Italia

Gerusalemme, «amici» di La Pira per una pace che nasce dal basso

Spes contra spem. Tante volte abbiamo sentito riecheggiare queste parole. Ma forse, al di là della stima incondizionata per il testimone che le pronunciava, il Servo di Dio Giorgio La Pira, ci sono sembrate sempre un po’ lontane, un concetto difficile da afferrare. Perché le parole non possono essere solo ripetute. Devono essere vissute. Allora la prospettiva cambia e la speranza può nascere anche laddove le condizioni sembrano avverse. È quello che i giovani dell’Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira» hanno sperimentato giovedì 20 novembre 2008 a Gerusalemme. Una data che difficilmente dimenticheremo: siamo in Terra Santa, è il secondo viaggio-pellegrinaggio dell’Opera dopo quello del 2003 durante il quale erano sorte relazioni che nelle estati successive – dal 2004 al 2008 – hanno visto numerosi universitari israeliani e palestinesi partecipare al Campo Internazionale che ogni agosto si tiene al Villaggio «La Vela». Siamo partiti in 50 il 16 novembre per recarci nella terra di Gesù, in pellegrinaggio, ma anche per riconoscere il volto di Cristo negli amici palestinesi ed israeliani incontrati durante i vari campi. Perché non c’è pellegrinaggio senza la gioia del ritrovarsi. Non c’è pace senza l’incontro con le storie e gli sguardi degli altri. Soprattutto di chi soffre.

È così che giovedì 20 novembre è stato possibile, grazie al prezioso aiuto di padre Ibrahim Faltas, parroco di Gerusalemme, della Fondazione Giovanni Paolo II e della Regione Toscana, fare incontrare a Beit Hanina, a Gerusalemme Est, 13 giovani israeliani e una ventina di palestinesi. Molti di loro si erano incontrati solo in Italia, alla «Vela». Poi il muro – non solo l’orribile ed altissimo serpente grigio che cinge i territori palestinesi, ma anche quello della diffidenza e della paura reciproche – aveva rimarcato le distanze. Ci dicevamo in Italia «un giorno ci vedremo a Gerusalemme», ma erano parole dettate dall’entusiasmo dell’attimo che poi, a freddo, suonavano più come un’utopia. Poi, l’idea del viaggio. E così il 17 novembre siamo ad Hebron, incontriamo il vicesindaco Awni Sughayer, che ci accoglie calorosamente insieme ad alcuni consiglieri comunali, andiamo alla Moschea di Abramo passando a piedi dai mitra del checkpoint, provando compassione per i bambini palestinesi, che vivono tra le macerie ma anche per i soldati israeliani, ragazzi imberbi catapultati in un conflitto che li priva dell’età più bella e spesso anche del sorriso.

Il 18, a Betlemme, incontriamo il vicesindaco George Sa’adeh: ci racconta del modo, atroce, in cui ha perso la figlia dodicenne, uccisa dagli spari di soldati israeliani nel corso di un’operazione di polizia. Nove pallottole sono finite anche nel suo corpo. È rimasto vivo per miracolo. Il suo prezzo lo aveva già pagato e, nonostante ciò, ha deciso di impegnarsi in politica, di servire la comunità. Colpisce la sua mitezza, dice di aver perdonato. Insieme a lui il presidente della Camera di Commercio, Samir Hazboun, e il preside della facoltà di economia, Fadi S. Khattan, fanno un’analisi esaustiva della situazione, ci fanno capire che cercare la pace è difficile ma è un dovere. Perché la pace, in verità, fa vincere tutti: ne abbiamo una conferma il 20 novembre quando i giovani israeliani e palestinesi si salutano, si parlano, si sorridono. Salta fuori una proposta: costituire a Gerusalemme il gruppo «Friends of La Pira » composto da israeliani e palestinesi che abbiano voglia di assumersi delle responsabilità per costruire la pace dal basso.

Non è facile, lo sappiamo tutti. Ce lo conferma la sera, a cena, Bernard Sabella, membro del Parlamento di Ramallah che ci racconta la difficoltà di fare una politica comune in una Palestina divisa, tra Hamas che ha ha il controllo nella striscia di Gaza e Al Fatah che governa gran parte della West Bank. Già, non è facile, ma occorre insistere come confermano gli incontri con Edmund Shehadeh, direttore dell’Ospedale di Beit Jalla, che è una struttura della Chiesa cattolica che accoglie e cure le piaghe e le ferite di tutti, cristiani e non, e con delle Sorelle speciali, sia le vincenziane che ci ospitano a Betlemme e che incontriamo nell’orfanotrofio della Creche, sia le piccole sorelle di Charles de Foucauld che a Nazareth ci raccontano come la loro missione sia l’incontro con gli ultimi. Nel nascondimento. Nel silenzio. Lo stesso silenzio con cui visitiamo lo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme in memoria dei milioni di ebrei uccisi in un orrore che non vogliamo mai più. Lo stesso silenzio in cui ci invita a seminare il Patriarca latino di Gerusalemme Fuad Twal, incoraggiandoci con forza. Perché è nel silenzio del dialogo tessuto con pazienza, mitezza e amore che nasce la Speranza. E la pace. Spes contra spem.

Riccardo Clementi

Nella foto piccola in alto, il gruppo dell’Opera «La Pira» con il patriarca latino di Gerusalemme Fuad Twal. Sopra, l’incontro del 20 novembre con i giovani israeliani e palestinesi a Beit Hanina. Oltre a padre Ibraihim Faltas erano presenti anche Danny Shanit del Peres Center for Peace, l’assessore regionale Gianni Salvadori, in rappresentanza della Regione Toscana, e Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà della Cei