Pisa

Dal campo alla tavola il prezzo del pomodoro moltiplica per sei

Franco Pardini è agricoltore da una vita. Nel suo grande orto in quel di Nodica ha riposto per anni risorse ed energie, «coltivato» sogni e progetti, incontrato migliaia di consumatori. Oggi, in età da pensione, continua a credere in questo lavoro; «anche se – osserva – vivere di agricoltura è sempre più difficile».Sei ettari di terreno da cui ogni anno maturano, in media, mezza tonnellata di pomodori, tra i 130 ed i 150 quintali di peperoni e melanzane e 350 quintali di cocomeri.Ma quanto rendono al produttore? Poco, pochissimo. Lo abbiamo scoperto seguendo passo passo per una settimana il nostro agricoltore. Martedì al mercato di Sarzana, giovedì a quello regionale di Firenze, venerdì a quello di Livorno: è qui che, ogni settimana, si «gioca» la fortuna di una stagione, la qualità di un prodotto. Sì, perché il prezzo strappato è proporzionale a domanda ed offerta, ma anche alla varietà ed alle caratteristiche commerciali qualitative del prodotto: la morfologia, l’assenza di danni, lesioni o ammaccature, l’odore o i sapori estranei, tutti parametri che il grossista verifica puntualmente prima di riconoscere il prezzo al produttore. Questa settimana non è andata male: tra i 30 ed i quaranta centesimi al kg per i pomodori, 50 per melanzane e peperoni, tra i 40 ed i 60 per i meloni. Cifre da cui occorrerà decurtare il 12% da corrispondere al grossista per il suo lavoro di mediazione ed un 6% di spese di facchinaggio. E poi il trasporto – che incide per il 4 – 5% del prodotto – in alcuni casi l’ingresso nella piazza del mercato (a Firenze 6,5 euro da corrispondere alla Regione Toscana).A monte, un lavoro di mesi: preparazione del terreno, semina, irrigazione, trattamenti per prevenire o combattere malattie funginee che potrebbero rovinare il raccolto. Ed una costante attenzione a quello che la provvidenza vorrà riservare all’annata. Al mercato, il produttore si congeda dall’ortofrutta cui ha dedicato tante attenzioni. È mezzanotte. Franco Pardini riprende il suo camion, e se ne torna nella sua azienda. Per quelle casse di pomodori, peperoni, melanzane e meloni inizia una nuova storia: osservati, toccati, assaggiati dai commercianti, infine trasportati in bottega.Difficile seguire la destinazione di quei prodotti e capire quale sarà il prezzo finale.Il giorno seguente, però, siamo andati di primo mattino alla ricerca degli stessi prodotti in alcuni minimercati di Pisa: origine toscana, seconda categoria con cui si identificano prodotti di qualità mercantile in cui sono tollerati difetti di forma, di colorazione, rugosità della buccia ed alterazioni superficiali.Ecco i prezzi al consumo: i pomodori si trovano ad 1.85 euro al kg (dunque dal campo alla tavola il prezzo è cresciuto del 596%), i peperoni a 1.58 euro/Kg (+385%), i meloni a 1.04 meloni al kg (+211%), mentre più contenuto il prezzo delle melanzane, 0.68 euro/Kg (+165%). Cosa è successo? Perché questo gap tra prezzi riconosciuti al produttore e prezzi pagati dal consumatore?«Ogni famiglia – commenta il presidente di Coldiretti Fabrizio Filippi – destina all’acquisto di verdura intorno ai 250 euro ogni anno. I due terzi di questa spesa vanno al commercio all’ingrosso o al dettaglio e ai servizi, mentre solo un terzo alle imprese agricole».Ma secondo Coldiretti questo «gap» è comune a tutti gli alimenti. Facciamo l’esempio di spaghetti e maccheroni: oggi molini o pastifici riconoscono al produttore tra i 12 ed 13 centesimi di euro per ogni kg di grano duro destinato, con la trasformazione, ad arrivare sulle nostre tavole nelle confezioni di pasta. Sì, ma a quale prezzo? Nei discount un kg di spaghetti si trova intorno ai 50 o 60 centesimi di euro, mentre spaghetti confezionati da grandi industrie alimentari (la cui materia prima arriva comunque anche dai nostri territori) si trovano intorno ai 70. «Dal campo alla tavola, probabilmente, i generi alimentari passano di mano troppe volte – commenta Pino Staffa, responsabile regionale della Lega consumatori Acli – e per il consumatore risulta difficile comprendere le ragioni che portano alla lievitazione dei prezzi. Ci sono anomalie che non si giustificano: negli scaffali dei supermarket, ad esempio, troviamo dei prodotti provenienti dal Sudamerica venduti allo stesso prezzo di quelli italiani. Perché? Là la manodopera costa meno, è vero, ma l’esperienza ci insegna che il lavoro del contadino incide relativamente sul prezzo finale. Al costo di produzione occorre associare quello del trasporto della merce, un costo che si immagina ingente se si pensa alla distanza tra quel continente e l’Italia».Che la filiera sia troppo lunga lo sostengono anche le associazioni agricole. Per questo Coldiretti da tempo dice ai consumatori: andate ad acquistare direttamente nelle aziende. Molte di queste, negli ultimi anni, hanno aperto dei punti vendita.Come il nostro Franco Pardini, che in questo modo ha anche l’opportunità di spiegare al consumatore la storia del prodotto che propone. Resta però aperta una riflessione di tipo etico. È moralmente accettabile che all’agricoltore, il soggetto della filiera che fatica più degli altri, siano riconosciuti prezzi all’osso mentre alcuni intermediari si costituiscono forti rendite di posizione?