Lettere in redazione

Eluana e kebab, i problemi vanno centrati

Due argomenti mi fanno arrabbiare da tempo, due temi di cui ci si approfitta per alimentare basse polemiche faziose: uno, la storia infinita di Englaro su cui il dibattito raccontato dai mezzi di comunicazione è apparso squallido; due, la questione della vendita del kebab nei centri storici, provvedimento presentato come razzista, nel senso che non si vogliono nei centri storici  i cibi stranieri.

Per il problema del fine vita bisogna partire dal concetto di morte che è cambiato a partire dagli anni 60 per i grandi progressi della medicina. È tuttora vivissimo un dibattito fra gli scienziati nella definizione di morte clinica e morte cerebrale, dibattito in cui si evidenzia anche il carattere «empirico» della medicina che non è solo scienza , ma anche pratica, senza contare che la scienza stessa, per metodo suo, non di certezze assolute si nutre, ma di ipotesi verificate che comunque lasciano sempre una porta aperta.

Per il problema, molto meno pesante del kebab in centro, dov’é il razzismo? Quanti ristoranti cinesi, indiani, giapponesi esistono nelle nostre città? Il problema sta nel fatto che vendere il kebab a vista nei centri storici delle nostre città (pensate al disastro delle belle vie fiorentine del centro rovinate negli anni ’70 dalle rivendite di cibarie di vario genere, in un gioiello di città) sarebbe come venderci la porchetta: non è razzismo impedire di vendere la porchetta in via Tornabuoni: la porchetta nostra come il kebab degli arabi vanno venduti in altri luoghi, nelle sagre, in posti più adatti a reggere oltretutto l’odore che mal si sposa con la raffinatezza, l’eleganza e la bellezza.

Se poi immergere via dei Calzaioli nel puzzo del maiale o del montone arrosto, non fa più effetto, ne prendo atto: ciò significa che sono vecchio e non me ne sono accorto.

Franco SabatiniSan Giovanni Valdarno (Ar)

L’accostamento tra i due temi è francamente singolare… Sul caso di Eluana Englaro il settimanale si è pronunciato più volte e – credo – in modo chiaro (Il dramma di EluanaIl «prendersi cura» dei più fragili sia l’indice della nostra civiltàEluana nelle braccia di un Dio misericordioso …). E continueremo a seguire anche il dibattito che ne è scaturito a proposito del «testamento biologico».

Anche sulla cosidetta «guerra del kebab» abbiamo cercato di far chiarezza (La guerra del Kebab). Intanto il provvedimento riguarda per ora Lucca, che con un regolamento approvato dalla maggioranza di centrodestra ha voluto porre un freno «all’apertura di nuove pizzerie al taglio, fast food, rivendite di articoli da mare o da spiaggia, articoli per la nautica, sexy-shop ed esercizi di media e grande distribuzione» e «locali di diverse etnie». «In più – cito ancora dal servizio che abbiamo pubblicato sul n. 7 del 15 febbraio scorso – si richiede che il personale dei ristoranti esistenti sappia l’inglese e sia vestito in modo decoroso, che gli interni dei locali siano compatibili con le bellezze del centro storico, che i proprietari vigilino (pena multe salate) su ciò che avviene fuori dai loro locali, per evitare rumorosi assemblamenti di persone, soprattutto la sera. Ogni ristorante poi, è obbligato a mettere nel menù almeno un piatto tipico lucchese».

Come si vede l’accusa di «razzismo», che è circolata sui media nazionali,  non è pertinente. Quel regolamento ha un obiettivo ben più ampio, di «difesa» della tradizione lucchese. Questo non toglie che alcuni aspetti del provvedimento siano discutibili. Tanto è vero che la stessa amministrazione ha dichiarato di volerli correggere. Anche la definizione «locali di diverse etnie» mi sembra infelice e si può prestare, appunto, a letture xenofobe, come è avvenuto. Io penso che le amministrazioni abbiano non solo il diritto, ma anche il dovere di vigilare sulle tipologie di esercizi commerciali che vengono aperti ovunque, ma in particolare – ovviamente – nei centri storici. Rendendosi però conto che la pura conservazione dell’esistente è una mera illusione. E che il proliferare dei kebab presenta gli stessi problemi di quello delle vendite delle italianissime «pizze a taglio».

Claudio Turrini