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Giordania, “i cristiani di qui sono pochi ma non soli”
Ad Amman abbiamo incontrato il Nunzio apostolico mons. Giovanni Pietro Dal Toso. Ecco l'intervista

Da Gerusalemme ad Amman in poche ore. È il trasferimento organizzato in fretta e furia per la delegazione dei vescovi toscani la mattina che ha dato il via alla guerra tra Israele e Iran. Nella capitale giordana – mentre i missili iraniani passavano sul cielo di Amman – abbiamo incontrato il nunzio apostolico in Giordania mons. Giovanni Pietro Dal Toso.
Monsignore, da oltre due anni è Nunzio Apostolico in Giordania, una terra a maggioranza musulmana ma con una significativa presenza cristiana. Qual è il ruolo dei cristiani nella società giordana?
«Il ruolo dei cristiani è molteplice. Una delle espressioni più importanti è la rete delle scuole cristiane, una cinquantina solo per la Chiesa cattolica, diffuse in tutto il Paese. Queste scuole svolgono un compito educativo essenziale non solo nella formazione personale, ma anche nel far crescere una convivenza tra cristiani e musulmani. Sono anche un canale privilegiato per la condivisione del messaggio cristiano. Inoltre, i cristiani contribuiscono in ambito economico, attraverso imprese significative, ma soprattutto la loro è una presenza di testimonianza: mostrare con la vita cosa significa essere cristiani».
Si può parlare di dialogo interreligioso quotidiano?
«Sì, anche se il termine a volte può sembrare tecnico. In realtà qui in Giordania il dialogo si vive ogni giorno. È un “dialogo della vita”, fatto di vicinanza quotidiana: famiglie che vivono una accanto all’altra, ragazzi che crescono insieme nelle scuole. Poi c’è anche un dialogo ufficiale, promosso ad esempio dal Centro di Studi Interreligiosi della Casa reale, presieduto dal principe Hassan, che organizza convegni e iniziative. La Giordania in questo senso è un modello, un esempio concreto di convivenza possibile tra cristiani e musulmani».
Cosa rappresenta questa presenza diplomatica della Nunziatura in Giordania per la Santa Sede?
«La mia presenza qui rappresenta l’attenzione della Santa Sede verso la Giordania e verso le comunità cristiane di questo Paese. Avere un Nunzio residente significa stabilire relazioni più profonde e dirette con il governo, le ambasciate, gli organismi internazionali e la Chiesa locale. Tutto questo aiuta anche la Santa Sede ad avere un quadro aggiornato e realistico della situazione del Medio Oriente, contribuendo così al dialogo internazionale per la pace e la convivenza tra i popoli».
C’è chi pensa che i conflitti in Medio Oriente siano causati dalla religione. Lei cosa ne pensa?
«Al contrario, credo che sia proprio la religione a poter offrire un contributo decisivo alla convivenza. Certamente esiste la strumentalizzazione della religione, che può diventare fattore di divisione. Ma la religione, nel suo significato autentico, è ciò che lega: l’uomo a Dio e l’uomo agli altri. Nel cristianesimo non si tratta solo di rispettare l’altro, ma di amarlo nella sua diversità. Questo è un messaggio forte, e la presenza cristiana in Medio Oriente serve proprio a testimoniare questo. Come disse san Giovanni Paolo II alle Nazioni Unite, la religione è il cuore della cultura perché risponde alle grandi domande dell’uomo».
Durante l’incontro con i vescovi toscani ha sottolineato l’importanza della visita di delegazioni cristiane dall’estero. Perché è così importante?
«Perché nessuna Chiesa è un’isola. Siamo tutti parte della Chiesa universale. La visita dei fratelli nella fede fa sentire ai cristiani giordani di non essere soli. È un segno concreto di solidarietà, che rafforza la comunione ecclesiale. Ma è anche un gesto di gratitudine: il Vangelo ci viene da qui, Gesù è vissuto su questa terra, di qua e di là del Giordano. La nostra fede ha radici profonde in queste comunità, e ricordarlo rafforza il legame con la loro esperienza».
In questo tempo di grande instabilità, anche la delegazione toscana ha dovuto lasciare Israele in fretta a causa dei missili lanciati tra Israele e Iran. Lei ha parlato della necessità di “tornare all’umano”. Cosa intende?
«Intendo che ogni analisi, anche quella politica, non può prescindere dal mettere al centro la persona umana. Le tensioni e i conflitti non devono mai farci dimenticare che ci sono uomini, donne, bambini che soffrono. Non esistono “danni collaterali” quando si tratta di vite umane. La dottrina sociale della Chiesa e la diplomazia vaticana ci ricordano che il primo bene da tutelare è sempre quello della persona e della sua dignità. È questa la bussola per costruire la pace».