Vita Chiesa

FIRENZE, DALLA DIOCESI UN’«AGENDA DI SPERANZA» PER IL FUTURO DELLA CITTÀ E DEL PAESE

Bene comune, pluralismo, nuovo welfare, Terzo settore, immigrazione, spazi di incontro per i giovani. Sono i temi della “Agenda di speranza per Firenze”, presentata questo pomeriggio nel capoluogo ai cattolici impegnati in ambito sociale e politico, agli amministratori pubblici, alle associazioni e ai movimenti laicali. Ad illustrare il documento l’arcivescovo Giuseppe Betori, don Giovanni Momigli, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale sociale, e il sociologo Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato nazionale per le Settimane sociali dei cattolici italiani. Il testo (23 pagine) costituisce il contributo fiorentino alla Settimana sociale in programma in ottobre a Reggio Calabria. “Il bene comune – afferma il documento – non va visto come un concetto generale o solo come un obiettivo da raggiungere, ma anche e prima di tutto come l’alveo entro il quale pensare e valutare ogni scelta”, personale, familiare, legislativa e amministrativa. Quanto al pluralismo nello spazio pubblico il documento sostiene che è “riduttivo e fuorviante considerare pubblico solo ciò che è statale o che è diretta emanazione dello Stato”: va considerato pubblico “tutto quanto concorre al bene pubblico, ossia al bene comune che ha come centro e fine la persona”. “Lo spazio pubblico deve essere inoltre caratterizzato da una visione solidale e nello stesso tempo plurale e sussidiaria”. Secondo il documento dell’arcidiocesi di Firenze, se la solidarietà è infatti essenziale “per non scadere nel particolarismo sociale e nell’individualismo esasperato”, “sussidiarietà e poliarchia sono essenziali per promuovere un ordine sociale” nel quale entrino “istituzioni, poteri e soggetti diversi, comprese le religioni, anch’esse a pieno titolo attori sulla scena pubblica”. Uno dei compiti più urgenti per il nuovo welfare, sottolinea ancora il testo, è “la ricostruzione del tessuto relazionale delle nostre comunità, fortemente compromesso dall’affermarsi di un individualismo esasperato e dalla forte chiusura nel privato”. In tale contesto, sono da ripensare le politiche di welfare non solo per “correggere le derive assistenzialistiche” e per “adeguare e rendere più efficienti” i servizi, ma anche per promuovere politiche sociali “capaci di costruire comunità, alimentare dinamiche sociali, educative e di tipo promozionale che favoriscano la crescita della responsabilità di tutti i cittadini”. Centrale il ruolo della famiglia, “uno dei principali fattori di solidità del nostro vivere civile”. Il Terzo settore, afferma quindi il documento, rappresenta “una reale risorsa per l’intera società e una ricca esperienza personale e comunitaria di impegno sociale” ma occorre, al suo interno, “valorizzare le differenze” e le identità delle singole organizzazioni.Verso gli immigrati, sostiene il testo, occorre “accoglienza nella gradualità e nella compatibilità anche territoriale, tramite percorsi di integrazione e interazione capaci di costruire una società coesa, nella legalità e nel reciproco rispetto sulla base di chiari valori di riferimento, evitando forzate assimilazioni e la creazione nelle nostre città di agglomerati autonomi ed estranei”. Molte difficoltà non nascono dal fenomeno migratorio ma “dal proliferare delle concentrazioni etniche”. Esse pertanto vanno evitate “sia sul territorio, in relazione agli insediamenti, sia nelle scuole, favorendo le classi miste, pur proponendo con intelligenza ed efficacia servizi specifici, come l’insegnamento della lingua italiana, con modalità e strumenti flessibili e aderenti sia all’obiettivo perseguito che al contesto di riferimento”. Ulteriore punto del documento la legalità, “da concepire come dato culturale prima ancora che nella emanazione e gestione di norme e regolamenti”. Un’attenzione particolare viene poi richiesta verso i minori, per i quali è necessario “un puntuale accompagnamento all’inserimento, sia nella scuola che nel mondo del lavoro”. I luoghi di incontro per i giovani non diventino “ghetti”, esorta il documento, ma siano uno “spazio comune”, un luogo “non solo fisco, ma anche mentale ed emotivo, etico e antropologico, nel quale sia possibile l’incontro e lo scambio”. (Sir)