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Francigena e arte, a Pienza il pellegrino del «maestro del riuso» Emo Formichi

Nella nostra società, dove tutto è velocità con l’imperativo dominante di correre, correre sempre, vedere i pellegrini camminare lungo la via storica nata oltre mille anni fa, fissata nelle sue tappe dall’Arcivescovo di Canterbury, Sigerico, può apparire come qualcosa di antistorico, inutile, e privo di qualsiasi significato pratico. Ma il pellegrino con il suo avanzare nella polvere, sa dove andare e perché, sa qual è la sua meta, il suo sogno. Ed il suo viaggio, il suo itinerario fa parte dell’essere uomo, di mettersi in cammino per trovare lo scopo della vista stessa. Il suo pellegrinaggio è una forma intima di preghiera con il creato, con Dio. E chi è stato pellegrino lo sarà per sempre, con la consapevolezza che la sua vita, la nostra vita, è tutta un cammino verso il destino. La Via Francigena conduce a Roma, traversando località dimenticate dalle grandi vie di comunicazioni odierne. Molto spesso sono gioielli di un Italia nascosta che è bene riscoprire e mostrare. La Val d’Orcia ha assunto un’importanza notevole nel corso della storia, anche grazie alla Via Francigena, che corre in mezzo a questa natura meravigliosa, riconosciuta dall’Unesco nel 2004, come Patrimonio dell’Umanità.

Emo Formichi, lo scultore pientino, autodidatta, definito dalla critica più attenta «il Maestro del riuso», che ha vissuto molti anni a lavorare faticosamente in una draga del fiume Orcia, nei pressi del Castello di Spedaletto, una grancia dell’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena lungo il tracciato della Via Francigena, ha visto molte volte passare questi pellegrini, ed ha voluto rendere omaggio al loro cammino realizzando una scultura con la sua personalissima tecnica basata sull’assemblaggio di materiali scoperti in discariche o demolizioni di auto; luoghi deputati ad accogliere tutto ciò che la Società contemporanea rimuove.

La materia rifiutata, scartata, nelle mani sapienti di Formichi, si riappropria di nuovi codici e risorge, plasmata, resa attraente solo grazie ad una manualità ed una sapienza antica. Formichi, infonde in essa una vita nuova nella continuità di un processo storico ed umano, e trasforma i rottami in altri oggetti, sogni plastici dal sorprendente valore estetico: uccelli, ballerine, angeli, pinocchi, cavalli ed anche una Ferrari, modellata sul teschio di un cinghiale. Opere d’arte che raccontano le segrete emanazioni della vita dell’artista, del suo lavoro, della sua terra, del fiume Orcia, che scorre ai piedi di Pienza, secondo la legge misteriosa che lega l’artista al suo ambiente. Opere personalissime di un artista raro, fuori delle mode del tempo, che ha forse un solo riferimento nello scultore americano Vollis Simpson, anch’egli autodidatta, morto lo scorso sette giugno nel Nord Carolina all’età di novantaquattro anni.

«Il pellegrino della Via Francigena», rappresenta benissimo la tecnica del riuso utilizzata da Formichi. Vediamo infatti il viandante avanzare sicuro con gli elementi propri del pellegrino: il bastone, realizzato con un pezzo di legno di un susino, la sacca una marmitta di auto, la conchiglia, è effettivamente una conchiglia fossile ritrovata lungo il fiume Orcia, ma fusa in bronzo, la testa, un pistone d’auto, il cappello, un imbuto stondato, mentre i bracci, il corpo ed i piedi sono costruiti con reggicavi elettrici. Il tutto ricomposto con armonia. Il maestro Emo Formichi, vive e lavora a Pienza nella sua «bottega», luogo di incontro di amici, letterati, artisti. Da qui le sue opere sono partite per importanti mostre in tutta Italia, Roma, Firenze, Cagliari, ricevendo attestazioni di stima da parte di importanti critici: Tommaso Paloscia, Antonio Paolucci, Bruno Santi, Piero Torriti, Roberto Vigevani, Graziella Magherini, Giovanna Carli, Leone Piccioni. Il poeta Mario Luzi, legato da sincera amicizia con Formichi, in suo saggio, ha esaltato la «genialità», la «fantasia», l’«estro», e la «sapienza» dello scultore pientino.