopo aver ascoltato, come tutti noi, l’omelia dell’Arcivescovo (cfr pag. III) i tre candidati al diaconato si sono presi alcuni impegni significativi: «ad esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbiteri come fedeli cooperatori dell’ordine dei vescovi, nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo». Ad «adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento della fede cattolica». A «celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano». Ancora, ad «implorare la divina misericordia per il popolo a loro affidato, dedicandosi assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore. Ad essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando loro stessi a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini». L’ultima domanda diretta da monsignor Giovanni Benotto ai tre candidati al presbiterato: «Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?».

Tutti hanno risposto di sì. E all’invito dell’Arcivescovo «Preghiamo, fratelli carissimi, Dio Padre onnipotente, perché colmi dei suoi doni questi suoi figli che ha voluto chiamare all’ordine del presbiterato» i fedeli presenti hanno risposto cantando la litania dei santi. Quindi prima l’Arcivescovo e poi tutti i presbiteri presenti hanno imposto le loro mani sul capo di Lorenzo, Simone e Federico.

I neopresbiteri hanno vestito gli abiti sacerdotali, unendosi così agli altri confratelli nella concelebrazione eucaristica.

Ai canti di Comunione «Anima Christi» e «O Sacrum Convivium» dodici diaconi e preti hanno distribuito l’Eucaristia a centinaia di fedeli. Tra loro anche i novelli preti, visibilmente entusiasti.

Tre «ondate» di applausi liberatori hanno accompagnato la processione di seminaristi, diaconi, presbiteri e vescovi verso la sagrestia.

«Affari» per una task-force di cingalesi che presidiava le uscite della Cattedrale per vendere ombrelli, resisi indispensabili per uscire sulla piazza.

Poi la festa si è trasferita nei loggiati del palazzo arcivescovile: zuppe, panini, torte, bibite per tutti. E insieme, foto ed abbracci ai nuovi preti.

Tra la marea di presenti, anche gli ospiti della casa famiglia per diversamente abili di Marciana di Cascina dove aveva prestato servizio per un anno Federico Franchi.