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Vie toscane oltre la Francigena

Tutte le strade portano a Roma. Questo valeva nell’antichità, ma vale anche per il medioevo. Quindi, non è del tutto corretto isolare la via Francigena dal resto dei percorsi romei, perché, man mano che le popolazioni germaniche e slave venivano convertite al cristianesimo, diventavano altrettanto importanti anche altre vie romee, quali la via Teutonica (che i tedeschi chiamavano Romweg e che passava dal Brennero) e la via Ungaresca (che Budapest e da Lubiana arrivava ad Aquileia).

Per questo, il Centro Studi Romei, che da oltre venti anni pubblica studi sulle vie di pellegrinaggio nella propria rivista «De strata Francigena», ha deciso, l’anno scorso, di creare una nuova collana per gli studi sulle vie romee orientali e l’ha chiamata «De strata Teutonica = Vom Romweg».

Il primo numero (2013) contiene gli Atti del Convegno di Venezia, dedicato alla Via Teutonica, organizzato dal Consiglio d’Europa con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e di altre Fondazioni bancarie, interessate al recupero del percorso teutonico in chiave turistica.

Il secondo volume (2014) contiene gli Atti del Convegno che l’anno scorso si celebrò in due giornate, la prima a Monticchiello e la seconda all’Abbazia di Spineta di Sarteano, dal titolo «Tra due romee. Storia, itinerari e cultura del pellegrinaggio in Val d’Orcia». Domenica 8 giugno nell’abbazia di Spineta è stato presentato il volume che tali Atti contiene.

Prima di affrontare una breve analisi degli interventi, che deve servire soltanto a invogliare a leggere il volume, vorrei ribadire che le scelte organizzative del Convegno e la ripartizione delle tematiche affrontate, integrate con alcuni contributi non presenti nel Convegno stesso, si è rivelata strategica per dare un quadro vitale, e direi completo, del territorio oggetto di studio: la Valdorcia si rivela non soltanto come intreccio di percorsi, ma attraverso questo intreccio mette in luce la sua articolazione culturale e la sua ricchezza artistica e paesaggistica, e lo fa a tutto tondo.

Sull’intreccio stradale della Valdorcia si misura Renato Stopani nel suo intervento, che è l’unico schiettamente odeporico, anche perché già nel Convegno di Radicofani il Centro Studi Romei affrontò diffusamente il problema del senso del passaggio in queste zone di itinerari sovranazionali: il compito di Stopani era quello di mettere in luce proprio l’intreccio stradale della Val d’Orcia e le innervature che si traducono in luoghi di ospitalità, di controllo e di scambio tra la rotta dell’ovest, la via Francigena, e la rotta dell’est, la via Teutonica.

Quello di Patrizia Turrini più che un articolo è un saggio monografico che, partendo dall’insediamento dei cavalieri dell’Ordine Teutonico a Monticchiello, coinvolge con ricerche d’archivio, originali e ben documentate, le relazioni tra i Teutonici e il comune di Siena, ma va anche oltre. Gli studiosi locali troveranno in questo lavoro una sintesi della storia medievale di Monticchiello, estesa in quanto possibile all’intera Val d’Orcia, con un occhio attento alle relazioni dell’Ordine Teutonico con la corte pontificia e con l’impero. Il lavoro della Turrini copre quindi anche una mancanza di attenzione degli studiosi dell’Ordine Teutonico per l’area strategica della Valdorcia. La documentazione iconografica, purtroppo solo una parte del materiale fornitoci, è tutta originale, attingendo al serbatoio in parte ancora inutilizzato dell’Archivio di Stato di Siena. A margine del saggio, c’è un’appendice di Luciana Franchino che sintetizza una ricerca catastale sulla Commenda Saracini, una delle più importanti proprietà terriere di Monticchiello.

Francesco Salvestrini ripercorre, con felice sintesi, la fondazione dell’abbazia di Spineta, avvenuta nel 1085 da parte di un potentato locale, il suo affidamento, nel 1112, sempre da parte della famiglia fondatrice, ai vallombrosani di Coltibuono, ne illustra il periodo d’oro e poi la lenta parabola discendente che prosegue fino al secolo scorso. All’abbazia di Spineta come cenobio non ha giovato la distanza dai nuclei decisionali dell’Ordine vallombrosano e l’essere l’insediamento più meridionale di una compagine cenobitica che, strategicamente, dalla Toscana dove era nata e si era sviluppata con rapidità carismatica, mirava ai valichi appenninici e alla pianura padana per il suo ulteriore sviluppo strategico.

Poi c’è il mio lavoro sui simboli del frontone di Corsignano, di cui propongo un’interpretazione, difficilmente smentibile, fondata su un passo di Gaio Plinio Secondo, che è in sostanza un monito molto razionale e valido in tutte le situazioni contro le credenze non documentate. Sostengo che venne recuperato, da coloro che hanno deciso di illustrarlo sul frontone della pieve, onde fosse di monito contro i culti ctoni, i culti delle acque salutifere e quelli di tipo dionisiaco, che continuavano a permanere ed essere seguiti in Val d’Orcia dopo oltre di otto secoli di avvento e dominio della nuova religione cristiana. Quindi, la sirena bicaudata e i serpenti che leccano le orecchie non sono sincretismo, come hanno sostenuto illustri studiosi, ma un monito contro il sincretismo locale di allora.

Segue la ricerca di Giovanna Casali sul romitorio, scavato nella roccia, sotto il costone su cui sorge Pienza e a poca distanza dalla pieve di Corsignano. È un luogo magico, molto sottovalutato dagli abitanti del luogo: si racconta che nel dopoguerra i ragazzi vi andassero a far brillare i residuati bellici inesplosi, tanto che le incisioni e le sculture sono molto deteriorate e di non facile lettura. L’ipotesi della Casali è che si tratti di un santuario ad instar della grotta famosa del monte Gargano, di cui ci elenca con dovizia di particolari le numerose altre grotte micaeliche sparse per la Penisola, con buona probabilità legato alla transumanza o in qualche modo connesso con la presenza dei cavalieri teutonici.

Enrico Gori ci offre una sintesi storica su una località – Castiglioncello del Trinoro – la cui etimologia oscilla tra due estremi: le punte d’oro del leone dello stemma e i ladroni di strada. Praticamente dalle stelle alle galere. Nella nostra epoca, in cui le galere si devono svuotare e anche i corruttori vanno ai servizi sociali, fa bene l’autore a rivalutare l’espressione «Castiglioncellum latronum» che si trova nelle fonti (come si trova anche «Corsinianum latronum» – non manca di puntualizzare il Gori) perché, da Ghino di Tacco e dalla sua rivalutazione recente, i banditi di strada – ma solo quelli – hanno recuperato un certo fascino e una loro sia pur controversa dignità.

Gianni Bergamaschi, agiologo che si divide equamente tra Brescia e la Toscana, fa una disamina accurata dei santi che hanno un culto sia in Toscana che oltre Appennino, ovviamente nel medioevo: si tratta di Donnino e Prospero, di Faustino e Giovita, di Marziale e Riccardo, questi ultimi che giungono addirittura da Oltralpe, e poi di Geminiano, Cassiano, e Ellero o Ilaro, legato per vari aspetti alla via Teutonica, forse grazie alla mediazione della potente famiglia dei conti Guidi. La sua ipotesi è che Lucca, e il monastero di San Frediano in particolare, siano per tutto l’alto medioevo il fulcro di diffusione di questi culti, in cui la dimensione stradale non è mai estranea.

Segue l’intervento di Laura Martini che ci descrive la chiesetta di Santa Maria ad Balnea di San Casciano dei Bagni, che in antico con buona probabilità vedeva la presenza di un tempio pagano, legato al culto delle acque salubri e che, in una dimensione di accoglienza ai pellegrini di passaggio, offriva anche l’immagine di una Madonna col Bambino di foggia orientaleggiante, risalente probabilmente al XII secolo. Tutto l’ambiente ha subito nel corso dei secoli molti rimaneggiamenti ed è stata tamponata una cisterna sotterranea che, probabilmente aveva avuto un ruolo rituale legato a polle di acqua sorgiva, ma proprio per questo mi sembra altamente meritorio aver riportato questa struttura all’attenzione degli studiosi.

Un intervento sistematico, ad ampio raggio, sulle testimonianze artistiche del pellegrinaggio in Valdorcia è quello di Maria Mangiavacchi. Il suo saggio affronta le opere d’arte di San Quirico d’Orcia, di Pienza e di Radicofani come avrebbe fatto un pellegrino di passaggio, attento alla dimensione religiosa dei manufatti, ma anche a quella artistica. L’aspetto più rimarchevole di questa ricerca è che non si limita a opere pubbliche e fruibili da tutti, ma contempla anche reperti d’arte ormai in collezioni private. Purtroppo, anche in questo caso abbiamo dovuto effettuare una selezione del materiale iconografico propostoci, per non dilatare troppo il volume.

Marco Gamannossi, che pure entusiasmò i presenti al convegno con la sua analisi, cogente e appassionata, della chiesa dei santi Leonardo e Cristoforo a Monticchiello, per ragioni di impegni pubblici non ha potuto consegnare un contributo completo, ma solo la sbobinatura sintetizzata della sua relazione. A parziale consolazione, ci ha fornito una serie di immagini che ampliano e completano la stringatezza dell’intervento.

E, infine, ma non ultimo, Luciano Bassini, che ormai nel Centro Studi Romei ha trovato una precisa specializzazione: recuperare la letteratura dei secoli passati sui territori a cui dedichiamo attenzione. Il recupero si avvale spesso di diari di viaggio in lingua straniera, mai tradotti in italiano, cogliendone aforismi entusiasti, specialmente per le molte tipologie di vino che si incontrano durante il percorso di avvicinamento a Roma, ed è una lettura piacevole, ricca di spunti, anche cinematografici (ci ricorda che Tarkovskij ambientò il suo film Nostalghia a Bagno Vignoni) e artistici che chiudono in bellezza un volume, ricco, articolato, che ai lettori attenti darà ulteriori spunti di ricerca e di riflessione.