Firenze

Famiglia, giovani, le crisi sociali da affrontare: la relazione del card. Betori

«Fragilità della famiglia e precarietà della condizione giovanile sono alla base della denatalità che proietta oscure prospettive sul futuro del Paese». È l’analisi proposta dal cardinale Giuseppe Betori nell’intervento che ha chiuso, questa mattina, la tre giorni diocesana del clero all’eremo di Lecceto.

Nella sua relazione l’arcivescovo ha proposto uno sguardo al contesto culturale, sociale ed ecclesiale. È importante infatti, ha affermato, essere consapevoli del contesto in cui operiamo: «. Ce lo insegna don Lorenzo Milani, che ricordiamo nel centenario della nascita, il quale dedica ampio spazio in Esperienze pastorali proprio alla decifrazione del nuovo che, nei primi decenni del dopoguerra, irrompeva sullo scenario sociale delle nostre terre e chiedeva una revisione radicale delle forme a cui la pastorale si era fino ad allora affidata». Pur senza avere «la capacità intuitiva di lettura dei tempi di quel nostro sacerdote», ecco allora il tentativo di leggere alcuni aspetti del presente.

Guerra e pandemia
«Il dato più rilevante – ha affermato – appare la persistenza della guerra in Ucraina, il conflitto nel cuore del continente europeo che ci ricorda quanto numerose siano oggi le guerre che insanguinano la terra. Ribadiamo la nostra adesione alle parole con cui il Papa continua a condannare questa e tutte le guerre. Sappiamo che solo il dialogo può portare alla pace e per questo seguiamo con speranza le iniziative di dialogo che il Papa ha affidato al presidente dei vescovi italiani, il card. Matteo Zuppi. Ma sappiamo anche che il dialogo, per essere sincero ed efficace, ha bisogno di cuori riconciliati e la guarigione del cuore è opera di Dio, che va invocata con la preghiera».
Amara anche la riflessione sulla pandemia: se il superamento della fase pandemica ci ha resi più liberi dalle costrizioni, ha osservato Betori, «le nuove condizioni in cui possiamo oggi vivere la città e la comunità di fede non sembrano però aver raccolto alcuna lezione dal passato. Il presente non sembra portare con sé il recupero di valori che dovevano generarsi come risposta alla pandemia – essenzialità, interiorità, fiducia, condivisione, solo per citarne alcuni –, e tutto sembra invece essere tornato come prima. Appare inascoltato l’avvertimento del Papa: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi” (omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Sono constatazioni tristi, ma realiste e dovrebbero interrogare maggiormente le coscienze».

Famiglia, giovani, casa
Guardando all’Italia, l’arcivescovo ha sottolineato «il permanere di diversi fronti di crisi che rendono difficile la convivenza sociale». Tra questi, in particolare, «mi preme segnalare la disattenzione, quando non addirittura il compiacimento, che circonda il deteriorarsi dell’istituto familiare, soffocato dall’imperante individualismo e dal disorientamento circa l’identità personale, le relazioni e le responsabilità dei singoli». Fattori che portano alla crisi demografica, e a cui si aggiungono «le ripetute violenze sulle donne, frutto di una visione prevaricante del rapporto tra i sessi e di una dilagante pornografia».
La debolezza della famiglia e di altre istituzioni educative come la scuola (ma anche la parrocchia) penalizza i giovani, «preda privilegiata degli appetiti del mercato, frenati nella loro crescita e maturazione fino all’assunzione di responsabilità». Sui giovani pesa anche la precarietà nel mondo del lavoro e nella ricerca di una casa «diventata bene impossibile per molti, oggetto di sfruttamento mercantile, in un contesto turistico privo di un disegno che contemperi accoglienza e stabilità comunitaria». Sull’emergenza abitativa si introducono anche «fenomeni distorsivi come le occupazioni, risposte ingannevoli perché basate sull’illegalità. In un simile contesto degradato è maturata la scomparsa della piccola Kata, per il cui ritrovamento vogliamo ancora sperare e quindi continuiamo a pregare».
Nelle parole dell’arcivescovo anche un riferimento alle «condizioni delle nostre carceri, che vanno comprese come un pezzo della città e non un mondo a sé: in esse si entra a causa di fatti che hanno ferito la convivenza civile e a questa si viene restituiti dopo il periodo di detenzione; se negli anni del carcere si vive in condizioni indegne dell’umanità, se non ci sono percorsi di recupero sociale non ne soffrono solo i detenuti ma la società tutta; è interesse di tutti un carcere che non sia luogo di punizione ma di redenzione».

Le migrazioni
Betori ha fatto riferimento nel suo intervento alla realtà delle migrazioni, riprendendo le parole del Papa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati. «Non sembra – ha aggiunto – che le politiche migratorie, ancora legate al concetto di emergenza, un atteggiamento inadeguato ormai decennale, rispondano a questi criteri. Non basta in questo contesto l’opera meritoria di quanti, anche tra le nostre realtà ecclesiali, si dedicano all’accoglienza, se poi non sono messi in grado di proteggere, promuovere e integrare, quando addirittura non sono ostacolati in tali azioni, senza le quali la sola accoglienza rischia di essere la porta verso l’emarginazione e l’illegalità. Da questa vocazione ad accogliere e integrare non possiamo indietreggiare, anche quando dobbiamo soffrire che in essa si manifestino i semi del male che albergano nel cuore degli uomini, com’è accaduto nell’omicidio e suicidio di cui ha sofferto una delle nostre accoglienze a Tavarnuzze: i giovani morti sono nel nostro cuore e nella nostra preghiera, i parenti nel nostro affetto e sostegno, gli operatori dei nostri centri di accoglienza nella nostra gratitudine e condivisione».
Portare «speranza e novità di vita» in questa, come in altre situazioni di disagio, ha ricordato, «è una responsabilità particolare delle forze politiche a cui viene affidato il governo della cosa pubblica. Troppe volte invece la conflittualità politica ostacola la ricerca del bene comune».

Tecnologia e intelligenza artificiale
Accanto alle questioni sociali, c’è poi l’ambito culturale «su cui siamo chiamati a esprimere un giudizio di fede e a operare in coerenza con essa». Intervenire su questi temi «senza però chiuderci al dialogo con il mondo che cambia» rappresenta «la sfida più significativa oggi per l’evangelizzazione».
Betori ha ribadito il richiamo, già fatto l’anno scorso, «all’imporsi di concetti come la fluidità dell’identità personale e la smaterializzazione della realtà, nella consapevolezza di come queste dominanti culturali vengano a toccare concetti basilari in una visione di fede della realtà: la persona, le relazioni umane, la responsabilità verso gli altri e verso il creato, il bene comune».
A tutto questo ha aggiunto «un altro ambito che merita la nostra attenzione, in quanto va a intercettare quegli stessi concetti antropologici che ho appena richiamato. Si tratta della crescente invasione della tecnologia informatica nella vita personale e sociale. Già ne fatichiamo a contenere gli effetti indesiderati nella pervasività della comunicazione tramite i social, che riduce i tempi della riflessione e induce all’assunzione di un pensiero e di un agire conformistico. Ma ancora maggiore avvertenza ci è chiesta di fronte alle prospettive che si vanno aprendo con l’uso dell’intelligenza artificiale» che «rischia di volersi sostituire alla dimensione creativa del soggetto umano e soprattutto alla sua libera scelta e quindi alla sua responsabilità».